“L’età fragile è l’epoca che stiamo vivendo: il riemergere delle guerre ci ha reso vulnerabili” fotogallery

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Ogni età ha la sua fragilità: la giovinezza, con i suoi timori, la maturità con le responsabilità che comporta, l’anzianità con l’emergere spietato della caducità del corpo. Forse “L’età fragile”, è in realtà l’epoca che stiamo attraversando, suggerisce Donatella Di Pietrantonio, ospite del Festival del Pensare Contemporaneo in piazza Cavalli, nel presentare il suo ultimo libro, vincitore dell’ultimo premio Strega, che porta proprio questo titolo. L’età fragile si ispira liberamente al delitto del Morrone: nel 1997 tre ragazze, durante una gita in montagna, vennero brutalmente aggredite da un pastore. Due vennero uccise, mentre la terza riuscì a fuggire, dopo essersi finta morta.

“Qual è l’età fragile? Mi sono stupita – dice l’autrice, nel rispondere alle domande della giornalista Sabina Minardi –  dei miei personaggi. Ho scelto quasi subito questo titolo, che pensavo rappresentasse la condizione del giovane personaggio di Amanda”. “Invece andando avanti nella scrittura – racconta Donatella Di Pietrantonio – ogni personaggio mi chiamava a considerare la sua specifica fragilità, della fase di vita che stava vivendo. Lo è la madre, Lucia: la sua è quella che mi intenerisce di più, perché è la fragilità in cui mi riconosco. Donne di mezza età tirate da tutte le parti, dai figli e dai propri genitori, infragiliti a loro volta dall’età. Poi ho pensato che se questa caratteristica emergeva in tutti i personaggi, è forse perchè la fragilità è la caratteristica di questa epoca che stiamo vivendo. Io ho 62 anni e non mi sono mai sentita così fragile nel mondo. Avverto quasi fisicamente questo senso di vulnerabilità, di fragilità, che oggi abbiamo a stare in questo mondo, in cui si sono riaffacciate con una violenza inconcepibile anche per me, fino a pochi anni fa, le guerre”.

Dentista pediatrica, Di Pietrantonio ha esordito come autrice solo nel 2011. Con L’Arminuta (Einaudi 2017, tradotto in più di 30 Paesi) ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Campiello, il Premio Napoli e il Premio Alassio. Ora, con L’età fragile, è arrivato anche lo Strega. Perché non dedicarsi prima alla scrittura? “Ci sto riflettendo molto in questi giorni – dice – in cui sto pensando di lasciare l’altra mia professione di odontoiatra. Sto lasciando una parte di me che, per più di metà della mia vita, è stata un ripiego, scelto per una mancanza di coraggio”. “Ero figlia di una famiglia di contadina, dove vivevamo (in provincia di Teramo, ndr) solo negli anni Sessanta è arrivata la strada carrozzabile e l’energia elettrica. Non è mai arrivato il telefono perché ce ne siamo andati via. Vivevamo in una comunità analfabeta, mia madre era quella più istruita: aveva frequentato la terza media, anche se mio nonno non le aveva fatto fatto sostenere l’esame finale. A volte leggeva il libro Cuore per tutti i vicini nelle sere d’inverno”.

“In quella situazione – racconta – io ho iniziato a scrivere da bambina, ma dovevo farlo di nascosto, perché era considerato perdere tempo. Si doveva fare solo l’indispensabile per la scuola: io scrivevo disperatamente perché era il mio unico canale di espressione. Ero una bambina paurosa, mi dicevano, e per me l’unico modo di affrontare le paure era scriverle. Però questo scrivere era sempre accompagnato da una sorta di senso di colpa. Perché quello che gli adulti ti dicono, ti resta profondamente e dentro di me pensavo davvero che fosse una perdita di tempo, anche se necessaria per me. Quindi scrivevo ma non ci credevo. Questo pensiero mi ha accompagnato anche più da grande, quando si è trattato di decidere cosa studiare all’università, che i miei genitori miracolosamente e con grandi sacrifici mi consentivano di frequentare. Non ce l’ho fatta a dire che magari avrei voluto studiare letteratura o giornalismo. All’epoca, a 19 anni, la mia grande passione era proprio quella del giornalismo. Ma non ce l’ho fatta e ho scelto una professione riconoscibile, comprensibile, e che anche mio nonno, totalmente analfabeta, avrebbe potuto considerare utile perché aveva gli ascessi ai denti”.

“E quello ho fatto per tutta la vita, senza mai riuscire a sopprimere quella urgenza di scrivere, che sempre saliva da dentro. Oggi non so cosa dire, forse se avessi avuto quel coraggio, invece di pubblicare 5 romanzi ne avrei scritti dieci, magari. Però non so, in realtà. Nella vita non si sa: non abbiamo mai la prova del contrario, rispetto alle scelte che facciamo. Mi dico poi che la mia scrittura è stata influenzata dagli studi scientifici che ho fatto e dal mio lavoro, dove quello che togli è più importante di quello che metti. Dico anche che sono arrivata tardi ma sono stata fortunata. Quello che ho proposto alle lettrici e ai lettori è stato accolto con amore: sono stata riconosciuta e quindi va bene così”.

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