Jazz Fest al President con Al Foster e Hakim foto

 Doppio concerto di formazioni condotte da due grandi percussionisti afroamericani.

Grandissima serata di jazz ieri sera al teatro President, ad alimentare il ricco programma del Pc jazz fest 2011. Doppio concerto di formazioni condotte da due grandi percussionisti afroamericani, Al Foster e Omar Hakim, che si sono succedute sul palco del teatro piacentino dando vita ad una lunga e intensissima serata di musica. Veri e propri punti di riferimento per lo strumento, non solo in ambito jazzistico, i due musicisti hanno dato un saggio di come questa musica consenta di riunire sotto un unico nome e identità comune, sensibilità e modi di esprimersi differenti, non solo in virtù di un dato generazionale ma proprio di inclinazione verso questo genere straordinario.

Il concerto di Al Foster Quartet è stato una vera e propria iniezione di jazz allo stato puro. Il caso classico nel quale la musica di un interprete è in grado di spiegare a pieno il genere e di arrivare, direttamente, senza mediazioni, a quei recessi dell’anima in cui la storia di questa musica si è depositata. Al Foster, alla batteria, è stato accompagnato da interpreti di solida esperienza, sebbene ancora giovani all’anagrafe: Doug Weiss al contrabbasso, Adam Birnbaum al pianoforte e il front man Eli Degibri, saxofono tenore.

Il quartetto ha prodotto un jazz ricco di qualità ma anche di misura, di senso del ruolo nella formazione e nell’interpretazione dei brani. Una ritmica molto solida e di grande spessore, con il contributo del leader anche nella lettura dei titoli scelti, e pianoforte e saxofono a spartirsi il ruolo solista. Da notare soprattutto la perfomance di Degibri, saxofonista di gran gusto musicale che ha evitato troppi virtuosismi tecnici per dedicarsi con più sensibilità alla cura del suono del proprio strumento, dei diversi timbri e volumi che il saxofono sa esprimere.

Per chi ama questa musica un concerto che ha dato vera e propria gioia all’ascolto, l’occasione per gli appassionati per ritrovare il senso profondo di comunanza con il mondo del jazz. Basti ricordare la chiusura della sessione che è avvenuta con una bellissima versione di Cantaloupe Island, celebre standar di Herbie Hancock, trascinante per i ritmi sincopati e la forza evocativa delle improvvisazioni che l’hanno accompagnata.
La sessione appannaggio di Omar Hakim ha segnato un deciso cambio di ritmo nel corso della serata. La formazione del Trio of Oz è composta, oltre che dal citato batterista, da Rachel Z al pianoforte e da Solomon Dorsey al contrabbasso. Si tratta di un trio tellurico, che produce ritmi travolgenti, che attacca ogni musica con un’energia davvero incredibile. Il suono che viene prodotto è difficilmente resistibile, si viene presi da vera e propria smania di muoversi, di accompagnare la sessione con la partecipazione di tutto il corpo in accordo con la starordinaria profusione di forza dei musicisti sul palco.

E sono una vera e propria sorpresa, per chi non li conoscesse in precedenza, i due componenti del trio che accompagnano il leader, che hanno un ruolo in qualche modo equiparabile, senza gerarchie troppo rigide, nella produzione del suono. Rachel Z è una pianista di tecnica travolgente, oltre che di sensibilità armonica raffinata, autrice di veri e propri fiumi di note e di bellissime scelte ritmiche e arminiche negli a solo. Ed è anche figura dall’aspetto originale, libera di presentarsi sul palco con paraorecchi di pelo bianco e scarpe con vertiginose zeppe punteggiate di brillanti, con una commovente cadenza italoamericana con la quale ha accompagnato le frasi rivolte al pubblico spesso in un generoso italiano. Solomon Dorsey, dal canto suo, è un enorme giovane nero in salopette, con i capelli rasta e frivoli occhiali verdi, che suona straordinariamente lo strumento accompagnando i solo con la voce e partecipando ad ogni pezzo non con un semplice tappeto ritmico distante dalla superficie, come spesso accade al contrabbasso, ma contribuendo a pieno al sound del gruppo. E Omar Hakim è stato il vero e proprio mattatore dell’intera serata. Lunghi minuti di un a solo travolgente, prodotto in totale solitudine, fatto di un’energia musicale, oltre che fisica, assolutamente invidiabile hanno segnato le due ore di grande musica che il trio ha regalato all’entusiasta pubblico piacentino.

Una serata nella quale Rachel Z ha anche scherzato, altro regalo di generosa evocazione jazzistica, con l’acrostico del Piacenza jazz fest accostandolo a mister Paul Chambers, che resti come orgoglioso augurio per questa grande manifestazione.