Silva e De Micheli: “Da Province a Consigli dei sindaci”

Intervento di Vittorio Silva (segretario provinciale del Pd) e di Paola De Micheli (parlamentare del Pd) sul destino delle amministrazioni provinciali. "Province da trasformare al servizio dei comuni - spiegano - Referendum fuorviante e uno spreco di denaro pubblico"

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Province da trasformare al servizio dei comuni. Referendum fuorviante e uno spreco di denaro pubblico
Intervento di Vittorio Silva (segretario provinciale del Pd) e di Paola De Micheli (parlamentare del Pd)

Il dibattito sul destino delle amministrazioni provinciali, all’interno del contesto più ampio della revisione dei criteri della spesa pubblica, a Piacenza rischia di essere viziato da argomenti e strumentalizzazioni del tutto fuorvianti. Per questo è necessario isolare il cuore vero della questione da tutte le speculazioni meramente politiche a cui abbiamo assistito in questi giorni. Siamo contrari a qualunque ipotesi di accorpamento delle Province e pertanto a tutti quei criteri di salvaguardia degli enti che vengano calati dall’alto, senza tenere conto della tradizione amministrativa e sociale del nostro paese. Un paese che, ricordiamo, ha sempre fondato la storia delle proprie autonomie locali sui comuni.

Per questo, in tema di riforma delle rappresentanze territoriali, occorre tornare al disegno ipotizzato dal governo nel decreto SalvaItalia, con le funzioni, le risorse e il personale oggi in capo alle Province ricondotti in toto alle necessità e alle esigenze dei nostri comuni. Significa istituire i “consigli dei sindaci”, ovvero assemblee non più elettive, ma composte da tutti i primi cittadini del territorio, chiamati a confrontarsi e coordinare azioni e politiche di area vasta che investono direttamente i bisogni dei propri cittadini. Questo ci pare davvero l’orizzonte di una riforma possibile, che consentirebbe di centrare diversi obiettivi: da un lato una sensibile riduzione dei costi, e dall’altro una significativa semplificazione amministrativa. Il Senato, nonostante i tempi ristretti, sta lavorando per modificare il decreto, evitando che diventi legge l’attuale proposta, che si tradurrebbe inevitabilmente in un pasticcio istituzionale.

Detto questo, che cosa c’entra con l’esigenza di razionalizzare la spesa e di diminuire la burocrazia per i cittadini il referendum per stabilire se restare in Emilia o passare in Lombardia? Una consultazione che – per inciso – costerebbe un milione di euro alle tasche dei piacentini. Ci domandiamo perché si sia voluto alterare il dibattito sulla riforma delle Province con la questione, tutta politica e strumentale, del passaggio in Lombardia. Un tema che il centrodestra nostrano periodicamente riesuma, quando è rimasto a corto di argomenti. E che viene utilizzato anche per nascondere il fatto che in tre anni di mandato in Provincia è stato fatto ben poco dagli attuali amministratori. Peccato che nessuno degli esponenti del Pdl piacentino si sia ricordato che l’abolizione delle Province stava scritta nel programma del centrodestra. Come abbiamo già sottolineato più volte, noi piacentini dobbiamo sentirci orgogliosi di appartenere ad una Regione, l’Emilia Romagna, tra le più avanzate d’Europa e con alcuni dei migliori servizi al mondo. In una Regione che ha già compiuto al proprio interno importanti operazioni di riorganizzazione e di taglio dei costi della politica: basti verificare quanto sia maggiore la retribuzione di un consigliere regionale lombardo, rispetto a quella dei colleghi emiliani.

E poi tutti i sinceri fautori di Piacenza lombarda dovrebbero venirci a spiegare una buona volta come la nostra provincia, per sua collocazione geografica “di frontiera”, potrebbe godere di maggiore ascolto da parte di Milano, rispetto a Lodi, Cremona, Pavia, che lombarde lo sono già. Quali sarebbero per noi i vantaggi concreti? Di certo non più asili per i nostri figli, né tanto meno un servizio sanitario migliore e meno costoso. Confidiamo nella concretezza dei piacentini e nella loro capacità di discernere quale sia la vera posta in palio, in un dibattito che invece fino ad ora di tutto si è occupato, tranne che dei problemi reali delle persone.   

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