Piacenza Rugby. Primo arresto, non ci agitiamo foto

La sconfitta della squadra piacentina a Perugia per 20 a 13

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Il potente esercito romano ha dovuto consegnare le armi, per la prima volta. Sembrava che il centro Italia fosse ormai conquistato, e che i popoli autoctoni avessero accettato il dominio di Roma; invece, come nelle migliori tradizioni italiche, il dominio suddetto non è mai accettato di buon grado, e gli abitanti di Perugia sono insorti.

Purtroppo, portando a casa una vittoria. L’esercito piacentino, pur contrapponendo una buona difesa, è stato preso in contropiede, forse indebolito e intaccato nel coraggio dalle precedenti vittorie, e ha dovuto cedere terreno e influenza. Roma non è più imbattuta.

Ora, come sapete mi piace utilizzare metafore storiche, per descrivere le nostre partite. Questo, perché credo renda il tutto più divertente da leggere, ma anche poiché ben riesce a rappresentare le nostre fatiche: difficili e impegnative come vere conquiste territoriali. Ma in questo caso,  la storia ci può venire in aiuto in modo pratico. Tutt’ora infatti si parla dell’ “invincibile esercito romano”. Ma come ben sappiamo, anche l’esercito romano ha subito la sua bella dose di batoste.

Eppure, lo si ricorda sempre per le sue vittorie. Perché sono quelle, in definitiva, che l’hanno reso grande. Le sconfitte sono semplicemente servite ad evidenziare le carenze e a far studiare immediate ed efficaci contromisure.

E domenica sicuramente abbiamo trascinato nella nostra scia qualche errore. Non di tecnica, ma in alcune fasi del gioco. I ragazzi si sono comportati bene, in ogni caso, perché hanno tenuto fino alla fine, se la sono giocata sempre alla pari e ci hanno messo un impegno incredibile, con voglia e con una bella grinta, ma si sono lasciati (almeno, a sentire i pareri dello spogliatoio) prendere forse dalla volontà di controllare. Nel senso che hanno osato poco in attacco e sono stati poco aggressivi in difesa. Purtroppo, non con tutte le squadre funziona la tattica del rallentamento.  E questa domenica avevamo di fronte una squadra tosta, veramente tosta, con un gioco aperto e tenace. Sfortunatamente, che ha sfruttato questi nostri errori di valutazione e ha cavalcato l’onda.

Le vittorie, come è naturale, hanno un effetto lenitivo sugli errori, e pur con tutta la buona volontà non ci si darà mai il giusto peso. Ma le sconfitte hanno forse l’effetto contrario. Sottolineano e amplificano gli sbagli. E si lavora già per guarire queste mancanze: come l’esercito romano, verrà temprato dalle battaglie perse e si risolleverà, ancora più forte di prima.

C’è solo da avere fiducia. Perché guardando la partita, la superiorità perugina non è stata schiacciante. 20-13, punto di bonus conquistato. Un risultato tutt’altro che disonorevole.
Ma veniamo agli aspetti tecnici, che questa volta per vostro sollievo cercherò di stringere.

La partita, al contrario delle attese, non è stata funestata dal brutto tempo. Certo, non c’era il solleone caraibico, ma la palla si riusciva a tenere in mano.  Ma come abbiamo detto, gli unici a sfruttare la faccenda sono stati purtroppo i perugini. Noi, affidandoci di più alla mischia questa volta meno dirompente, non siamo riusciti a farla girare con efficacia.

Comunque il gioco parte e ci vuole solo un quarto d’ora che per far si che le squadre se le diano di santa ragione.

Prima, il Perugia. Ottima azione allargata, difesa che scala un po’ troppo in ritardo e purtroppo ala che entra baldanzosa in meta. La trasformazione entra, 7-0.

Per fortuna, la caratteristica dei nostri è che non ci stanno a farsi prendere per il naso così, come se niente fosse, e spengono la baldanza degli avversari segnando a loro volta una meta, soli due minuti dopo: 5-7, ma si iniziano a vedere i presagi di una brutta giornata: Robuschi non trasforma. E purtroppo durante la partita la palla non vorrà quasi mai andarsene a volare tra la U superiore dei pali.

Siamo quindi sul 7 a 5. La partita prosegue con il Perugia che se la giostra con fiducia e con il Piacenza che si arrocca attorno all’ottetto dei pesanti. I trequarti, oggi, avranno vita dura, continuamente sottoposti alla pressione degli avversari e poco chiamati in causa in quanto a creazione del gioco.

Da li, il primo tempo continua con un grande equilibrio, con tratti di stanca. Il risultato, su tutto il primo tempo, rimane sul 5 a 7, e da entrambe le parti i bombardieri sembrano avere piede freddo e mirino fuori calibro. Vari tentativi, ma niente che sblocchi il risultato per i primi 40’.

E’ il secondo tempo a dare le maggiori emozioni: al 44’, il Perugia affonda ancora la sua spada nella cotta di maglia della difesa piacentina e mette a segno un colpo molto vicino agli organi vitali. 7 a 14, partita che si trova improvvisamente davanti una salita al 45%.

I calci di punizione non entrano (per fortuna per tutte e due le squadre), ma per noi è ovviamente più grave, perché neanche la risposta piacentina, al 57’ con Berzieri, riesce a rimettere la partita in carreggiata: la palla calciata da Robuschi ha in antipatia i pali ed esce ancora. 10-14, la salita si spiana un po’ ma è sempre ripida.

E purtroppo, il tempo è quello che è. Con venti minuti da giocare, una mischia non uber-devastante e dei trequarti poco incisivi, c’è poco da fare. Se poi il piede avversario si raddrizza (e fa entrare perfino un drop. Che in serie B non si vede così spesso) portando il risultato sul 20-10 all’80’ non c’è voglia o grinta che tengano.

Solo l’ultimo colpo della retroguardia riesce a ferire l’avversario, e con una punizione infilata sul filo del rasoio (letteralmente. Sul tabellino è segnato l’ottantaquattresimo minuto) si riesce a portare a casa un punticino di bonus. Risultato finale 20-13, ottima partita ma forse un problema di fondo: ancora si tende a non rischiare. O meglio, a non fidarsi di se stessi. Siamo una bella squadra, sappiamo come si gioca (e l’abbiamo dimostrato con belle mete al largo), ma non sempre ci ricordiamo di farlo.

Comunque, nessun problema. E’ come in un gioco. Se non batti il boss, riparti dall’ultima volta che hai salvato, dove andava tutto bene. E ti migliori finchè non riesci a spaccarlo in due come un melone. E la prossima volta, come dicevano i greci, ci sarà una sola cosa da fare: tornare a casa con lo scudo, o sopra di esso.    

Luca Baracchi

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