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Economix: Manager italiani, i migliori se ne vanno all’estero

La crisi economica ha posto ancor più in evidenza il solito quesito del meccanismo causa/effetto: l’inadeguatezza è stata concausa della crisi, o la crisi ha messo in evidenza l’inadeguatezza dei nostri manager?

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MANAGER ITALIANI: I MIGLIORI SE NE VANNO ALL’ESTERO

Nel “lontano” settembre del 2010, in un articolo, avevamo affrontato il delicato tema dei manager italiani, definendoli inadeguati a gestire le “nostre” imprese, soprattutto in un periodo così delicato come quello che stiamo attraversando, rappresentato da una crisi economica che sembra non aver mai fine.

Una crisi economica che ha posto ancor più in evidenza tale problema; il solito quesito del meccanismo causa/effetto: l’inadeguatezza è stata concausa della crisi, o la crisi ha messo in evidenza l’inadeguatezza dei nostri manager?

Entrambe le cose, suppongo. “Both, I suppose”, avrebbe risposto l’inglesissimo Arthur Lyon Bowley.

D’altronde se i nostri (poco) illuminati imprenditori ancor oggi, nel XXI secolo, non hanno ancora compreso che il principale investimento di una qualunque impresa è rappresentato da un livello decisionale/direzionale competente, non si può di certo sperare in un salto di qualità dei nostri manager.

Problema evidenziato anche dall’Osservatorio Mercer 2013 sul costo del lavoro, che rivela le differenze, spesso abissali, tra gli stipendi italiani e quelli del resto d’Europa. Indagine che ha visto coinvolte 340 aziende italiane (o stanziate in Italia) con circa 260 dipendenti e fatturato medio superiore ai 128 milioni di euro.


Stipendi

“In Italia un neolaureato guadagna 25mila euro lordi, contro i 40mila dei colleghi di Germania e Inghilterra ed i 35mila euro della Francia. Il dato è ancora più evidente per posizioni dal quadro in su, dove il potere d’acquisto dell’italiano è inferiore anche a quello registrato in Polonia”, rivela l’Osservatorio.

In generale «mettendo a confronto le retribuzioni italiane con quelle tedesche, francesi e spagnole, gli Italiani sono fanalino di coda in termini di potere d’acquisto per tutti i livelli organizzativi”.

Benefit e scatti di carriera

Diversi anche i trattamenti relativi a benefit e scatti di carriera; nel resto d’Europa con il crescere delle competenze si hanno maggiori premi salariali e con il crescere degli anni di produzione sale il fisso netto. In Italia i bonus erogati nel 2013 ai manager sono scesi fino al  20%.

Tra i benefit sono da considerare anche le attività formative volte all’accrescimento delle competenze: valore aggiunto sia per l’impresa  che per il lavoratore. Altra nota dolente del “sistema” delle imprese italiane, che considerano la formazione “uno spreco di tempo”.

La sfiducia nei nostri manager

Del mio manager non mi fido, sembrano dire a gran voce i dipendenti delle aziende italiane, in base ai risultati del Global Workforce Study (GWS), una ricerca globale condotta ogni due anni da Towers Watson, società di consulenza americana con sedi in tutto il mondo.

Il sondaggio, condotto  tra i dipendenti di aziende medio-grandi, rivela che è in calo il livello di fiducia verso i manager.

In particolare, la preoccupazione per l’incertezza economica incide negativamente sulla fiducia nell’operato dei propri leader, ritenuti non sempre in grado di fronteggiare le sfide che la situazione attuale impone.

Come vedono il futuro i nostri manager ?

Da una ricerca globale condotta da PricewaterhouseCoopers emerge come i manager italiani siano molto pessimisti per il prossimo futuro.

I manager vedono nero. Se soltanto il 36% degli amministratori delegati nel mondo è «molto fiducioso» sulla crescita della propria società nei prossimi 12 mesi,  dalle nostre parti i capitani d’industria si rivelano ancora più pessimisti per il prossimo futuro.

Per quel che riguarda l’Italia, infatti, “le criticità sono sempre le solite”, evidenziano i colleghi d’oltre oceano, con la paura maggiore che è rappresentata dal rischio di un ulteriore aumento del carico fiscale (per l’86% degli intervistati), dai costi dell’energia e delle materie prime (57%) e dalle difficili condizioni del credito (52%). Insomma il solito problema della cosiddetta “variabile Paese”, dove la mancanza di riforme strutturali, di fatto impedisce al Sistema Italia di creare quel circolo virtuoso necessario per riprendere il cammino verso il futuro, guidati, soprattutto, da persone capaci (mi verrebbe da aggiungere).

Fuga di talenti

Queste motivazioni alimentano spesso la fuga dei talenti all’estero, con il problema della “selezione avversa”: se ne vanno i migliori e restano i peggiori. Per arginare il fenomeno, secondo la ricerca, sarebbe necessario intervenire inserendo queste risorse in schemi di formazione internazionale. Più in particolare la direttrice di Mercer Italia, Elena Oriani, spiega che visto che i neolaureati italiani costano poco rispetto a francesi, tedeschi e inglesi, le multinazionali del nostro Paese dovrebbero cogliere questa occasione per «reclutare giovani italiani e inserirli in un sistema di rotazione “cross-countries“, accrescendo così la cultura internazionale dell’azienda, prima che il giovane italiano si rivolga autonomamente all’estero per avviare la propria carriera».

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

 

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