Ospedale Open day, mostra fotografica di Nereo Trabacchi 

Oggi e domani l’ospedale di Piacenza si apre alla città, con eventi, musica e mostre fotografiche. Tra le iniziative in programma (già presentate qui) figura anche l’esposizione di una serie di scatti realizzati dallo scrittore Nereo Trabacchi. Gli abbiamo rivolto alcune domande per scoprire come è nata la sua collaborazione a questa manifestazione. 

Oggi e domani l’ospedale di Piacenza si apre alla città, con eventi, musica e mostre fotografiche. Tra le iniziative in programma (già presentate qui) figura anche l’esposizione di una serie di scatti realizzati dallo scrittore Nereo Trabacchi. La sua mostra si trova lungo il corridoio al primo piano del polichirurgico. Gli abbiamo rivolto alcune domande per scoprire come è nata la sua collaborazione a questa manifestazione. 
 
“L’idea è nata parlando con Silvia Barbieri, Ufficio comunicazione AUSL Piacenza che sapendo della mia passione esclusivamente amatoriale per la fotografia, mi ha proposto di fare alcuni scatti da esporre in occasione della prima edizione “Ospedale Aperto” nella struttura della nostra città.
Dato che il tema dell’evento è quello di avvicinare e sensibilizzare i cittadini circa la vita all’interno dell’ospedale ho pensato che il modo migliore era mostrare loro alcune immagini di situazioni e reparti dove solitamente l’accesso non è a tutti consentito. Chiaramente le immagini dovevano essere sufficientemente “forti” da lasciare un piccolo segno in chi le avrebbe osservate”. 
Come è nata questa mostra? 
 
“In poco più di tre settimane sono stato in camera operatoria per assistere all’asportazione di un cancro allo stomaco riuscendo a non stramazzare al suolo. Ho presenziato e immortalato biopsie, introduzioni di sondini cardiaci, prelievi del sangue, visite pediatriche, medicazioni e chemioterapie. Ho scattato in obitorio al famoso cartellino legato all’alluce… Sono stato letteralmente senza respirare per tutti i 15 minuti che mi è stato concesso di scattare nel reparto di rianimazione, dove come in nessun altro luogo è possibile percepire la davvero sottilissima linea di confine e sospensione tra la vita e la morte. Almeno così credo”.

Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?

“Ho incontrato persone meravigliose, primari, medici e infermieri che invece di prendermi a calci nel sedere, come forse avrei meritato, mi aprivano ogni genere di porta perché felici di mostrare cosa davvero c’è da quel lato, spesso solo immaginato, e con un amore per il loro mestiere/missione che raramente ho incontrato in altre professioni. Come dicevo io non sono un fotografo, ma un amante della fotografia, quindi la tecnica degli scatti manca della giusta professionalità, ma spero di essere riuscito nell’intento di cogliere “un istante” che possa spiegare il significato di “mettersi nelle mani di qualcuno” e che mostri cosa c’è oltre quelle porte”.