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Revoluce (Lilith and The Sinnersaint), la RECENSIONE di PcSera.it

"Una rivoluzione interiore, a volte molto intima, a volte necessaria e manifesta". Così Lilith & The Sinnersaints presentano il loro terzo album “Revoluce”, che appunto significa rivoluzione in lingua ceca

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LILITH & THE SINNERSAINTS
“Revoluce” (2015)

“Una rivoluzione interiore, a volte molto intima, a volte necessaria e manifesta”. Così Lilith & The Sinnersaints presentano il loro terzo album “Revoluce”, che appunto significa rivoluzione in lingua ceca. Ma il titolo è anche un gioco di parole, esso infatti contiene i vocaboli “luce” ed “evol” (ovvero “love” al contrario, oltre che album storico dei Sonic Youth).

Il disco – registrato e mixato all’Elfo Studio, stampato da AlphaSouth Records e distribuito daAudioglobe – è un tributo alle radici del proprio sound, e dunque al punk/new wave degli esordi con i Not Moving nei tardi anni ’70, al blues del Delta e al garage-rock dei sixties, alla tradizione folk e alla canzone d’autore.

I brani sono dodici, tutti o quasi autografi (“Lo faccio per me” è del fiorenzuolano Nicola Faimali, il bassista di Dente), legati a doppio filo con una contemporaneità fatta anche di paure e di inquietudini, drammi e ingiustizie, che Lilith e i suoi non rinunciano a raccontare: “come i griots africani o i bluesmen del primo ‘900 tramandavano la loro tradizione orale, noi ci sentiamo come testimoni viventi di un’epoca da far conoscere alle nuove generazioni”.

Ma i testi questa volta sono più introspettivi, una riflessione matura e personale sulla vita e sull’amore, sulla difficoltà di cambiare le cose e sul concetto di libertà: “Forse in passato è stata legata tanto, troppo, alla politica, invece noi vogliamo parlare di quella voglia di cambiare se stessi, la musica, il modo di vedere le cose. Una rivoluzione che nasce dall’uomo e dal suo essere, fuori da un contesto storico”, risponde così Lilith a Lorenzo Rai, su piacenzamusicpride.it. Anche se in alcuni momenti emergono la disillusione e il rammarico su quello che è stato e quello che non è stato (“non ci sono più occhi da chiudere”), non c’è rassegnazione.

Certo, il mood è a tratti cupo (“Contrabbando solitudine corrompendo i poeti (…) tutto il resto è buio”), e l’attitudine punk. E questo ci piace.
La prima parte del disco contiene forse le gemme più preziose. Apre “Sa forca”, un dolce blues in dialetto dell’alta val Nure – Lilith, al secolo Rita Oberti, è infatti originaria di Centenaro, che poi è anche il paese degli orafi, a proposito di gemme preziose… – così come “Loina negra”, quasi in chiusura – che affinità con Capossela.

“Canto” è a nostro giudizio il testo più evocativo e poetico (“È cemento sulla roccia/assedio inutile/è l’acqua che ci manca/è sapore di umiltà”), mentre la successiva “Nero”, inclusa (con “Lex-senza di me”) nella colonna sonora dell’omonima serie tv, è un’ottima ballata che arriva dal deserto e che avrebbe fatto la fortuna dei La Crus. Il brano più ruvido e aggressivo è “(Vorrei parlarti di) Rivoluzione”, che attacca con un pregevole duetto tra Lilith e Massimo Vercesi. Segue l’incedere quasi marziale di “Uomini”, con un incipit che cita il Fabrizio De Andrè di “Anime salve” (“Mille anni ora mille anni ancora/mille baci ora e mille baci ancora/il sole tramonta/rabbia senza sosta”).

Ma la sequenza dei brani non conosce alti e bassi, e dopo un altro omaggio, questa volta a “If 6 was 9” di Jimy Hendrix, solo con le cifre invertite, ecco un nuovo piccolo capolavoro: “Lo faccio per me” (“Le rose e i violini non servono a niente/speravo in qualcosa di più interessante/le belle promesse non costano niente/Se faccio uno sbaglio lo faccio (…) per me”). In chiusura, la voce roca e potente di Lilith emerge in tutta la sua bellezza nella rilettura acustica di “Le voci di sud est”, accompagnata solamente da un flauto traverso: si tratta di un brano composto insieme a Claudio Galuzzi e inserito originariamente in “Stracci” (1996).

La band che la accompagna è composta ovviamente da Tony Face Bacciocchi alla batteria e Massimo Vercesi alla chitarra; il gruppo è completato da Christian Josè Cobos al basso e da Sabina Vercesi al flauto. Ai cori Carla Gatti, Lorenzo De Benedetti e Martin Ignacio Isolabella.

Giovanni Battista Menzani
@GiovanniMenzani

Ps:
“Revoluce” è disponibile in tutti (pochi ormai, per la verità) negozi di dischi.
I più pigri lo trovano qui:
http://www.audioglobe.it/disk.php?code=8016670114956

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