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Endkadenz Vol. 2 (Verdena), la recensione di PcSera.it

Che idea ci siamo fatti, di questo Vol. II? Non inferiore al (pur notevole) primo, anzi. Anche se un gradino appena sotto “Wow”, il loro capolavoro del 2011, per noi di PiacenzaSera disco dell’anno e pietra miliare della scena indie del nostro paese

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VERDENA
Endkadenz, Vol. 2 (2015)

 
Sono stati di parola, i ragazzi di Albino, ed ecco che pochi mesi dopo “Enkadenz, Vol.I” è arrivato l’atteso secondo volume. Il titolo – lo abbiamo già detto – richiama un effetto scenico teatrale (“Colpisci con tutta la forza possibile sulla membrana di carta del VI timpano, e nel frattempo, nella lacerazione prodotta, infilatici dentro tutto il tronco. Quindi resta immobile!”).

I due album vanno intesi come le due parti di un’opera unica, nata da una serie quasi infinita (oltre 400 pezzi, si dice) di prove e di registrazioni. “Creiamo improvvisando”, dicono, “non stiamo a guardare le note. Insomma, vogliamo divertirci”. (Anche questo lo abbiamo già detto, ma è il bello di recensire il Vol. II di un album già recensito: è il trionfo del copia-e-incolla, il sogno di tutti noi sfigati recensori pigri).

Che idea ci siamo fatti, di questo Vol. II? Non inferiore al (pur notevole) primo, anzi. Anche se un gradino appena sotto “Wow”, il loro capolavoro del 2011, per noi di PiacenzaSera disco dell’anno e pietra miliare della scena indie del nostro paese.

Forse qui manca il singolo importante, o il riff di “Un po’ esageri” o ancora la lucida follia di “Puzzle”, ma di “Wow” il Vol. II recupera la vena psycho-pop e una certa propensione melodica, dove invece in Vol. I c’era dappertutto il volume molto alto e il distorsore a balla, con la voce di Alberto Ferrari che faticava a uscire: è incredibile il baccano che riescono a fare questi quattro, se si considera che i pezzi sono per lo più dei “lenti”.

L’eco stoner e punk (Kyuss e Motorpsycho, tra i nomi) e in generale degli anni ’90 non è così centrale, malgrado tracce come “Cannibale” e “Fuoco amico”, quasi heavy (Melvins). E anche i brani più classici e inconfondibili, le molto ben fatte sono “Colle immane” e “Troppe scuse”, sono appunto un paio o poco più.

Il resto sono il folk acido e bislacco (a là Violent Femmes) di “Identikit”, il valzer rumoroso e psicotico di “Waltz del Bounty”, la cantautoriale “Nera visione” con Alberto al pianoforte, la splendida “Un blu sincero” (con un intro in dialetto bergamasco), la acida “Lady Hollywood”, lo strumentale dark “Natale con Ozzy” (ve lo immaginate, un Natale con lui?).

Un piccolo manifesto di libertà, ha scritto qualcuno. Li abbiamo visti dal vivo, poche sera fa, al Fabrique di Milano. Travolgenti e un po’ disorientati, il giusto.
 
Giovanni Battista Menzani
@GiovanniMenzani
 

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