Turchia: cronaca di un golpe annunciato INTERVISTA

Con il tramite di alcuni conoscenti sono venuto in contatto con un corrispondente da Istanbul. Lo chiameremo Mario (questo non è il suo vero nome), un italiano che vive ad Istanbul da circa vent’anni

“I bombardamenti alla sede del Parlamento sono iniziati verso le undici di sera e sono terminati dopo circa tre, quattro ore. Noi viviamo a circa quattro chilometri di distanza, pertanto si sentivano molto bene. Paura? Tanta. Le notizie le sentivamo dalla CNN. Certo che un golpe che dura poco meno di quattro ore è poco credibile”.

Con il tramite di alcuni conoscenti sono venuto in contatto con un corrispondente da Istanbul. Lo chiameremo Mario (questo non è il suo vero nome), un italiano che vive ad Istanbul da circa vent’anni. Anticipa la nostra conversazione telefonica con una mail in cui mi informa che il 1° luglio, sul Fatto Quotidiano, un articolo di Guido Rampoldi citava un articolo apparso il 30 maggio sul Foreign Affairs dal titolo: “Turkey’s next military coup” (il prossimo golpe in Turchia).

Quindi il governo turco sapeva del golpe, chiedo a Mario.
“Non ho mai creduto all’ipotesi del ‘golpe fatto in casa’, ordito da Erdogan. Troppo rischioso. Certo è che dopo aver letto l’articolo di Gonul Tol sul Foreign Affairs, è chiaro che Erdogan fosse informato sulle intenzioni dei militari. I suoi comportamenti ritengo siano coerenti con questa ipotesi”.

Era informato e non ha fatto nulla per evitarlo.
“Stiamo parlando della Turchia. Difficile per noi occidentali comprendere la cultura mediorientale. Erdogan si comporta come un “satrapo”. Nel giro di pochi mesi, ha cambiato completamente strategia in difesa dei suoi interessi personali e per il mantenimento del potere: non aveva più l’appoggio dei curdi in Parlamento? ha ripreso a perseguitarli; alcuni magistrati hanno indagato su alcuni presunti reati di corruzione che riguardano lui e la sua famiglia? li ha rimossi nominandone altri a lui fedeli; la stampa gli è ostile? chiude le redazioni e fa arrestare i giornalisti che non gli sono simpatici”.

Un Presidente eletto dal popolo che si comporta come un dittatore.
“Certamente. Un Presidente che assomma su di sé un grande potere. Nel momento in cui è venuto a conoscenza che i militari tramavano contro di lui, non ha fatto altro che ‘arginare’ il problema, ridimensionarlo”.

Che cosa significa?
“Mi sono fatto questa idea: Erdogan sapeva di essere un presidente pericolante. Per ridimensionare il problema ha innanzitutto trasferito il comando della Gendarmeria dalle Forze armate al ministero dell’Interno, cioè al suo partito, l’AKP; inoltre con il suo potere ‘persuasivo’ (fatto di ricatti e corruzione) ha portato dalla sua parte molti Generali”.

Capisco. Sapendo che difficilmente avrebbe potuto fermare il tentativo di golpe, ne ha ridotto l’effetto, per renderlo sostanzialmente inefficace.
“Esatto. Ti dirò di più. I militari, sapendo di non avere molto tempo a disposizione, si sono mossi in fretta, e quindi hanno commesso molti errori. E’ pensabile anche che l’intelligence curda, abbia dato il suo contributo “confondendo” i golpisti”.

Un golpe non riuscito per problemi organizzativi.
“Un golpe non riuscito che ha contribuito a rafforzare il potere di Erdogan e a legittimarlo nelle operazioni di ‘pulizia’ e di repressione che non ha esitato a mettere in atto”.

Un golpe non riuscito che lo rimette al centro delle relazioni con i partner europei e d’oltre oceano che fino a pochi giorni fa avrebbero senz’altro contribuito ad una sua destituzione.
“Esatto. Meglio un dittatore al Governo, tra l’altro eletto dal popolo, piuttosto che i militari. Così la pensano i Governi occidentali”.

Perché Erdogan è così forte?
“Erdogan è un grande stratega, e un grande comunicatore. Come detto prima, cambia strategia a seconda di come tira il vento. Il suo elettorato, quello che lo sostiene nei numeri, è rappresentato dagli abitanti delle zone più emarginate del Paese, quelle più ad est. Sono zone altamente arretrate con bassa scolarità. In Turchia i musulmani hanno messo in piedi un sistema molto capillare di assistenza alle famiglie. E questo crea consenso.”

Da dove provengono i soldi per supportare questo sistema assistenzialistico?
“I soldi provengono dai Paesi del Golfo. Fiumi di danaro a supporto della causa musulmana. Spesso di fonte integralista”.

La Turchia è uno Stato laico, a cosa si deve questa deriva filo-religiosa?
“Dal 1998 accade che la parte ‘laica’ del Paese non fa figli, contro la parte più religiosa che invece è molto prolifica. L’islam rappresenta la maggioranza del Paese, e non è di certo un articolo della Costituzione, che definisce la Turchia uno stato laico, a fermare un movimento supportato tra l’altro dall’ AKP, il partito di Erdogan”.

Robert Fisk, corrispondente britannico dal Medioriente per l’Indipendent, ci ricorda che “le potenze occidentali distrussero l’Impero Ottomano con la prima guerra mondiale, lo fecero a pezzi e distribuirono le spoglie tra re brutali, colonnelli sanguinari e dittatori improvvisati”.
“Questa purtroppo è l’eredità che l’occidente ha lasciato in Medioriente. Una situazione che fa crescere le istanze islamiche”.

Come vedi il futuro della Turchia?
E’ una società divisa. Erdogan è il fattore di coesione, ha creato un periodo di pace relativa. Inoltre è il garante degli investimenti dei Paesi del Golfo, quelli che supportano il processo di islamizzazione del Paese”.

C’è il rischio di tensioni sociali?
“Spero di no. Ovvio che il mandato di Erdogan ha presentato delle grosse falle. Soluzioni ai problemi che infliggono la Turchia occorre trovarli. Non credo con le misure oppressive di Erdogan. Non vedo all’orizzonte rischi di guerra civile. La maggioranza della popolazione sta bene. Non vedo nemmeno il rischio di un governo teocratico. La Turchia non è l’Iran. Si può pensare ad un islamismo moderato”.
 
Termina così un interessante, ed autorevole, confronto con Mario, nome di fantasia per garantirne l’anonimato.

Conclusioni
Secondo Robert Fisk, questo tentativo di golpe nato male non è che l’inizio di un processo in atto che vedrà un altro tentativo di golpe. Questa volta, però, secondo Fisk, l’esito sarà ben diverso. La Turchia è un Paese troppo importante per la gestione delle tensioni geopolitiche che riguardano il Medioriente (Isis in testa) ed i relativi interessi economici che ne derivano, Non credo che l’Occidente possa sopportare oltre le ‘bizze’ del satrapo di Ankara.
 
Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)