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Economix: Trump e l’America, una relazione possibile?

A pochi giorni dalla elezione di Donald Trump a 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, assistiamo a fenomeni che pensavamo sepolti nelle notti dei tempi

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Trump e l’America: una relazione possibile?

“Infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti, che c’è di nuovo in tutto questo?” scriveva in tempi non sospetti Walt Whitman.

A pochi giorni dalla elezione di Donald Trump a 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, assistiamo a fenomeni che pensavamo sepolti nelle notti dei tempi: cortei di cittadini per le strade delle principali città americane che protestano contro un Presidente; un candidato che a causa dello “strano” meccanismo elettorale americano vince le elezioni con 337.636 voti in meno rispetto alla candidata avversaria; un Trump “addomesticato” da una responsabilità istituzionale, completamento diverso da quello che abbiamo visto in campagna elettorale, che addirittura definisce il Presidente uscente “un buon uomo” ed “impaziente di lavorare con lui” (o qualcosa del genere).

Verrebbe da pensare che dopo una campagna elettorale aggressiva e dai toni violenti, “il nostro” si sia reso conto che è ora di rappacificare gli animi. I cortei di cittadini ne sono una evidente testimonianza.

Le proteste di alcuni cittadini
Secondo quanto riferiscono i media americani, infatti, diversi cittadini, soprattutto giovani, si sono riuniti in diverse città USA sostenendo che la presidenza Trump avrebbe creato profonde divisioni razziali e di genere. Le manifestazioni sono state per lo più pacifiche. Al grido di “Trump non è il mio presidente”.

A Portland, in Oregon, ci sono state anche manifestazioni di violenza. La Polizia, preoccupata, ha dichiarato che “a causa di un diffuso comportamento criminale e pericoloso, la protesta è adesso considerata una rivolta. La gente è avvisata”. Fenomeno che si spera possa spegnersi in pochi giorni.
Ma è sul programma elettorale che gli americani prenderanno la vera misura del nuovo Presidente.

Trumponomics
Per quanto attiene alla politica estera i partner/competitor europei ed asiatici dovranno fare i conti con un Presidente protezionista ed isolazionista, che è stato votato soprattutto per le sue forti posizioni sul rilancio dell’economia americana in chiave, per l’appunto, protezionista.

D’altronde dopo pochi giorni dalle elezioni, e non dimentichiamo che Trump prenderà possesso dei pieni poteri “soltanto” a gennaio 2017, i grandi produttori di automobili si considerano tra i più “esposti” all’eventuale attuazione della Trumponomics. Nel mirino di Trump la Ford, accusata di “tradimento” per aver trasferito la produzione di auto dagli USA al Messico.

Il programma
Il programma di Trump, in estrema sintesi, d’altronde parla chiaro:

  1. TRATTATI COMMERCIALI – intenzione di rinegoziare il Trattato di libero scambio nordamericano (Nafta) con Messico e Canada, e definitivo ritiro degli Stati Uniti dall’intesa con i paesi del Pacifico (Tpp) e dai negoziati con l’Unione europea (Ttip). Trump ha anche minacciato di voler imporre una tariffa del 45% sui prodotti made in?China.
  2. CLIMA – intenzione di revocare le restrizioni alla produzione di energie fossili e mancata concessione di miliardi di dollari di contributi alle Nazioni Unite per i programmi di lotta ai cambiamenti climatici.
  3. IMMIGRAZIONE – divieto d’ingresso ai musulmani e costruzione di un muro al confine col Messico; espulsione di “oltre 2 milioni di migranti criminali e annullamento dei visti di Paesi stranieri che non li raccoglieranno”.
  4. LOTTA ALLA CORRUZIONE – limitazione del numero dei mandati di deputati e senatori al Congresso, congelamento delle assunzioni dei funzionari federali e divieto per cinque anni ai dipendenti ed eletti di Casa Bianca e Congresso di diventare lobbisti.
  5. OBAMACARE – abolizione in tempi rapidi dell’Obamacare, la legge su una minima assicurazione sanitaria obbligatoria universale che porta il nome del presidente uscente.

Un programma che è tutto un programma, tanto per prestarsi a facili giochi di parole. Una cosa è certa, l’America è “profondamente” divisa, ed il programma di Trump ne è una ulteriore conferma, nonché causa. Un programma che porta l’innovativa e progressista America indietro di cento anni. Un programma, che se dovesse essere applicato, vedrà probabilmente le strade delle città americane costantemente frequentate da contestatori.

Anche di nuovi, di quelli che l’hanno votato, perché un conto è “ascoltare la pancia”, come accade durante la campagna elettorale, un altro conto è vedere poi quale miracolo potranno portare le parole di Trump. Potrebbe essere una nuova professione quella del contestatore, tra l’altro evocata dal neo Presidente, il quale all’incontro con Barack Obama, criticava l’ingiustizia delle proteste dichiarando: “ho vinto un’elezione presidenziale aperta e di successo, adesso contestatori di professione, incitati dai media, stanno protestando; molto ingiusto”.

Le preoccupazioni del neo Presidente
Quanto è accaduto in questi mesi e quanto sta accadendo in questi giorni credo debba servire da lezione. A noi tutti. Come si può pensare di aizzare gli animi con toni sprezzanti, arroganti e violenti e non aspettarsi una reazione? Ciò che è ingiusto è che persone che si candidano a governare un Paese, qualunque esso sia, usino metodi che definire “poco democratici” suona come un eufemismo, e poi si lamentano degli effetti provocati dalla loro pochezza ed inadeguatezza.

Troppo facile. Si chiama “responsabilizzazione”. E speriamo che questa responsabilizzazione, mista a corpose iniezioni di buon senso, prima o poi venga fuori. Ne hanno bisogno gli Americani. Ne ha bisogno il mondo intero.

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

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