Le Rubriche di PiacenzaSera - Universi

“Universi” e l’incontro che non possiamo evitare, quello con l’altro

Al convegno organizzato dalle facoltà di Scienze della formazione ha partecipato anche la redazione di "Universi", il blog ospitato su PiacenzaSera.it che racconta la vita dell'ateneo

La questione del rapporto con l’altro e della definizione di un’identità è stata al centro del convegno “Il senso dell’altro: muri, dialoghi, paure, ponti” che si è tenuto nei giorni scorsi all’Università cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
 
Al convegno organizzato dalle facoltà di Scienze della formazione ha partecipato anche la redazione di “Universi“, il blog ospitato su PiacenzaSera.it che racconta la vita dell’ateneo con i contributo dei giovani disabili Chiara, Micaela, Hassan e Roberta, ultima arrivata in redazione.

Ecco i loro racconti del convegno

“Stare con, essere soli, comunicare. Vera e falsa socialità”

Durante il convegno si è parlato dei muri e dei punti che bisogna abbattere e superare come si riesce, secondo le proprie capacità. Non è facile fermarsi e capire le esigenze degli altri.

In particolare l’intervento del dottor Dario Sacchi è stato di carattere filosofico. Abbiamo bisogno degli altri per sfuggire alla solitudine, ma spesso ci allontaniamo per non dare o ricevere sensazioni sgradevoli, e contemporaneamente abbiamo bisogno dell’approvazione degli altri.

E’ quindi fondamentale il rispetto della libertà degli altri, pur mantenendo la propria libertà.

Roberta Capannini

All’Università Cattolica di Piacenza ho assistito a un convegno organizzato dalla Facoltà delle Scienze della Formazione sul rapporto con l’altro. Uno dei temi affrontati è stata l’immigrazione che sta attraversando l’Italia negli ultimi anni, anche a causa delle guerre del Medio Oriente.

Le difficoltà nell’accettare l’altro e quelle dei rifugiati nel paese che li accoglie sono state uno degli argomenti del convegno. Sono state anche ricordate le discriminazioni degli ebrei nella seconda guerra mondale da parte dei tedeschi.

Gli immigrati appena arrivati in Italia devono adattarsi ad un stile di vita nuovo, spesso non comprendono la lingua ed è difficile per loro l’intergrazione nella nuova società. Possono soffrire di solitudine perchè si sentono estranei dagli altri, non possiedono un alloggio, hanno perso contatto coi propri familiari e amici, se sono di religione differente, non hanno la possibilità di praticare la propria in modo adeguato. 

Hassan Haidane

L’integrazione culturale parte dalla relazione che instauriamo con noi stessi: “Lo straniero è la faccia nascosta della nostra identità” (Yulia Kristeva).

Mi ha molto colpito e fatto riflettere il titolo che è stato dato al convegno che si è svolto il 6 novembre scorso all’Università Cattolica, cioè “Il senso dell’altro: muri, dialoghi, paure, ponti”, perché queste quattro parole esprimono in modo esauriente le caratteristiche che può avere per ciascuno di noi l’incontro con l’altro, che sia vicino a noi per cultura, lingua e religione o che sia straniero.

Infatti, in entrambi i casi il nostro primo contatto con chi non conosciamo è spesso pieno di diffidenza e di timore perché quando ci si relaziona con qualcuno ci si deve mettere in gioco e si deve sempre rinunciare a una parte di se stessi, o comunque si sente minacciata la propria identità.

Tuttavia, siamo sempre pronti a comunicare con persone simili a noi perché non abbiamo problemi di comprensione, o almeno lo crediamo, ma per noi è anche molto più complicato rapportarci con chi è profondamente diverso perché la lingua comune aiuta il dialogo e se questo “ponte” manca si creano subito incomprensioni e irrigidimenti.

La professoressa Musaio ha tenuto un intervento molto specifico e articolato sul tema di grande attualità della migrazione di centinaia di migliaia di persone da paesi in guerra o dilaniati dalla povertà per trovare in Europa e molto spesso in Italia una vita più serena e sicura: sono i migranti economici, la maggioranza, e i rifugiati richiedenti asilo, che non possono tornare nei loro paesi di origine perché verrebbero uccisi.

Non ha voluto insistere su questioni politiche e religiose, ma ha sottolineato l’importanza di non voltare la testa dall’altra parte quando incontriamo “lo straniero”, che apparentemente non ha niente in comune con noi, ma che in realtà vale la pena “scoprire” perché nello stesso tempo possiamo anche “scoprire” una parte nascosta di noi stessi.

Il migrante non è un nemico pronto a privarci delle nostre sicurezze e delle nostre certezze; è semplicemente un uomo che convive con tre stati d’animo che lo caratterizzano nel suo viaggio di cui non conosce l’esito quando lo intraprende, cioè la solitudine di chi si stacca per necessità da tutto quello che conosce e che ama, l’abbandono se non viene accettato e compreso e l’attesa a cui si deve sottomettere quando arriva in un paese estraneo.

Sarebbe facile dire che se i migranti vogliono vivere in Italia devono imparare non solo la nostra lingua, il che è indispensabile, ma assimilare la nostra cultura e le nostre tradizioni, come se potessero dimenticare le loro origini e la loro storia personale, che li differenzia uno dall’altro e che li rende unici.

Però, ogni relazione è basata sullo scambio reciproco di conoscenze, competenze e ricchezze nascoste che ciascuno possiede e non si deve rinunciare alla propria identità per accettare l’altro né pretendere che l’altro perda la coscienza delle proprie origini, perché l’incontro si fonda sull’attenzione e sul rispetto per le differenze e le fragilità dell’altro.

Mi piace infine citare una frase di Yulia Kristeva che per me ha un profondo significato e riflette molto bene la condizione di estraneità in cui noi ci troviamo non solo nei confronti degli altri, ma anche davanti a noi stessi: “Lo straniero finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri”.  

Chiara Ruggeri
 

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