“Volevamo cambiare tutto e abbiamo creato il disamore tra cinema e pubblico” foto

“Volevamo rivoluzionare tutto e abbiamo causato il disamore tra il cinema italiano e il pubblico”.

Pupi Avati

Il Sessantotto questa volta è sotto la lente di Pupi Avati, ospite a Piacenza della rassegna dedicata al periodo che forse ha modificato più radicalmente la storia contemporanea. Il regista bolognese nel pomeriggio di domenica 8 aprile ha raggiunto un Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano “sold out”, per parlare al pubblico piacentino del “suo” Sessantotto, anno in cui esordì dietro la cinepresa.

Tema dell’incontro, introdotto da Massimo Toscani e da Gaetano Rizzuto, il cinema l’utopia e l’illusione.

Volevamo buttare all’aria tutti i preesistenti, cominciare tutto da capo, cancellare tutti i registri e reperti che in realtà erano così importanti e significativi – racconta Avati nell’intervista -; nel tempo ci siamo accorti di quali danni abbiamo prodotto e che hanno fatto sì che nascesse il disamore tra il cinema italiano e il pubblico”.

Avati, oltre 50 film in altrettanti anni di carriera oltre che scrittore (il romanzo più recente è “L’ultimo diavolo”, pubblicato quest’anno) non risparmia dure critiche agli anni Sessanta, dove però trovano posto anche coloro che più l’hanno ispirato.

“Il regista che mi ha cambiato la vita si chiamava Federico Fellini, l’ho raccontato in mille modi, con il film 8 ½. In quel periodo, quando cambiò davvero lo sguardo del mondo nei confronti delle cose, uno di quelli che ha più cambiato il modo di fare cinema e di guardare all’essere umano è stato Federico Fellini. 8 e 1/2 è un film fortemente introspettivo, che include tutto ciò che accade fuori e tutto ciò che accade dentro”.

“Ho avuto la fortuna di vivere un tempo dove le persone erano molto molto più alte, non fisicamente, anzi erano molto più basse, ma interiormente molto più alte e molto più ambiziose, avevano dentro dei sogni immensi, tutto questo ora non accade più”.

Il regista riconosce che la “rivoluzione” ha lasciato in eredità anche qualcosa di buono: “Di buono è nata la sfrontatezza; chi ha saputo in qualche modo superare questa sorta di crisi e patologia molto forte, l’arroganza di quel momento, ha assunto una dose di antibiotici sufficiente per guarire”.

La rassegna prosegue, sempre in Fondazione, l’11 aprile alle 21 con la giornalista Natalia Aspesi.