“Black Tide”: polar espressionista tra pieghe di vita boderline

È “Black Tide” l’ultimo film del regista francese Erick Zonca, da oggi nelle sale cinematografiche con Sun Film Group Spa.

Non è però una “prima” sul grande schermo in Italia. L’anteprima nazionale del film al cinema Politeama di Piacenza ha infatti chiuso domenica scorsa e portato oltreconfine “Profondo Giallo”, primo festival noir piacentino.

Con il polar espressionista contemporaneo di Zonca, l’enorme successo di “Profondo Giallo” si porta a casa la sorpresa finale: se infatti di noir si tratta con tutti gli stilemi propri del genere, il carattere umano del film costituisce il suo valore aggiunto.

Intorno alle indagini sulla scomparsa di un ragazzo si intrecciano vite famigliari problematiche, si insinuano rapporti ambigui da esplorare.

Luci e ombre catalizzate emotivamente e stilisticamente dal protagonista, l’ispettore di polizia incaricato delle ricerche (Vincent Cassel).

I personaggi sono forse eccessivamente (ma consapevolmente) caratterizzati, alcuni spunti o sotto trame potenzialmente fecondi rimangano sospesi senza trovare sviluppi; non mancano colpi di scena improbabili, ma “Black Tide” resta un noir di spessore.

In una messinscena volutamente sporca e trasandata, si muovono vite al limite segnate dal dolore; eppure comuni e possibili per chiunque, nessuno escluso.

Nel cast anche Romain Duris, Sandrine Kiberlain, Elodie Bouchez.

Ecco l’intervista di Piero Verani, capofila dei Cinemaniaci, a Erick Zonca, regista di “Black Tide” in occasione dell’anteprima piacentina:

Perché questo titolo?

C’è una parte cospicua che è stata tagliata durante il film: questa si rifà a una dimensione onirica legata al protagonista, l’ispettore, derivante appunto dalla percezione della marea nera di Gallimard.

Nonostante il personaggio controverso di Roman Duris (professore e scrittore) nel film sembra emergere un grande amore per la letteratura. È effettivamente così? Si considera un avido lettore di libri da cui trae ispirazione per le sue opere?

Certamente. Sono molto appassionato di letteratura americana, che purtroppo non ho sufficiente tempo di approfondire. In questo momento mi entusiasma particolarmente James Lee Burke.

La fotografia è molto curata, con particolare attenzione alla luce e colori caldi alternati a tonalità fredde. Da qui sembra sia stato compiuto un notevole lavoro sullo sguardo, che in alcune scene pare raggiunga un certo voyeurismo.
Si tratta di obiettivi voluti?

Sì. Il contrasto di luminosità è tipico del genere polar. Valorizzazione dell’effetto visivo della luce e dello sguardo sono quindi aspetti importantissimi nel film.

I personaggi sono fortemente tipizzati, quasi “caricaturali”. Gli attori sono stati totalmente diretti nei loro ruoli, o hanno avuto libertà di interpretazione?

Il film si rifà a un romanzo israeliano: The Missing File di Dror Mishani. L’unico personaggio del libro interamente rispettato è stato quello dello scrittore (Romain Duris). L’ispettore protagonista (Vincent Cassel) è stato invece abbastanza modificato nel film: si è voluto dare particolare risalto alla misoginia (sullo schermo l’ispettore è anche padre di famiglia, ma totalmente assente), alla dipendenza alcolica e in generale, alla disillusione del personaggio verso la vita.
Importante fonte di ispirazione, il protagonista del film “Police”(1985), interpretato da Gerard Depardieu: anche lui ispettore di polizia sui trent’anni.
Mi piaceva l’idea di riportare questo personaggio sullo schermo circa trent’anni dopo, tanto che inizialmente la parte era stata affidata allo stesso Depardieu. Poco dopo però, per problemi di collaborazione lavorativa, è subentrato Vincent Cassel, che in breve ha pienamente aderito al suo personaggio e allo spirito del film.
Mi interessava particolarmente uscire dal realismo per avvicinarmi all’espressionismo.

La sceneggiatrice presente accanto al regista precisa: Gli stessi attori Romain Duris e Vincent Cassel hanno proposto e insistito alcuni tratti distintivi dei loro personaggi; capelli unti e impermeabile rovinato dell’ispettore sono alcuni chiari segnali dell’espressionismo a cui il film vuole dare voce.

Uno dei temi principali del film è il rapporto genitori-figli. Si tratta quindi di un noir con forti ambizioni introspettive, che forse vuole stimolare una riflessione critica sulla figura del padre, piuttosto in difficoltà nella società contemporanea. L’osservazione è giusta?

Sicuramente centrale è la difficoltà (se non l’impossibilità) della relazione genitoriale, quindi l’indagine dei rapporti umani ha una parte fondamentale.
Molto ambigua e problematica è comunque anche la figura della madre.
Scandagliare “soggetti al limite della normalità” era l’obiettivo del film e l’ambiente sordido è riflesso di chi lo abita.
Un cortometraggio americano su abusi e connivenze famigliari mi ha fornito diversi spunti in questa direzione.

Come le è sembrata la proiezione del film in lingua diversa dall’originale? Ha apprezzato il doppiaggio?

Sinceramente un po’ scioccante. Pensate che la scena delle ricerche nei boschi è quasi completamente censurata rispetto alla versione originale. Comunque interessante esperimento dal mio punto di vista di regista, grazie al quale è possibile cogliere sfumare e adattamenti inediti. Da ripetere in altri paesi.