Le Rubriche di PiacenzaSera - Universi

Laura e l’umiltà di scrivere un romanzo. L’intervista di “Universi”

Una lunga e bella intervista con Laura Fusconi. La redazione di “Universi” al completo ha incontrato e conversato con la giovane scrittrice piacentina alla sua opera prima, il libro uscito da qualche mese per Fazi editore “Volo di Paglia.

Un piccolo viaggio non solo all’interno del romanzo ambientato sulle colline della Val Luretta ma nel mondo della scrittura, perchè lavorare ad un romanzo richiede tanta tecnica, determinazione e anche umiltà.

Ecco il testo dell’intervista con le domande di Chiara, Hassan, Alex, Roberta e Micaela.

Ci parli del tuo libro “Volo di paglia”? 

È uscito per Fazi il 30 agosto, quindi sono ormai più di 3 mesi. È stato un lavoro lunghissimo: chi vuole scrivere un libro non deve aspettarsi che, una volta scritto, venga subito pubblicato.

Ci ho lavorato 3 anni su questo libro, tornandoci sopra molte volte, cambiando tante cose. Sono stata fortunata, perché quando ho fatto la scuola Holden c’era un progetto finale, in cui ognuno poteva raccontare un’idea, che poteva essere la storia di un libro o la sceneggiatura per un film.

Avevi 3 minuti per raccontarlo a persone esterne che venivano ad ascoltarci, tra cui editori, agenti letterari. In 3 minuti ho provato a raccontare questa storia, che all’epoca era soltanto un’idea, avevo solo qualche foto ed una paginetta scritta. Ho provato a raccontarla e c’era un agente letterario che da subito si è mostrato interessato alla mia storia e ha deciso di seguirmi.

Con lui ho portato avanti il progetto, ho scritto man mano tutto il libro, ed è stato lui ad inviare il libro alle case editrici. L’editore Fazi si è dimostrato interessato, quindi è arrivato un lavoro di editing anche con loro. Dopo 3 anni e mezzo, finalmente, è uscito il libro.

Laura Fusconi

Che storia racconti?

Siamo negli anni ’40, sulle prime colline del piacentino, a Verdeto. E’ un paesino minuscolo, tra la Val Luretta e Val Tidone, con 4 case, poco conosciuto. I primi anni ’40 sono anni duri, è la terza estate che l’Italia è in guerra e sono anni violenti.

Siamo nel tempo in cui c’erano i partigiani in montagna e i fascisti in pianura. Verdeto era proprio in mezzo, ma era un po’ isolato, la guerra arrivava in maniera quasi indefinita.

La mia storia è ambientata tutta lì, i luoghi sono la costante. Ci sono 3 bambini, Camillo, Tommaso e Lia, che fanno i giochi che fanno tutti i bambini. Avvertono la guerra come qualcosa di lontano e pensano alla loro realtà. C’è Camillo che è innamorato pazzo di Lia, c’è Tommaso che è geloso di questo loro rapporto.

Lia è la figlia del Ras della zona. A quel tempo nelle campagne c’erano questi loschi emissari del regime che esercitavano il loro potere usando violenza, bastonando la gente ad esempio. Sono gli anni prima del ’45 che erano i più scompigliati.

L’unico desiderio di Lia è cercare di conquistare l’affetto del padre, il quale si mostra molto distaccato, non ha occhi per sua figlia. Vivono in questa casa padronale al centro della vallata, che si chiama appunto la Valle. Io ho deciso di costruire tutto il romanzo su questo fulcro, che è questa casa abbandonata.

Il romanzo fa un salto in avanti di 50 anni e siamo sempre lì. Ci sono altri bambini che però si ritrovano a giocare tra le stanze di questa casa che adesso è in rovina, facendo gli stessi giochi che facevano Tommaso, Camillo e Lia.

Il titolo, “Volo di paglia”, che è il gioco classico che facevano i bambini in campagna, salire sulle balle di fieno e saltare giù. A questi bambini si aggiungerà un altro personaggio, arrivato da Torino, che è una ventottenne che si chiama Mara. A questo personaggio spetta il compito di esorcizzare, in qualche modo, quello che ancora rimane di irrisolto, il male degli anni ’40 che persiste.

Quanto conta Verdeto per te? Quando conta l’elemento autobiografico nel tuo romanzo? (Hassan)

Conta tantissimo. Io sono cresciuta lì, ho una casa a Verdeto, quindi tutte le estati le ho passate lì, sono luoghi a me carissimi, e che conosco bene. Si dice che nel primo libro che uno scrive, scriva molto di sé. Ed è vero, l’elemento autobiografico è centrale. Per me sono stati i luoghi e i giochi dell’infanzia, io ho due sorelle e due fratelli, quindi tutti i ricordi di battibecchi e giochi sono collocati lì.

Come mai hai deciso di scrivere la storia dalla prospettiva dei bambini? (Roberta)

Il loro è uno sguardo che mi piace tantissimo. È uno sguardo senza pregiudizi, non hanno ancora le loro categorie, e non hanno gli strumenti per capire la realtà, quindi le danno un significato coi loro strumenti, che sono le favole, l’immaginazione.

Nel romanzo ci sono molto elementi di questo genere: c’è il bosco delle fate, il bosco delle streghe, ci sono i loro giochi. Quindi vivono in questa dimensione un po’ attutita diciamo. Questo anche perché il lettore ha un ruolo attivo: quello che i bambini non dicono lo decide poi il lettore.

Nel romanzo non si parla di fascismo, non viene mai nominata la parola partigiano, fascista o Ras. È il lettore che, attraverso i dialoghi, quello che dicono e fanno i bambini, gli dà un nome. Ci sono poi i bambini che sono o bravissimi o cattivissimi, che non hanno mezze misure, per i quali o è bianco o è nero. Mi piaceva cercare di rendere quello sguardo.

Che emozioni hai provato mentre lo scrivevi? (Roberta)

È stato molto bello, anche perché scrivendo sono saltate fuori cose della mia infanzia che pensavo di aver dimenticato. Dopo un po’ che scrivi è come se entrassi nella storia e scrivi una cosa, poi ti fermi e dici “È vero! L’avevo detta da bambina questa cosa!”. È stato molto emozionante.

Perché nel tuo libro hai deciso di fare salti temporali? (Roberta)

Perché mi ha sempre affascinato come il passato sia collegato al presente, se non risolvi qualcosa nel passato ha comunque conseguenze nel presente. Il passato non è mai qualcosa di morto, a sé stante, fermo: ma è qualcosa di dinamico, che continua a influenzare il destino. Facendo questi salti temporali volevo sottolineare questo aspetto.

Perché hai voluto creare queste due coppie di bambini (Tommaso e Camillo, Luca e Lidia)? I sentimenti di amore che provano questi bambini sono veri e profondi come quelli degli adulti, o no? (Chiara)

L’amicizia da bambini è un qualcosa che non si capisce mai quando sia amore oppure solo amicizia, è un sentimento molto forte. È come quello degli adulti, ma secondo le modalità dei bambini, in cui i sentimenti sono fin esasperati. E’ l’amicizia esclusiva tra Tommaso e Camillo, e tra Luca e Lidia: “è il mio amico!”.

Per creare Lia, il personaggio chiave del romanzo, ti sei ispirata ad una storia vera o è frutto esclusivamente della tua fantasia? (Chiara)

Lia è totalmente frutto della mia fantasia. È questa bambina molto sensibile, che nel presente diventa un po’ un fantasma per così dire. Camillo, ormai vecchio, ammalato di demenza senile, ricorda Lia, è come se lei vivesse realmente. L’unico personaggio realmente esistito è il prete, si chiamava davvero Gian Antonio, era un antifascista e, durante la guerra, era stato picchiato dai fascisti.

Ti riconosci in qualche personaggio, tra i bambini? (Chiara)

Mi riconosco molto in Lidia, la bambina selvatica, classico maschiaccio che gioca a calcio, abbastanza insopportabile, che litiga con la sorella. Tra tutti i personaggi è quello con cui mi identifico di più, io da bambina ovviamente.

Nel romanzo passato e presente si intrecciano alla ricerca della verità. Quanto è importante nella narrazione il ruolo della memoria, sia per comprendere il passato sia per riscattare il presente? Inoltre, quanto è contata per te, nel romanzo, il ruolo della finzione letteraria? (Micaela)

La memoria è fondamentale, penso sia dovere di tutti cercare di mantenere viva la storia, con la S maiuscola. La finzione letteraria è un mezzo in più che abbiamo per cercare di capire la storia. Con la finzione si cerca di rendere più vivi i fatti che si leggono nei libri di storia.

Di fatto tutto è storia, Calvino diceva che “ogni passo è storia”, la somma di tutti i nostri pensieri in qualche modo contribuisce alla storia, quindi io ho voluto cercare di raccontare le piccole storie (siamo in un paesaggio defilato, sono bambini), attraverso cui ho cercato di rendere l’atmosfera della storia più grande.

Laura Fusconi

Come spieghi la tua scelta dello svelamento progressivo delle vicende dei personaggi? (Micaela)

Sicuramente per mantenere viva l’attenzione del lettore, per rendere il romanzo avvincente, per creare suspense. Solo alla fine si ha la visione generale chiara di tutto. Questa scelta può anche avere un contro, in quanto può creare confusione: una delle critiche che mi aveva fatto l’editore prima di pubblicarlo era che ci sono troppi personaggi.

Effettivamente ce ne sono tanti. Verso gennaio, quando si vedeva ormai la fine del romanzo, mi venne richiesto di togliere qualche personaggio: all’inizio andai in crisi, non volevo più scrivere. Però dopo averci pensato, quel consiglio arrivato dall’editore aveva un fondamento. Quindi mi sono messa lì, mi son detta “Dai facciamolo” e ho tolto due personaggi. Letto il prodotto finale ho finito con l’essere d’accordo con i consigli che avevo ricevuto.

Vedi ingenuità negli occhi dei bambini? (Alex)

Sicuramente, si trovano di fronte a fatti durissimi e difficili, non sanno come rapportarvisi, come definirli, trovano delle loro risposte. Per me hanno una forza incredibile i bambini, se hanno dei punti fermi riescono a superare qualsiasi cosa.

Per il romanzo ti sei ispirata a qualche film o racconto della tua vita, ad esempio “La Vita è Bella”? (Hassan)

Non proprio ispirata, però c’è uno dei miei film preferiti, “Novecento” di Bertolucci, che parla sempre di quel periodo, con bambini. Ho ritrovato a posteriori certe atmosfere, certi aspetti nel romanzo presenti anche nel film.

Quali sono i tuoi scrittori preferiti? C’è qualche scrittore a cui ti ispiri? Quali sono le letture che ti hanno formato?

Il mio scrittore preferito è Cesare Pavese, “La luna e i falò” è lì sul mio comodino. Di Italo Calvino ho apprezzato “Il sentiero dei nidi di ragno”. Sono scrittori che hanno scritto dei temi del mio libro, la guerra, i bambini. Anche in “Io non ho paura” di Ammaniti ci sono alcune atmosfere, la campagna, i campi di grano, i rapporti tra bambini, tra fratello e sorella.

Mi piaceva molto Shirley Jackson, questa scrittrice gotica per eccellenza, che ha scritto “L’incubo di Hill House”, di cui è uscita da poco anche la serie televisiva, bella anche quella; i suoi sono libri hanno queste ambientazioni che sono il prototipo del romanzo gotico. Ci sono molte cose nel mio romanzo che richiamano queste atmosfere un po’ inquietanti. Le mie scrittrici preferite sono Elizabeth Strout, Alice Munro e Marilynne Robinson.

Riguardo al background storico del romanzo, ti sei confrontata con qualche professore? Quali sono state le tue fonti per conoscere la storia della Resistenza a Piacenza? (Hassan)

Attraverso ricerche su internet ed alla biblioteca della Resistenza, che sono state fondamentali per la scrittura del romanzo. Per me è stato fondamentale parlare con le persone: sono andata a parlare con il vecchio prete di Verdeto, che aveva conosciuto Don Antonio, e mi ha raccontato molte cose su come si viveva in quegli anni.

Poi anche andare nei luoghi reali del mio libro ad Agazzano, come l’albergo del Cervo, il Caffè grande. Lì ci sono le classiche situazioni da paesotto, ci sono gli anziani che giocano a briscola, il proprietario del Cervo che ti racconta con grande felicità.

Il rapporto con la gente prima di tutto. Altra cosa che mi è stata utilissima sono state le fotografie, soprattutto lì al Cervo, dietro al bancone, c’erano queste fotografie degli anni ’40 di Agazzano. Si vede proprio come era la festa del mercato, come era la piazza, come erano le persone, come si vestivano e che faccia avevano. Mi sono poi molto informata sui vari Ras della zona, col testo di Ermanno Mariani.

Qual è il tuo prossimo libro? Stai lavorando su qualcosa?

Ho molte idee, quella che ho iniziato è sempre una storia di bambini, per ora è tutta ambientata a Tuna, caratteristica per una festa di settembre. Siamo verso la fine degli anni ’80, inizio anni ’90. Ci sono due bambini, Matteo, di 10 anni, e la sua sorellina più piccola.

(Ha collaborato Davide Chiappini)

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