Lo strappo del crimine e la giustizia che “ricuce”. L’incontro

Una lezione di profonda, di sorprendente umanità quella conosciuta durante l’incontro “Lo Strappo: quattro chiacchiere sul crimine” all’Auditorium della Fondazione Piacenza e Vigevano.

Cosa succede quando avviene un reato? Quale frattura si crea nelle vite di chi lo subisce e di chi lo compie?

A questi complessi interrogativi ha cercato ieri di rispondere “Lo Strappo”, progetto ospitato in Fondazione per iniziativa delle Associazioni “Verso Itaca Onlus” e “Libera: Associazioni, nomi e numeri contro le mafie“; esse stesse parti attive nella realizzazione del progetto.

Gli stralci di un documentario, diviso in quattro sezioni distinte (da qui “quattro chiacchiere sul crimine”), ma dialoganti tra loro – vittime, rei, operatori di giustizia e rieducazione, operatori mediatici – sono stati il fecondo punto di partenza di un percorso tutt’altro che facile o scontato: quello all’interno delle menti e dei sentimenti di chi commette e subisce reati atroci, ma anche quello della Giustizia Riparativa e del dialogo tra vittima e carnefice, faticosamente, lentamente costruito, eppure ancora possibile dopo tanta sofferenza.

“Quattro chiacchiere sul crimine” – ha spiegato Francesco Caiani, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano presente in sala, -“perchè il documentario nasce dal mio incontro casuale con altre tre persone che insieme a me hanno riflettuto sui temi della Giustizia: Angelo Aparo, Psicologo Coordinatore del Gruppo della Trasgressione nelle carceri di Bollate, Opera e San Vittore; Carlo Casoli, giornalista; Walter Vannina, criminologo. Alcuni professionisti ci hanno poi aiutato ad approfondire alcuni aspetti e realizzare il video”.

A partire da concetti non sempre nettamente demarcabili affiorati dal documentario, come semi di riflessione da far germogliare tra un pubblico attento, che il tema avrebbe meritato più numeroso.

Le “vittime” non sempre percepibili come tali dai carnefici (a volte vittime essi stessi del disagio sociale, senza strumenti, o percezioni adeguate del reale) e perdite insensate, magari all’interno di un sistema ben più complesso del singolo individuo, per chi resta. I “traumi” quasi impossibili da rimarginare. La “Giustizia” (risarcimento? Verità dei fatti e condanna?).

Il coordinatore del Gruppo della Trasgressione di Milano ha quindi iniziato il processo di scavo nei meandri più profondi di colpevoli e innocenti protagonisti dell’incontro.

“Voglio fare come Schliemann con Troia”- ha detto Aparo – portare il buio alla luce. “Coloro che stanno compiendo un percorso riabilitativo infatti”-continua- “hanno già acquisito una profondità di pensiero che non è più compatibile con le atmosfere vissute del delinquente, mentre sono proprio quelle che io voglio recuperare”.

Detenuti e vittime di reato si sono così alternati nella progressiva ricostruzione di differenti stati d’animo, riconciliati poi nel dialogo tra le due parti, frutto dell’elaborazione dolorosa di un percorso d’aiuto condiviso.

Il lungo cammino che dallo strappo più lacerante può portare al dialogo più umano è stato l’oggetto di questo incontro.

A partire dai detenuti del carcere di Opera, seguiti dal Coordinatore del Gruppo Trasgressione nel processo rieducativo: alla domanda di Angelo Aparo, rabbia, senso di inadeguatezza, onnipotenza e rivalsa, desiderabilità sociale da parte del gruppo sono stati i sentimenti più comuni emersi al momento dei reati, sovente all’interno di vissuti problematici e fragilità interiori; spaccio, degrado sociale, rapine, fino a omicidi e reati mafiosi gli abusi compiuti.

Poi la parola a Margherita Asta, sorella e figlia di vittime innocenti della strage di Pizzolungo, nonchè responsabile Libera-Memoria Emilia Romagna: “Grazie all’incontro con Libera nel 2004 ho iniziato a parlare della mia storia, superando la prima fase della rabbia e del dolore ciechi, e a riflettere sulla validità del concetto di Giustizia Riparativa.

“All’inizio del dialogo con l’Associazione – spiega- urgeva la salvaguardia della Memoria dei mie cari.

Poi ho capito però che per dare un senso vero al loro ricordo e alla loro perdita avevo bisogno di parlare con chi faceva parte di quel mondo che me li aveva tolti, per provare a capire il loro vissuto, i loro sentimenti, cercando così in qualche modo di ricucire lo strappo insopportabile che avevo dentro”.

“Un compito quello di tentare di rimarginare la rottura- conclude- che spetta a ognuno di noi- come sarti, con ago e filo- , ma anche e soprattutto alla società, alle istituzioni carcerarie, alla politica, attraverso la promozione di processi rieducativi e coesione sociale”.

“Se il miglior modo per reagire all’impotenza di chi ha subito un abuso è mettere le mani sul male e trasformarlo”- ha ripreso Aparo- ricostruire i passaggi di questo cambiamento consegnandosi reciprocamente l’uno all’altro (vittime, colpevoli e società insieme) risulta fondamentale.

E allora ripartono le testimonianze, insieme al divenire dei sentimenti: dall’istinto bestiale privo di empatia dei colpevoli, alla loro acquisizione di consapevolezza adulta, con il desiderio di cambiare “perchè qualcuno esperto e sensibile ha provato a considerarli ancora esseri umani.

Dal dolore e senso di colpa iniziale delle vittime con la voglia di annullarsi dal mondo alla rinascita del desiderio di condividere e, dalla condivisione, di trovare un nuovo senso al dramma subìto”.

“Come facevate a non fermarmi di fronte alla bellezza innocente di una ragazza? – ha chiesto due anni fa Marcella nel carcere di Opera davanti a chi ha contribuito all’omicidio di sua figlia per droga- “Eravamo animali è stata la loro risposta”.

“In quel momento ho riconosciuto in loro l’uomo- ha continuato Marcella- “e ora”- dopo lungo percorso- “riusciamo a dialogare, vengono a trovarmi a casa, loro che sono i veri beni confiscati alla criminalità organizzata e dimostrano che il sacrificio di mia figlia non è stato vano”.

“Le nostre storie dimostrano la reale possibilità del recupero umano”- conclude Paolo Setti Carraro, che ha perso sorella e cognato in un attentato- “una strada dura, lunga, ma praticabile”.

E mentre qualcuno si ostina a erigere muri senza aperture o a fare video- show celebrativi della cattura dei rei, qualcun altro costruisce ponti dove il buio più nero ha strappato vite e rotto equilibri.

Micaela Ghisoni

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