Tra barbari, Omero e Virgilio, la lezione di umanità di Scarpati e Barbero a Veleia fotogallery

“Ognuno è il barbaro di qualcun altro”. Il disprezzo o il timore per il diverso, l’altro da sè ci accompagna fin dall’antichità: lo hanno ricordato bene a Veleia l’attore Giulio Scarpati e il professor Alessandro Barbero.

Proprio questo è stato il filo conduttore della serata, aperta e chiusa da letture dedicate a quelli che possono essere definiti i profughi per eccellenza della letteratura classica, Ulisse e Enea, affidate a Scarpati, e a una erudita riflessione, svolta dal professor Barbero, su come nell’epoca classica venisse affrontato il tema in realtà attualissimo dell’accoglienza.

“Sono stati i greci per primi a dividere il mondo tra “noi” e “gli altri”, lasciando intendere di essere loro i migliori e che tutti gli altri fossero peggio – dice Barbero -. Si sono addirittura inventati la parola per definirli, ossia “barbari”, perché di quel loro parlare barbarbar non si capisce niente. Chi è barbaro? Chi non è greco, perché i greci sono eruditi, sono un popolo nato per essere libero. Vale a dire, anche se per noi può essere difficile da accettare, che anche i romani sono barbari”.

Quando la Grecia fu conquistata proprio dai romani si arrivò a una sorta di compromesso. Gli stranieri, i barbari, a questo punto erano rappresentati da chi non fosse ne’ greco o romano. Una distinzione dai confini ben più labili di quel che si potesse pensare. “L’impero romano era molto vasto ed esteso. Come riuscire a governarlo, con una modalità che fosse il meno dispendiosa possibile dal punto di vista delle energie? Semplice, concedendo la cittadinanza ai notabili delle lontane province. A nessuno interessa il colore della pelle, le credenze religiose…è prioritaria l’utilità politica dell’impero”.

Un passo molto interessante, dice Barbero, è quello contenuto negli Atti degli apostoli, seppur non propriamente una fonte storiografica, in cui San Paolo riesce a evitare l’arresto facendo valere proprio l’essere cittadino romano. La classe dirigente dell’impero diventa multietnica, così come l’esercito, il secondo strumento per ottenere la cittadinanza. Ma il processo di inclusione non si ferma qui; Barbero ricorda il celebre discorso dell’imperatore Claudio che decise di ammettere notabili Galli in Senato. Una decisione che scatenò malumori, subito placati dall’imperatore il quale ricorda come “la purezza del sangue romano non esiste. Tutti in origine siamo stati nemici di qualcun altro. Ma Roma fa così, chi vuole diventare cittadino romano lo può diventare”.

Scarpati e Barbero al Veleia Festival del Teatro Antico

Altro punto focale è l’editto di Caracalla, che eliminò ogni differenza: chiunque viva nei confini dell’impero è romano. Un provvedimento che Sant’Agostino definì “umanissimo”. Ma non mancano ombre in questo percorso, dalla sconfitta nel 9 d. C. dell’esercito romano a Teutoburgo da parte di Arminio, in realtà cittadino romano ma a capo di tribù germaniche ribelli, per arrivare a ciò che causò poi la fine dell’impero romano d’occidente, ossia il mancato governo o il malgoverno proprio della politica migratoria.

I Goti, minacciati dalle invasioni degli Unni, chiesero asilo all’imperatore Valente. Richiesta che fu accolta, anche in questo caso con una finalità utilitaristica, sottolinea Barbero: l’impero aveva bisogno di nuove braccia per coltivare terreni e soldati per le campagne militari di Valente. Ma quanto promesso non fu mantenuto e i Goti iniziarono a razziare e saccheggiare. Un tentativo di accordo si concluse, ad Adrianopoli, con l’uccisione dello stesso imperatore.

Se “essere greco o barbaro è una differenza dei corpi, non delle anime”, di sicuro ciò che fa la differenza, in politica, è governare o non governare i processi che siamo chiamati ad affrontare. Ed è questa, la lezione, che i nostri politici dovrebbero non tardare ad imparare.

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