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L’invasione che non c’è – L’intervento foto

L’INVASIONE CHE NON C’E’

di Gian Carlo Sacchi

Nel corso della campagna elettorale del 2018 si sono registrate 787 dichiarazioni di incitamento all’odio, il 91% aveva come oggetto gli immigrati. E’ quanto ci segnala il rapporto Caritas-Migrantes sui dati del 2018, un anno di svolta per quanto riguarda l’analisi del fenomeno in Italia.

Pur essendo il nostro il terzo paese in Europa per la presenza di stranieri, la situazione è stabile e quindi non si tratta di un fiume in piena come si è cercato di descrivere. Nascite, scolarità, cittadinanza sono in calo e benché il saldo migratorio contribuisca ad innalzare la popolazione incide comunque sulla decrescita generale della nostra società.

Gli alunni stranieri sono il 9,7%, di cui il 63,8% nati in Italia; gli adulti occupati il 64,3%, le imprese condotte da cittadini stranieri sono in crescita del 2,1% ed anche i matrimoni soprattutto tra uomini italiani e donne straniere sono aumentati del 14,5%. La maggior parte degli stranieri risiede nelle regioni più sviluppate del nord e del centro, mentre un fenomeno nuovo si manifesta al sud per quanto riguarda l’aumento dei minori non accompagnati sbarcati nelle nostre isole. I due terzi svolgono perlopiù lavori poco qualificati, in modo discontinuo e mal retribuiti, quindi non è da pensare che possano far concorrenza ai lavoratori italiani.

La crisi economica tuttavia ha portato anche molti italiani verso l’estero e famiglie straniere a migrare verso il nord Europa o far ritorno al Paese di origine. Le rimesse monetarie inviate dall’Italia a familiari e parenti rimasti nei luoghi di provenienza ammontano a 6,2 miliardi di Euro: il lavoro pur in momenti di difficoltà arricchisce la nostra realtà in termini di prodotti e dal punto di vista fiscale e previdenziale, ma non manca di portare benefici a chi è rimasto lontano spesso in situazione di disagio oltre che sul piano economico su quello esistenziale.

Sul fronte sanitario i ricoveri ospedalieri riguardano gli aspetti traumatologici per i maschi, dovuti perlopiù a incidenti sul lavoro e quelli ginecologici per le donne che offrono il maggiore contributo all’incremento demografico. Sul versante della giustizia il 33,9% dei detenuti è straniero, un dato anch’esso stabile, con un tasso di minore pericolosità sociale.

La fede è un importante sostegno psicologico nelle diverse fasi del processo migratorio: aumentano i musulmani del 2%, in totale il 32,7%, e calano i cristiani del 4% che rimangono però la maggioranza assoluta: ortodossi e cattolici. In crescita sono atei e agnostici.

Sullo stesso anno insiste il dossier statistico sull’immigrazione che fa riferimento alla Chiesa Valdese, che a proposito dello slogan “aiutiamoli a casa loro” fa riflettere da un lato sulla necessità di sostenere maggiormente la cooperazione, ma dall’altro sulla dimensione globale e strutturale di tale fenomeno che non può pensare solo ad una riduzione dei flussi, senza politiche di integrazione concordate a livello internazionale.

L’Italia, sostiene il dossier, è il paese con il più alto tasso di disinformazione su questi problemi e con la percezione più lontana dalla realtà. A tal proposito l’Istituto Cattaneo (2018) ha evidenziato che gli italiani credono che vi sia un numero di stranieri più del doppio di quelli realmente presenti. Una situazione, come si è detto, stabile che aumenta perché diminuisce la popolazione autoctona.

Gli sbarchi in Spagna o in Grecia sono molto superiori che da noi, ma la strada che si rivela più sicura e controllata è quella dei “corridoi umanitari” dove le organizzazioni umanitarie prelevano gli immigrati nei paesi d’origine e li portano in Italia in strutture già previste per l’accoglienza.

Più vicina a noi sempre sui dati del 2018 ha indagato l’apposito osservatorio della Regione Emilia Romagna, confermando il calo degli stranieri, sia minori che adulti. 530000 persone provenienti da altri paesi sul territorio regionale, in passato per motivi di lavoro o di ricongiungimento familiare, oggi prevalentemente in fuga da conflitti o persecuzioni, che richiedono asilo politico o protezione internazionale, categoria quest’ultima eliminata dalla legge sulla sicurezza, mentre continua il processo di stabilizzazione nelle diverse realtà locali, in strutture di piccole o medie dimensioni e ad alto livello di diffusività.

E’ sempre più rilevante il contributo degli stranieri a determinare l’andamento della popolazione residente. A Piacenza 1095 stranieri, il 14% della popolazione, il 2,1% in meno del 2017. La mobilità emiliano-romagnola riguarda però anche lo spostamento interno, da altre regioni. Il saldo migratorio diminuisce anche a seguito dell’acquisizione della cittadinanza, triplicata dal 2012.

Gli stranieri hanno un’età media di 34 anni, mentre gli italiani di 47 e sono aumentati del 118%. I nati in Italia sono il 16,4%: il 93,7% con meno di sei anni, il 71,2% tra i sei e i tredici. Anche i Dati dell’Emilia Romagna evidenziano un crescente processo di maturazione dell’insediamento nella popolazione residente, anche se la narrazione politica e mediatica è concentrata solo sulle emergenze.

Gli occupati provenienti da altri paesi sono il 13,4%, più donne che uomini: i due terzi dei lavoratori non supera i 45 anni; il 46,2% delle donne ha un diploma di scuola superiore a fronte del 40,5% dei maschi. Perlopiù si tratta di lavoro dipendente, operaio o impiegato, ben il 76,6% lavora in proprio e le imprese condotte da questi cittadini sono aumentate dell’11,2%, più che altro nel settore delle costruzioni. Il 22,7% dei bambini stranieri frequenta il nido, a Piacenza il 15,5%. Negli altri gradi di scuola si registrano aumenti fino a raggiungere a Piacenza il 21,6%, la più alta in regione. Di questi alunni il 65,9% sono nati in Italia.

L’Emilia Romagna è la regione che scolarizza il maggior numero di detti giovani, che nelle scuole superiori scelgono indirizzi ad un più rapido inserimento nel mondo del lavoro, anche se sono in aumento gli iscritti ai licei. Sul piano della carriera scolastica l’iniziale gap nei confronti degli italiani si va rapidamente chiudendo ed i buoni esiti negli apprendimenti sono direttamente collegati ad una maggiore integrazione con il territorio. Il 6.5% è iscritto all’università e laureati sono il 5,7% (2016).

Lo jus culturae quindi non deve fare più paura, oltre che riconoscere un diritto a questi giovani si fa un investimento per la società e per l’economia.

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