Giornata del volontariato, alla redazione del Respighi va il premio per il miglior articolo foto

Giornata del volontariato, premiata la redazione de Il Buco, giornale studentesco del liceo Respighi.

Per promuovere e diffondere i valori del volontariato, Svep di Piacenza ha organizzato il progetto VIP: amministratori, sportivi, personalità più o meno famose nel piacentino si sono calate, per un giorno, nei panni di un volontario in prima linea (da qui l’acronimo VIP), mettendosi a disposizione dell’associazione o ente di loro scelta.

A seguirli in questo percorso, e a documentare la storia di queste realtà impegnate a fornire assistenza a persone in difficoltà, gli studenti di quattro redazioni studentesche: l’Eco di Giulia del liceo Colombini che ha visitato la sede dell’associazione Mondo Aperto con la giornalista Maria Vittoria Gazzola, The Mente dell’istituto Romagnosi, che insieme all’assessore di Castelsangiovanni Francesca Ferrari ha trascorso una giornata nella sede della Pubblica Assistenza Croce Bianca, il Mattei’s Blog del polo Mattei di Fiorenzuola, che ha invece intervistato i volontari di Fiorenzuola Oltre i Confini con il preside del liceo Gioia Mario Magnelli, mentre Il Buco del liceo Respighi, insieme a Rita Nigrelli di Radio Sound, ha intervistato ospiti e volontari della Pellegrina.

Ed è proprio la redazione de Il Buco (con Matilde Galliano, caporedattore, e la collega Gloria Gaffuri, accompagnate dalla professoressa Marina Avanzini) ad aggiudicarsi il primo premio per “la scrittura accurata e un tocco di intelligente creatività che interpretano bene la generosità dell’esperienza osservata e vissuta alla Pellegrina. Il corredo fotografico risulta efficace”. Menzione speciale, invece, per il Mattei’s blog (con Martina Cattani, Suha Marmash, Mariarosaria Cipolletta, Anna Fossati e Mattia Pellegrini – prof.ssa Michela Pisu) per aver dato voce all’impegno dell’associazione Fiorenzuola Oltre i Confini, punto di riferimento per l’intero territorio.

La cerimonia di premiazione si è tenuta ai Teatini, alla presenza della presidente dello Svep, Laura Bocciarelli, con l’esibizione del Gruppo Orchestra Integrata dell’associazione di volontariato AS.SO.FA, il reading di Matteo Corradini, e la proiezione del video realizzato con le immagini degli ospiti e delle associazioni che hanno partecipato al progetto VIP Volontari In Primalinea 2019.

IL TESTO VINCITORE 

Redazione IL BUCO – Liceo Scientifico L. Respighi Di Matilde Galliano e Gloria Gaffuri

La Pellegrina, una casa che ti in-vita

La casa di accoglienza “Don Giuseppe Venturini” è nata nel 1993, per volontà del Sinodo Diocesano del 1990, e da allora presta aiuto alle persone malate di AIDS che non hanno un luogo dove stare o che hanno bisogno di assistenza domiciliare per affrontare la malattia. La casa è condivisa con la comunità terapeutica Emmaus, destinata a persone che presentano compromissioni psichiatriche associate all’uso di sostanze.

L’ambientazione certo è importante: un antico fabbricato, immerso nel verde della nostra prima campagna e circondato da un grande giardino coltivato dagli ospiti. Il ricavato del loro lavoro fornisce materia prima per il fabbisogno della struttura ed il restante viene venduto. Ma la Pellegrina non mostra semplicemente un bell’edificio, è una casa che tiene in vita, dove si offre sostegno socio-sanitario, dove è garantita cura fisica, psicologica, sociale e spirituale, dove, nonostante la malattia, la vita va avanti. Varcando la soglia, si coglie il calore di una famiglia: il salone principale è unico, ampio, c’è davvero spazio per tutti.

Le grandi finestre lasciano credere di essere in giardino, lo sguardo spazia e si sente libero. Attirano subito l’attenzione i vari disegni fatti dagli ospiti e i messaggi lasciati dai visitatori. Qui è la persona ad essere al centro, non la malattia. Non si parlan mai di malattia, si ride e si scherza, ma non si parla mai di AIDS. Le persone che abitano qui vengono chiamate ospiti o utenti, mai malati. Francesca, responsabile della Pellegrina, ci racconta che la casa è priva di un’impronta clinica o ospedaliera e che volontariamente qui nessuno indossa un’uniforme, riprendendo così l’idea di fondo di annullare ogni distanza tra volontari e ospiti per creare un clima gioioso e famigliare in cui ognuno si senta a casa. Tutti hanno una storia diversa, ma ciò che li accomuna veramente è il considerare la Pellegrina una casa e tutti quelli che ci abitano una famiglia.

La sfida certo è impegnativa per tutti, l’obiettivo è quello di riacquistare o restituire alla persona un’autonomia compatibile con il proprio stato di salute. Tutto ciò nel rispetto della dignità di ognuno, nell’impegno alla valorizzazione delle risorse rimaste. È importante non solo accogliere per la malattia ma anche per le necessità emotive manifestate e per le proprie fragilità, poiché l’essenza prima di tutti rimane la propria umanità. Negli ultimi anni La Pellegrina ha aperto le porte all’esterno e, mettendoci la faccia, gli ospiti si rendono portavoce, senza imbarazzo, di una malattia nota e diffusa ma che risulta ancora un tabù all’interno di un contesto sociale che la discrimina e la stigmatizza molto.

Abbiamo incontrato qui Rita Nigrelli di Radio Sound, fin dall’inizio molto coinvolta e, come noi, piena di interrogativi. Subito ammette di non fare volontariato “attivo”, per via del lavoro, ma si dichiara sempre disposta a offrire per questa causa la sua professionalità, presentando eventi, parlandone alla radio e mettendo in relazione persone che possono aiutare. In realtà è già venuta in contatto con questa struttura, peraltro assai nota in città e provincia, attraverso interviste, e ci troviamo in sintonia, confrontando emozioni e riflessioni. Rita crede nel potere mediatico, promette pubblicità alla Pellegrina, e porta in questa casa il nocciolo del proprio lavoro: l’interesse viene dimostrato e accolto solo se sincero, la passione è emblema di ogni cosa e l’affetto è, se non necessario, quanto meno utile alla comunicazione.

La bellezza che si trova in questa casa è contenuta nelle singole persone, nella diversità di ognuno, nelle difficoltà da tutti superate. La casa della speranza – deduce Rita – ha acquistato questo nome grazie all’affetto che quotidianamente i volontari donano ai ragazzi ospitati e il sorriso con cui questi, a loro volta ricambiano, mostrando fieri il simbolo della loro rinascita. Portiamo a casa sguardi intensi e sinceri, sensazioni positive, energia e desiderio di fare, la percezione che sempre ci sia spazio per intervenire, per recuperare, per accogliere.

Ti contagio… con il mio sorriso

Il mondo del volontariato – si sa – è ricco di emozioni e, in località Pellegrina, presso la casa d’accoglienza Don G.Venturini, gentilezza e disponibilità sono il biglietto da visita dei volontari dell’associazione P.a.C.e. ( Persone al Centro), che si rivolgono ogni giorno con un sorriso ad ospiti e visitatori. L’interesse e la curiosità da parte nostra nascono di conseguenza.

Come è iniziato il vostro percorso di volontariato?

Il primo a rispondere è Gianni, 57 anni. “Mia moglie anni fa veniva qui e passava molto tempo in questa associazione. Ai tempi non conoscevo le caratteristiche dell’AIDS e ne ero sinceramente preoccupato: abbiamo tre figli e mi metteva in agitazione pensare che mia moglie stesse qui. Nel ‘93 abbiamo ospitato a casa nostra un ragazzo de La Vela (comunità per il recupero di tossicodipendenti) e successivamente una ragazza sedicenne della Luna Stellata (che supporta mamme ex tossicodipendenti con bambini). In entrambi i casi è stato difficile. È un mondo complicato: mi rivolgevo a loro sempre con la paura di non dire la cosa giusta, mi sentivo incapace di capirli nelle loro criticità, ero impreparato. Mi sentivo però coinvolto e desideroso di risollevare queste persone; così con mia moglie ho iniziato a frequentare corsi di auto aiuto, in cui ognuno parla dei propri problemi e confrontandomi, ma soprattutto ascoltando e lasciando spazio agli altri, ho imparato a stare loro vicino”.

Anna invece ci racconta: “Ho 20 anni e faccio volontariato qui da due anni e mezzo. Frequentavo il Liceo Gioia e, desiderosa di offrire il mio aiuto, ho accolto la proposta che SVEP faceva alle scuole e sono entrata a far parte di una associazione dove dovevo cucinare e servire pasti. Ma a 16 anni, in quel contesto, mi sentivo fuori posto, non perché fossi troppo giovane, ma perché non mi era stato insegnato nulla, nessun corso di preparazione e nessun cenno di benvenuto. Non mi sentivo efficace e di conseguenza non ricevevo niente: non è stata un’esperienza che mi ha arricchita. A 18 anni, convinta che il volontariato potesse darmi molto di più, ho riprovato e sono venuta alla Pellegrina: è stato tutto diverso. Qui ho fatto un nuovo tipo di esperienza, mi sono sentita accolta, sono stata istruita e ogni giorno vissuto qui mi regala sempre emozioni diverse, mi sento arricchita e parte di qualcosa”.

“Faccio volontariato qui da 9 anni – racconta Antonella – e mi occupo dell’organizzazione delle riunioni di auto aiuto per famiglie, ospiti e volontari. Il punto cardine di questi gruppi è l’ascolto: ascoltandosi si impara, perché quello che una persona vuole comunicare di sè in queste circostanze è tanto più sincero e sentito di quello che risulta in una normale conversazione. Quando iniziai a fare la volontaria qui non avevo pregiudizi, per me la malattia non risultava un problema. Quello che troviamo alla Pellegrina è una famiglia ed è per questo che ci tengo a chiamare gli ospiti “ragazzi”, perché per me sono amici e fratelli”-.

Conclude poi Angela Fasoli, presidente dell’associazione P.a.C.e. “Faccio volontariato da anni e quello che costantemente apprezzo qui è lo spirito di famiglia che abbiamo creato; è questo che mi incita a continuare. Le persone si sentono a casa, i volontari vengono seguiti fin dai loro primi passi e gli ospiti vengono ascoltati con amore, perché non c’è volontariato senza autentico affetto.”

Cosa vi regala il volontariato?

“Il volontario deve credere in quello che fa: dare e ricevere. Trova gioia nell’aiutare. Un volontario si sente a suo agio perché può sempre condividere con altri la propria esperienza: è un dialogo aperto e costante che coinvolge tutti quelli che sono qui. Il volontariato permette di apprezzare le piccole cose, tutti quei gesti che fuori, nella vita, troppo spesso si perdono. Qui dentro, guardando la realtà, vedo la bellezza”- sostiene Antonella. Gianni invece, da genitore, racconta “Il volontariato mi ha aiutato tanto anche ad essere padre. I genitori sbagliano spessissimo: nessuno ci istruisce sul come crescere un figlio ed è inevitabile che si rischi di giudicare, di dire la cosa sbagliata, di ferire. Qui stai attento alle parole che usi, impari che giudicare è superfluo e che la realtà ha tante sfumature. Ti si allarga la visuale sul mondo e grazie a questa esperienza riesco a individuare nuove modalità per parlare ai miei figli”.

Anna, ancora giovanissima, dice “Il volontariato mi ha permesso di maturare, è un percorso di formazione personale: stando con altri e aiutando il prossimo si migliora anche se stessi”. Infine Angela: “Noi volontari mettiamo la persona al centro, con tutte le sue difficoltà e le sue criticità, diamo attenzione, senza giudicare. L’ altruismo permette di spostare l’attenzione dalle proprie necessità a quelle altrui, regalando una disponibilità che finisce per aiutare anche se stessi”.

Abbiamo inoltre incontrato due ospiti della casa: Volete parlarci di come vi ha aiutato la Pellegrina?

“Erano 20 anni che mi facevo – ci racconta P.- continuavo a cambiare casa e chiedevo aiuto a persone diverse, assumevo farmaci ma non trovavo pace, ricominciavo a farmi e poi scappavo. Poi mi parlarono della Pellegrina, dove tutti si trovavano bene, un posto in cui si veniva veramente aiutati e che magicamente riusciva a ridare la vita; chiesi d’essere accolto e attesi con ansia la risposta. Tutti possono sbagliare, errare è umano, ma si è morti finché si sta a terra, bisogna avere il coraggio e la forza di dire basta e di ricominciare a vivere. Mi sono sentito giudicato per tutta la vita e questo ha sempre accresciuto il mio disagio; qui alla Pellegrina invece mi sono sentito accettato per la prima volta dopo moltissimo tempo, qui mi ascoltano e mi aiutano quando ne ho bisogno. Ho trovato una casa e delle persone che davvero sanno starmi vicino”.

Anche F. ci racconta senza esitazione la sua esperienza. “Sono qui da 4 anni: ho condotto una vita di stenti, tra tossicodipendenze e comunità varie. La mia prima famiglia ha ricominciato ad accettarmi ora, che mi sto riprendendo e mi sono salvata, ma alla Pellegrina devo davvero la vita. Gli operatori sono per me degli angeli, medici, psicologi, volontari, ma prima di tutto angeli. Sono scappata per tutta la vita, ho continuato a farlo anche qui, poi ho deciso di fermarmi, volevo tornare a vivere e smettere solo di fuggire, volevo ricominciare a vivere normalmente”.

La Pellegrina è quindi casa, accoglienza, famiglia. Le risate e i giochi, le confessioni e il divertimento, le parole e gli abbracci sono l’unico farmaco che guarisce la vita. La malattia non è discriminante, non determina chi si è e nemmeno chi si era: la forza di rialzarsi è il tratto distintivo dei ragazzi della Pellegrina.

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