Piacenza dice addio a Pino Vommaro, Idda (Caritas) “Era uno di famiglia”

In queste settimane scandite da un bollettino quotidiano fatto di numeri e percentuali, continuiamo a chiederci: quanti. Quanti morti morti in più, quanti contagi in più, quanti posti in terapia intensiva in più. Quello che ci chiediamo meno, invece, è: chi.

Certo, di qualcuno abbiamo trovato, raccolto e letto avidamente la storia: il politico, l’amministratore, l’imprenditore. Ma come ci ricorda la poesia di Totò, ‘A Livella, siamo tutti uguali davanti alla morte. E chi ci ha lasciato, oggi, è uno dei figli più fragili della nostra Piacenza, che aveva scelto come dimora, e tela per esprimere il suo talento, un angolo del salotto buono della città, il piazzale di San Donnino a pochi passi da piazza Cavalli. Pino il madonnaro, anzi Pino Vommaro, non c’è più. Proprio perché davanti alla morte siamo tutti uguali, è giusto che gli venga riconosciuta la dignità di essere ricordato per nome e cognome, non come mero personaggio di folklore piacentino o, peggio, come stereotipo frutto di fantasticherie romantiche sui clochard.

Pino Vommaro

foto di don Ezio Molinari

La notizia della morte di Pino, a soli 63 anni, si è sparsa velocemente tra i volontari Caritas che lo avevano a cuore come uno della famiglia. “Pino era stato ricoverato per qualche settimana a Castelsangiovanni, per patologie non riguardanti il coronavirus, ed era stato dimesso intorno al 10 di aprile, dopo essere stato sottoposto a doppio tampone con esito negativo. Aveva fatto ritorno nella struttura che lo ospitava, ovviamente in isolamento, dove è stato trovato senza vita dai volontari che gli avevano portato il pasto” spiega Mario Idda, direttore della Caritas, con la voce rotta.

“Ho avuto modo di conoscere Pino un anno fa – racconta il direttore Idda -, è quasi retorico dirlo, ma era una persona che aveva avuto sfortuna nella vita. Poteva sembrare a tratti chiuso, soprattutto con le persone che non conosceva bene, ma in realtà nascondeva un grande desiderio di poter raccontare i suoi sentimenti e le sue disavventure. In questo anno ci siamo potuti incontrare più volte e ho avuto la fortuna di sentirlo raccontare la sua storia, il suo quotidiano che non amava, ma che subiva. La cosa bella che ha tenuto fino all’ultimo è stata questa sua capacità di potersi aprire e di farsi voler bene da tutti noi, volontari della Caritas, e dalla parrocchia di don Ezio Molinari“.

“Non riesco a pensare di non poterlo vedere più. Se per due due giorni non avevamo sue notizie, facevamo subito scattare le ricerche – dice Mario Idda -. Gli volevamo davvero bene, come per tanti altri, era davvero uno di famiglia, perché è così che noi in Caritas vediamo il nostro compito, non certo come un lavoro”.

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