Hong Kong tra ieri e oggi: che fine ha fatto la sua democrazia?

Che ne è stato del Porto Profumato, passaggio strategico di scambi con Cina e Giappone, ma anche  con tutto il Sud Est Asiatico? Sa di amara malinconia il racconto della giornalista Ilaria Maria Sala, corrispondente da Hong Kong per testate di spicco come The Wall Street Journal, The Guardian, La Stampa e Internazionale e collaboratrice di una delle voci più autorevoli del giornalismo orientale, Tiziano Terzani.

Ospite venerdì 4 febbraio al secondo appuntamento del nuovo ciclo della rassegna ‘Visioni’, promossa dal Caffè Letterario del Liceo Gioia, Sala abita ad Hong Kong da ormai venticinque anni e ha perciò potuto assistere da vicino alle trasformazioni radicali della città negli ultimi tempi, tra forti istanze democratiche e politiche accentratrici di Pechino sempre più oppressive, fino al culmine del 2020-21. Quello della giornalista è stato quindi un intervento a largo spettro rivolto agli studenti sulla questione di Hong Kong e le politiche cinesi, con un focus privilegiato sulle manifestazioni pro-democrazia del 2014 e del 2019, che portarono tra le strade di Hong Kong milioni di persone e di cui Sala è stata diretta testimone. Il prossimo incontro della rassegna sarà venerdì 11 febbraio. Dalla Storia di Hong Kong come florida e agognata colonia britannica ceduta dalla Cina dopo la guerra dell’oppio nel 1842 e ritornata poi alla Repubblica Popolare cinese nel 1997, fino alla sua crisi: una rottura nei fatti di quel principio ‘Un paese, due sistemi’, base della salvaguardia democratica della città, che avrebbe dovuto garantire ad Hong Kong autonomia politica, legislativa, giuridica ed economica per i successivi 50 anni rispetto all’autorità centrale di Pechino.

“Colonia d’elezione dove molti, cinesi compresi, hanno scelto si stabilirsi per sfuggire agli sconvolgimenti politici (prima la caduta dell’Impero Cinese, poi l’istituzione della Repubblica Popolare) e godere del libero mercato – ha spiegato Ilaria Maria Sala -,  Hong Kong era ben diversa dalle colonie d’estrazione indiane o africane. Fin sulla soglia del passaggio di sovranità cinese, Hong Kong e la Cina appaiono molto distanti tra loro: quest’ultima comincia ad affacciarsi come potenza economica internazionale destinata nel tempo ad un’espansione senza precedenti; la prima è relativamente piccola, con 7 milioni di persone, e diversa linguisticamente. Richiamo emotivo e senso d’appartenenza passano anche attraverso le lingua, nel ‘Porto Profumato’ si parla cantonese, pur riconoscendo l’importanza di sapere il mandarino e altre lingue per comprendersi reciprocamente valorizzando le differenze. Viceversa a Pechino si parla mandarino come lingua ufficiale, diventata soprattutto oggi simbolo di patriottismo e unità del governo centrale contro la visione pluralista di Hong Kong”.

“La visione opposta di società moderna, democratica da un lato e accentratrice dall’altro – continua la giornalista -, diventa quindi terreno di aspro, crescente sconto tra Kong Kong e Pechino nelle proteste del 2014 e del 2019. Il patto di autonomia dall’autorità centrale (‘Un Paese e due sistemi’) si basa anche sulla cosiddetta  ‘Legge Fondamentale’, all’inizio fortemente promossa dalla Repubblica Popolare Cinese: sorta di Costituzione di Hong Kong che promette il suffragio universale per tutti i cittadini maggiori di 18 anni. Promessa clamorosamente infranta quando Pechino nel 2014 annuncia che Kong Kong avrebbe potuto votare il proprio leader solo scegliendolo da una lista di nomi approvati da Pechino”.

Ecco che allora Ilaria Maria Sala si sofferma sulle proteste per rivendicare elezioni libere, durate ben 79 giorni portando in piazza moltissimi adolescenti tra i 16 e i 17 anni, ansiosi di poter decidere del loro futuro. Fortissimo il sostegno della popolazione ai manifestanti, con viveri, coperte, lezioni e film proiettati all’aperto; pugno duro delle forze dell’ordine tra lacrimogeni e spray al peperoncino, anche a fronte di proteste pacifiche. Umiliante la conclusione: protesta fortemente politica, venne beffardamente sgomberata come un banale problema di traffico, che intasava le strade causando ingenti perdite economiche agli autisti di autobus. “Agli arresti – racconta Sala – seguirono anni di rassegnata umiliazione, fino ai nuovi sconvolgimenti del 2019”.

Ma cos’hanno in comune le proteste del 2014 e quelle del 2019, più lunghe e sanguinose, contro la legge sull’estradizione voluta dal capo dell’esecutivo Carrie Lam? Un provvedimento che, se approvato dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati, in barba all’indipendenza e all’impronta filo- britannica del sistema giudiziario di Hong Kong? Entrambe mosse a tutela dell’autonomia locale, la giornalista nota importanti tratti affini. “Ruolo di primo piano degli studenti appoggiati, specie nel 2019, da giornalismo indipendente pro-democrazia; forte consapevolezza politica e volontà di interazione dei giovanissimi con Pechino, che si scontrano però con un’ottusa sordità al dialogo da parte del potere centrale; violenza della polizia, acuita nella seconda trance di manifestazioni. Nel 2019 infatti forze dell’ordine e squadre di teppisti complici sono arrivati a picchiare brutalmente ragazzi disarmati, infierendo contro di loro e ferendoli gravemente”. Per non parlare delle centinaia di arresti tra quei 2 milioni di partecipanti.

È lucida e senza sconti l’analisi di Sala, come quella di chi ha visto e parlato con le persone. E poi? Dopo l’annuncio, per il momento solo quello, del ritiro della legge sull’estradizione, arriva il 2020: l’ora più buia per Hong Kong, tra pandemia e legge di Sicurezza Nazionale. Stringenti norme anti-pandemiche hanno di fatto interrotto le proteste e ancora oggi non permettono di incontrarsi a più di tre persone per volta, né di viaggiare senza lunghissime quarantene o di portare anche da soli cartelli che possano indurre all’assembramento. Ma soprattutto la legge sulla Sicurezza Nazionale varata da Pechino nel giugno 2020, sembra aver cancellato quel poco che restava della democrazia di Hong Kong. Chiusura di tutti i giornali indipendenti, cartacei e on-line, censura dei contenuti web, controllo elettorale stringente del Parlamento locale, divieto di mostrare bandiere se non quella nazionale, o striscioni che non inneggino alla madre patria. Obbligatorio l’inno nazionale a scuola senza storpiature, è perfino tornata la censura cinematografica sui film ‘non patriottici’: come se la deriva annunciata in ‘Ten Years’ nel 2015 fosse arrivata con cinque anni di anticipo.

Non resta allora che emigrare per un giovane di Hong Kong in cerca di futuro e ultimamente succede spesso. Mentre Ilaria Maria Sala oggi dal ‘Porto Profumato’ scrive di cultura, attivista silenziosa sulle fragili tracce di una città sospesa che sta perdendo se stessa.

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