Incinta di 9 mesi in fuga da Kiev, l’odissea di Barbara “Grazie Piacenza e grazie Italia per averci accolti”

Incinta di 9 mesi in fuga da Kiev, con il cuore diviso a metà. L’odissea di Barbara, colonnello dell’esercito ucraino, si è conclusa alle prime luci dell’alba di domenica 6 marzo, con l’arrivo nel porto sicuro di La Verza alle porte di Piacenza, dove vive la sorella Nadine. Con lei un carico prezioso: la figlia Anastasia, l’amica Tatiana con la sua bambina Angela e il gatto Tommy, l’ultimo prezioso affetto strappato ai furori della guerra. Ad accoglierle, bandiere dell’Italia e dell’Ucraina, e tanti palloncini colorati.

Accoglienza ucraina

Ma è un cuore diviso a metà, quello di Barbara, perché a Kiev ha lasciato il marito Volodimir, ufficiale dell’esercito, a combattere per la libertà del suo paese, così come il marito dell’amica Tatiana, Sergei. La scelta di partire è obbligata, per salvare la vita di Anastasia e proteggere quella che porta ancora in grembo, un maschietto. “Sono diabetica e avevo già programmato il cesareo a Kiev: avrei dovuto partorire il primo marzo” racconta Barbara, nel salotto della sorella Nadine e del cognato Ile, ora al riparo sicuro dell’amore dei nipoti e della mamma, che già vive qui, e con il supporto di Domenico Zampaglione e della sua compagna Antonella, i vicini di casa che ospiteranno Tatiana e Angela. Barbara stringe tra le mani il telefono, in costante contatto con il marito, lo sguardo verso il televisore, che trasmette senza sosta gli aggiornamenti del conflitto. Avvolta in una felpa rosa, si accarezza la pancia.

“Dovevo partorire – continua -. Poi è scoppiata la guerra. Il grattacielo sventato da un missile, che avete visto su tutti i giornali, si trova vicino all’ospedale dove ero ricoverata. Abbiamo sentito un urto terribile, i vetri delle finestre tremare. Le pazienti, anche se hanno partorito da poco, devono scappare nei bunker ogni volta in cui suonano le sirene, con i loro bimbi stretti in braccio. Non avendo più biberon a disposizione, i sanitari hanno ripiegato sui guanti in lattice per poter nutrire i neonati e anche i medicinali stanno finendo, io stessa sono riuscita a recuperare l’insulina che mi serve con grande difficoltà. Senza, avrei rischiato la mia vita e quella del mio bambino. Il ginecologo che avrebbe dovuto operarmi mi ha consigliato di trovare un’altra soluzione, perché in questa situazione non avrei potuto avere l’assistenza adeguata per la mia patologia: sono state chiuse le terapie intensive e mancano anche i medici”.

Scatta quindi il piano di emergenza: raggiungere il suo paese di origine, nella provincia di Chernivtsi al confine con la Romania, a 800 km di distanza da Kiev, stipando in auto il minimo indispensabile, insieme a Anastasia, Tatiana, Angela e il gatto. “Mio marito ha ottenuto due ore di permesso per aiutarci a partire – spiega -. Dopo abbiamo saputo che un suo collega, mentre stava accompagnando la moglie e i due figli, è stato ucciso e la moglie ferita gravemente. Non sappiamo, invece, cosa sia accaduto ai loro bambini”. Inizia così la prima fase di questa odissea: due giorni di viaggio, dice Barbara, tra posti di blocco continui, ponti e cavalcavia fatti saltare in aria e strade chiuse. Ad attenderle dall’altra parte, alla dogana romena, il cognato Ile arrivato in aereo. “E’ stato straziante – si inserisce Ile nel nostro colloquio – vedere tutte queste persone, mamme e bambini, con i loro zainetti, in attesa di qualcuno che li aiuti. Abbiamo visto tanta umanità, anche in Romania: nel viaggio di ritorno verso Piacenza (altri 1.400 km, ndr) non sono mancate le peripezie e siamo stati accolti sempre con calore. Abbiamo avuto bisogno di assistenza per la macchina e non ci hanno fatto pagare la riparazione”.

“Noi siamo fortunati – prosegue Nadine – perché abbiamo potuto accogliere mia sorella e mia nipote e, grazie alla disponibilità del nostro vicino Domenico, anche la sua amica e la figlia avranno un alloggio. Sapendo del loro arrivo, in tanti ci hanno già fatto avere vestiti e tutto il necessario per aiutarle in questa prima fase”. “Nessuno di noi – continua – si aspettava che la situazione in Ucraina potesse degenerare così rapidamente, e nessuno di noi vuole questa guerra. Come possiamo considerare nemici i russi, che fino a ieri erano i nostri fratelli? I veri colpevoli sono i politici”.

“Un mese fa – dice Nadine – è mancato mio padre e sono tornata nel mio paese, per poter assistere ai funerali insieme a mia mamma. Da lì, siamo andati a Kiev a trovare Barbara, che non poteva spostarsi viste le sue condizioni. Ecco, in Ucraina nessun giornale o trasmissione televisiva parlava di guerra. Le uniche notizie riguardavano il covid e la campagna vaccinale”. “Invece una mattina ci siamo svegliati con la guerra addosso – interviene di nuovo Barbara -. Ero in Crimea, nel 2014, ma non abbiamo assistito a nulla del genere. Ora ci sono le bombe, le sirene continue, i civili morti: mi ha fatto ricordare i racconti della seconda guerra mondiale dei nostri nonni e bisnonni. Questa non è una guerra che l’Ucraina ha voluto, Zelensky è il presidente che ci siamo scelti ed è un grande presidente. Non è un politico, ma una persona come noi, vuole la libertà del nostro Paese e per garantire un futuro per i nostri figli. La gente lo sostiene perché non vuole cedere la sua terra. Per spiegare la situazione, potrei dire che è come se, un giorno, il vostro vicino venisse a casa vostra e vi dicesse che tutto quello che possedete è suo, perché era così 50 anni fa”.

“L’Unione Europea – continua – sta facendo molto per aiutarci, con l’invio di aiuti umanitari e l’accoglienza dei profughi, ma serve di più. Se distruggi l’Ucraina, distruggi l’Europa, perché noi siamo nel cuore dell’Europa”. Barbara guarda la figlia, Anastasia. “Piange sempre – dice – perché è molto in pena per il suo papà. Ha paura possa morire”. In tanto dolore resta però lo spazio per il futuro. “Sceglierà lei il nome per il fratellino, è la sorella maggiore”. Un futuro da abbracciare a breve – dopo le prime visite e accertamenti alla Clinica Piacenza e nel reparto di ginecologia dell’ospedale, diretto da Renza Bonini – in una culla dove il giallo e l’azzurro dell’Ucraina si fonderanno nel bianco e rosso di Piacenza.

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