Un podcast e un talk per “Ridare giustizia a Elisa e combattere la violenza di genere”

“Elisa aveva i capelli neri, gli occhi azzurri e grandi. Era simpatica, allegra, aveva sempre il sorriso sulle labbra: amava l’aria aperta, l’estate, la vita, amava la sua famiglia. Preferiva ascoltare gli altri piuttosto che parlare di sé, stava ore ad ascoltare la sua musica. Elisa è mia sorella, con lei ho condiviso ogni tipo di d’emozione e tutti i miei ricordi parlano di lei. Per questo è stato difficile dover accettare di non averla nel mio futuro. Per questo oggi è difficile pensare che non sia qui tra noi”.

Così Debora, ricorda a due anni di distanza la sorella Elisa Pomarelli, 28enne di Borgotrebbia uccisa nell’agosto del 2019 da Massimo Sebastiani, superficialmente definito da alcuni media ‘gigante buono’. L’opportunità per dare un ritratto autentico della sorella è arrivata dall’attrice piacentina Letizia Bravi, che in in podcast di 8 puntate intitolato ‘ll gigante buono e le altre bugie che ci raccontiamo’ ha voluto ridare voce a Elisa distanziandosi in modo netto da una narrazione diffusa e mistificatoria, focalizzata più sulla vittima che sul carnefice. Il 23 giugno, giorno del compleanno di Elisa, a due anni dalla sua scomparsa è diventato allora preziosa occasione per un’ampia riflessione condivisa: che da quell’orribile femminicidio e dalla decostruzione delle sue distorsioni ha abbracciato l’intero fenomeno della violenza di genere, con la presenza di esperte del settore.

Un viaggio intimo e culturale al Teatro Gioia di Piacenza, un talk inframmezzato da letture di brani del podcast, tra testimonianze, fatti di cronaca e parole di chi a Elisa teneva veramente. Per non dimenticare, per riconoscere e chiamare le cose con il loro nome. Perché fatti così non si ripetano. All’incontro serale, oltre a Debora Pomarelli e Letizia Bravi, erano presenti anche Alice Lo Presti e Benedetta Drago, che hanno aiutato l’attrice nella scrittura prodotta da Roger podcast e diverse attiviste piacentine di collettivi femministi, da Non una di meno, a R- Esisto, fino alle Donne in nero.

“Elisa aveva 28 anni, era mia coetanea e mia concittadina – racconta Letizia all’inizio del podcast -, ed è stata uccisa per mano di un uomo di cui si fidava”. Un’equazione angosciante scatta subito alla mente: “Elisa Pomarelli poteva essere mia sorella, potevo essere io”. Da qui nasce il tentativo di restituire dignità alla storia di Elisa, dal grido di dolore della famiglia il giorno della sentenza di Massimo Sebastiani, condannato a vent’anni con rito abbreviato in forma non definitiva. “Questa non è giustizia” hanno detto tutti quelli che a Elisa volevano bene. E per provare a darle un po’ di quella giustizia mancata, Letizia ha voluto raccontare questa storia. Dove il “gigante buono” non è certo quello ‘gentile’ di Roald Dalh citato nel podcast, ma è un assassino che con le sue ombre e la sua ossessione ha strappato per sempre i sogni luminosi di chi lo credeva un amico. “All’inizio non avevo idea di quale forma avrebbe assunto il mio racconto – ha spiegato l’attrice piacentina -, ma ora penso che il podcast sia quella più giusta per un punto di vista intimo e non stereotipato, capace di creare una connessione profonda con gli ascoltatori grazie alla testimonianza diretta di chi ha conosciuto Elisa in prima persona”.

A confermare la validità del progetto è la stessa Debora Pomarelli. “Ho capito in breve tempo che l’intento di questo podcast non voleva essere quello di strappare facili lacrime al pubblico, come spesso tende a fare il giornalismo più comune – ha spiegato -, ho percepito una reale volontà di conoscere la figura di Elisa e approfondire la nostra tragedia. Per questo mi sono lasciata coinvolgere, spero che il progetto aiuti a ricordare mia sorella, a darle un po’ della giustizia che non ha avuto e alla sensibilizzazione sul tema della violenza di genere”. E mentre, tra una lettura e l’altra, scopriamo quanto anche negli anni passati i media abbiano adottato un approccio semplicistico e fuorviante per descrivere i femminicidi e il loro contesto – l’amore non corrisposto, il tradimento, la separazione il raptus all’origine del gesto, che sembrano quasi giustificare il delitto sono alcuni significativi esempi – le attiviste denunciano come il femminicidio di Elisa non sia un caso isolato a Piacenza.

“Il giorno stesso della sentenza di Sebastiani – ricordano – c’era stata quella per un altro femminicidio avvenuto pochi mesi prima a Borgonovo, ai danni di una ragazza marocchina uccisa a coltellate dal marito. La pena è però stata differente, con la condanna all’ergastolo nel secondo caso. Eravamo fuori dal tribunale e abbiamo partecipato a tutto lo sgomento della famiglia Pomarelli, che si è sentita presa in giro anche per il ricorso al rito abbreviato. E non si tratta certo degli unici due casi piacentini”. “Il problema è però a monte – hanno sottolineato le esperte -. Il delitto è solo la punta dell’iceberg della violenza di genere, fenomeno molto più ampio e frutto di una struttura ancora essenzialmente patriarcale della nostra società. Una concezione fortemente maschilista e discriminatoria verso il genere femminile, che permea il linguaggio, gli atteggiamenti, e affonda le sue radici in un’educazione a dominio maschile tutt’ora focalizzata sulla divisione dei ruoli, passando per la disparità di trattamento economico”.

“Ed è sulla demolizione di questo paradigma culturale che dobbiamo lavorare se vogliamo migliorare le cose, facendo attivismo dal basso, ma anche nei centri istituzionali e di potere: tribunali compresi, dove spesso una decisione ingiusta segna il destino di una vita” hanno detto. “Non dimentichiamo però che mancano anche leggi adeguate e specifiche contro la violenza di genere e l’omo-lesbo-trans-fobia – ha evidenziato poi il collettivo Non una di meno -. Quello di Elisa è stato anche il lesbicidio non riconosciuto di una ragazza che aveva ogni diritto di scegliere chi amare. Servono strutture supplementari per le vittime di violenza e sostegni economici adeguati che permettano loro di ricostruire la propria vita”.

Conoscevamo Elisa Pomarelli dalle foto e dalle notizie raccontate sui giornali. Ora, grazie al podcast di Letizia Bravi e alle parole di chi l’ha conosciuta, vive in mezzo a noi nel modo più vero. Forse in quel mondo senza pensieri che andava cercando mentre ascoltava la sua musica: un mondo che sua sorella Debora si augura abbia finalmente trovato.

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di PiacenzaSera, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.