“Noi familiari di Daniele sconteremo questa pena fino alla fine dei nostri giorni” La lettera

Daniele Zanrei aveva 30 anni quando è rimasto ucciso insieme alla fidanzata Sonia Tosi in un incidente stradale il primo agosto 2021, lungo la provinciale di Zena a Carpaneto. Giovedì 22 settembre si è chiuso il processo di primo grado, che ha visto condannato a sei anni Paolo Ziliani, alla guida della vettura che tamponò e travolse i due giovani. Come è stato confermato durante il processo, era alla guida con un tasso alcolemico pari a 2,1, quattro volte oltre il limite consentito. Riceviamo e pubblichiamo la lettera dello zio di Daniele, il signor Angelo Rebecchi, che insieme ad altri familiari ha seguito le varie fasi del processo, ecco il testo:

Ho assistito al processo riguardante l’omicidio stradale in cui hanno perso la vita mio nipote Daniele e la sua fidanzata Sonia, e sono rimasto sbalordito dagli argomenti trattati dalla difesa dell’imputato – premetto che all’inizio dell’udienza era già stata accertata la sua totale colpevolezza dovuta allo stato di ebbrezza e all’alta velocità. Ne cito alcuni: mio nipote avrebbe dovuto sentire il rumore e addirittura vedere con lo specchietto retrovisore l’auto che sopraggiungeva e che poi lo ha tamponato. Avrebbe dovuto viaggiare ancora più a destra della carreggiata, in modo che l’automobilista forse avrebbe potuto scansarlo, anche se poi la reazione di frenata ha fatto sì che trascinasse la Vespa per 130 metri. Non per ultimo il limite di velocità che sussiste su quel tratto di strada: divieto di superare i 50 km orari (anziché 115 circa accertati), “messo in passato perché vi transitavano innumerevoli autotreni di ditte della zona, ma che ad oggi non se ne vede la necessità, dal momento che le ditte hanno chiuso”.

A questo punto mi chiedo: c’è forse una remota possibilità che il colpevole possa essere mio nipote? Colpevole di essere stato lì!
Secondo il mio buon senso sarebbe stato meglio non mettersi alla guida in quello stato. Sentenza: il conducente dell’auto è a casa sua con mamma e papà (anche se con qualche restrizione); anche mio nipote è a casa con i suoi genitori, anche se in un’urna. Io da comune cittadino ragiono in questo modo: se i giudici applicano le leggi e gli avvocati fanno gli avvocati (spesso del diavolo), noi comuni mortali cosa dobbiamo pensare? Cosa stiamo insegnando alle nuove generazioni? Che sulla strada puoi fare quello che vuoi che tanto ti andrà sempre bene? Che chi ruba o spaccia avrà sempre pene più pesanti di uno che ha volutamente deciso di ubriacarsi e di premere l’acceleratore uccidendo sul colpo due persone? Ma la vita è o non è ancora il bene più prezioso? Oggi parliamo di omicidio stradale, chi uccide dovrà pur scontare una pena maggiore di un ladro e di uno spacciatore, o no? 

Mi permetto un’ultima considerazione: al di là della sentenza e delle pene da scontare, noi familiari sconteremo questa pena fino all’ultimo dei nostri giorni, ma l’omicida avrà mai la possibilità di rendersi conto di ciò che ha commesso? Un’occasione l’avrebbe avuta nell’aula del tribunale, durante l’udienza, se si fosse girato a guardare in faccia, almeno un istante, il dolore dei genitori e di noi parenti.

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