Gianni Azzali, una vita in musica “Il jazz? È per tutti, ma in pochi lo conoscono”

“Il jazz è per tutti, ma oggi in pochi lo ascoltano e lo conoscono. Eppure la varietà intrinseca di questo genere lo rende veicolo naturale di un potente, attualissimo messaggio di inclusione sociale, che non bisogna smettere di divulgare”. A parlare è Gianni Azzali, musicista, direttore artistico del Piacenza Jazz Fest e presidente del Piacenza Jazz Club: alle spalle una lunga esperienza di insegnamento e performance musicale.

Lo abbiamo intervistato per un’importante ricorrenza: il ventesimo compleanno del Piacenza Jazz Club. Un traguardo che ispira storie da raccontare, emozioni e fatiche vissute da chi, ormai non più ragazzino, alla musica ha dedicato la propria vita e continua a farlo in molti modi. Convinto che ogni persona e ogni genere musicale apportino qualcosa di unico nella vita di ognuno, Azzali sa bene quanto la musica sia dono di vita e coesione sociale in un mondo troppo spesso isolato e diviso.

Piacenza Jazz Fest e Milestone compiono 20 e 16 anni, discrepanza che segna la storia dell’associazione culturale da lei presieduta. Come nasce Piacenza Jazz Club? Piacenza Jazz Fest e Piacenza Jazz Club nascono come associazione no-profit vent’anni fa, nel 2003. La discrepanza è dovuta al fatto che fino al 2007 non avevamo il Milestone, cioè la sede dove operare e fare concerti, per cui ci siamo appoggiati ad altre associazioni. Ecco perché 20 anni per il Jazz Club come associazione e quindi 20 anni di Jazz Fest, ma solamente 16 per il Milestone, sede ottenuta grazie alla collaborazione del Comune di Piacenza in cui organizziamo concerti, ma anche conferenze, corsi di musica, ascolti guidati. Quanto poi alla nascita dell’associazione, la storia del Piacenza Jazz Club è curiosa e inizia con una certa casualità. Musicista e amico di musicisti professionisti e amatori, nel 2002 ricevo da uno di loro un sms (allora non c’era WhatsApp) in cui mi propone di organizzare concerti di musica jazz a Piacenza. Io stavo partendo per Parigi per tentare di sviluppare la mia carriera musicale e non ho dato peso al suggerimento. Con il termine dell’esperienza parigina però, al mio rientro in Italia quest’idea comincia a prendere forma e, insieme ad altri amici musicisti di Piacenza e dintorni, decidiamo di muovere i primi passi per raccogliere i fondi necessari, tra istituzioni e sponsor privati. Un percorso non facile, imparato e irrobustito nel tempo: sapevamo di musica, ma niente di come si costruisse una realtà associativa. Io stesso ho imparato il mestiere di organizzatore e direttore artistico scontrandomi a volte con una forte burocrazia, con le spese e le energie necessarie per promuovere eventi e attirare pubblico. Oggi, a distanza di vent’anni, posso dire che questo amato mestiere porta via moltissimo spazio al lavoro di musicista.

In che misura la sua professione di musicista influisce sul ruolo di direttore artistico del Jazz Fest? Ovviamente influisce, proprio essere musicista mi ha permesso di diventare direttore artistico di tutte le attività del Piacenza Jazz Club e del Jazz Fest soprattutto. Il mio strumento è il sax da quando ero ragazzino, una sorta di prolungamento della voce umana che ormai non suono spesso per mancanza di tempo. Essere addetto ai lavori come musicista,  fa sì che io sia in grado di valutare al meglio le diverse proposte e sappia cercarne di nuove. Questo vale naturalmente anche per i miei colleghi, sempre intenditori di musica: aldilà del mio maggiore peso decisionale dovuto alla lunga esperienza con il jazz, le nostre valutazioni sono sempre collettive. La sensibilità musicale condiziona anche la qualità delle relazioni umane. Come datore di lavoro e musicista, mi metto facilmente nei panni di chi viene a suonare da noi, intuisco le diverse situazioni e sensibilità. Gli artisti che arrivano sul nostro palco si sentono spesso compresi e coccolati come a casa.

Parliamo di jazz: quali sono le caratteristiche fondamentali di questo genere? Il jazz è  fondamentalmente improvvisazione, un modo di vivere la musica completamente diverso da altri generi. Tra le caratteristiche principali ci sono anche e la contaminazione. Nasce infatti dalla commistione di Africa e America, da qui il termine di ‘musica afroamericana’ (bianca e nera come i tasti del pianoforte) che ha dato origine ad un modo di suonare completamente nuovo a partire da fine ‘800, inizio ‘900. Una contaminazione continuata ed evoluta nel tempo, fino a comprendere diversi Paesi del mondo e diversi generi musicali: dalla musica classica, al rock, al folk, alla musica popolare; tutto rivisitato con l’improvvisazione. Questa estrema varietà fa del jazz una musica per tutti. Difficile spiegare in poche parole cosa sia l’improvvisazione, di fatto significa suonare musica basata spesso su canovacci, un giro armonico di accordi sui quali il musicista suona note che non sono scritte, in relazione all’esperienza personale e a alle proprie capacità. Questo rende il jazz un unicum per cui nessun concerto sarà mai uguale, mai completamente replicabile.

Vent’anni sono un traguardo importante, un bilancio? Quali saranno gli appuntamenti imperdibili della XXesima edizione? Sono un bel traguardo, non è facile fare un bilancio complessivo. All’inizio eravamo tutti più giovani ed entusiasti, galvanizzati all’idea di incontrare dal vivo artisti che erano i nostri miti musicali; avevamo tutto da imparare e da costruire. Una grossa novità anche per Piacenza, non c’era mai stato un Festival di queste proporzioni, con nomi così importanti. Nel tempo l’impegno è rimasto, ma i nostri eventi sono diventati una piacevole consuetudine cittadina, per quanto sempre molto attesi. L’arrivo della nostra sede, quindi del Milestone, ha permesso una maggiore organizzazione e un notevole aumento dell’attività concertistica rispetto al passato. La musica nelle nostre valli del Summertime in Jazz, iniziata 10 anni fa, e l’introduzione progressiva di iniziative collaterali a sfondo sociale legate al territorio hanno poi impresso alla nostra realtà una dimensione culturale complessiva, che si spinge oltre gli eventi musicali.

Un concerto indimenticabile? Sicuramente quello del sassofonista Wayne Shorter sul palco del Municipale nel 2005 ci ha fatto diventare grandi segnando un salto di qualità. Abbiamo affrontato per la prima volta un mostro sacro del jazz in un grande teatro, con notevoli dispendi economici e organizzativi tra i quali io e i miei collaboratori abbiamo imparato a destreggiarci: pompieri, catering in camerino, limousine all’arrivo in aeroporto. Una eccitante sfida professionale con sforzi e rischi da superare, che ha visto Piacenza molto ricettiva grazie al contributo del Comune e della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Una straordinaria esperienza emotiva e di crescita con quello che da sempre considero il mio più grande mito del jazz. Sugli appuntamenti futuri non posso anticipare niente, a metà febbraio ci sarà la conferenza stampa del Jazz Fest alla Fondazione di Piacenza e Vigevano in cui daremo tutte le informazioni necessarie. Unica anteprima già nota è il concerto del grande chitarrista Mike Stern sul palco del President il prossimo 6 aprile. Per il resto daremo ogni comunicazione tramite i nostri social e i siti ufficiali: www.piacenzajazzclub.it/piacenza-jazz-fest.

Piacenza Jazz Fest si arricchisce di eventi collaterali con l’Altro Festival, inserendosi nel tessuto cittadino. Quanto è importante il valore sociale della rassegna? L’Altro Festival per noi è molto importante, è il vero punto di contatto con il territorio. Già da 7– 8 anni le sue attività hanno acquisito maggiore slancio perché riteniamo che gli eventi culturali in città e provincia non debbano essere semplicemente rivolti agli appassionati di jazz o ai teatri, ma coinvolgere in diversa misura tutto il territorio e i suoi vari strati sociali. Da qui si sviluppano i rapporti con le scuole, con il carcere, quando era possibile si portava la musica in ospedale e nelle case protette. Poi ancora: il Concorso Bettinardi, momenti più conviviali con brunch e colazioni jazz, divertenti incursioni jazz in centro storico e sui bus di linea, concerti nei pub, nei centri commerciali, presentazione di libri e conferenze. Tutta una serie di variegate iniziative che tiene conto di un’utenza non specialistica. Lo scopo è quindi avvicinare le persone al jazz e allargare il bacino di ascoltatori senza scadere di qualità.

Il Concorso Bettinardi è testimonianza della vostra costante attenzione a giovani promesse nostrane. Piacenza diventa spesso trampolino di lancio di talenti nazionali? Il Concorso Bettinardi è stato un trampolino di lancio per diversi musicisti. Tanti di loro stanno lavorando bene, hanno inciso dischi con etichette importanti e sono ancora abbastanza giovani per avere il tempo di scalare la classifica di popolarità. Potrei citare il vibrafonista Marco Pacassoni, tornato di recente al Milestone e ormai conosciuto su scala internazionale dopo l’esordio al Bettinardi; ma ci sono anche Claudio Filippini di Pescara al pianoforte, il giovanissimo Alessandro Lanzoni sempre al pianoforte, che adesso suona con big come Rava. Uno dei motivi per cui abbiamo istituito il Concorso Bettinardi è  sicuramente la volontà di intercettare giovani talentuosi, ma il primo scopo di questa iniziativa è riuscire a dar loro quella visibilità che in Italia spesso manca, soprattutto in campo jazz. Rendiamo  quindi noti i risultati ottenuti dai partecipanti con comunicati stampa sui giornali locali, soprattutto se i ragazzi arrivano in finale; acquistiamo spazi pubblicitari su riviste nazionali di settore (Musica jazz o Jazzit) e aggiorniamo costantemente social e siti. Ultimo, ma non meno importante aspetto: il premio in denaro che i partecipanti più talentuosi ricevono può servire per finanziare la loro prima produzione discografica, ma soprattutto i primi classificati di ogni sezione, tra solisti, gruppi e cantanti, vengono inseriti nel cartellone principale dell’anno successivo. Una preziosa occasione di arricchire il proprio curriculum e confrontarsi con artisti di portata nazionale.

Insegna anche a scuola di musica, è convinto che il jazz sia per tutti, ma rimane un genere poco conosciuto. Come mai? Sono stato insegnante di musica, anche il Milestone ha la sua scuola, oggi ho meno tempo e passione per questo lavoro. È stata comunque un’occupazione molto bella e utile, penso sia estremante importante divulgare musica jazz nelle scuole, dalle elementari alle superiori, fino all’università. Oggi infatti il jazz si ascolta meno rispetto al passato, quando canzoni, trasmissioni televisive e radio del dopoguerra davano ampio spazio al genere. I ragazzi non conoscono quindi né tutta la bellezza, né i fondamenti di questa musica, simbolo per eccellenza del valore della diversità. Sono convinto che sia un genere per tutti proprio per la sua straordinaria varietà costitutiva. C’è però anche il rischio molto comune di scontrarsi con una delle tante anime musicali che il jazz comprende e identificarla erroneamente con la sua totalità, senza riuscire ad apprezzare tutta la ricchezza musicale del jazz. Una conoscenza complessiva e graduale è preziosa per evitare questo errore, ma non si tratta di un problema piacentino. E’ questione di sensibilizzazione culturale e sociale. Noi a Piacenza stiamo facendo molto per divulgare il jazz: l’ultimo importante sforzo in questa direzione è stato l’uscita nel novembre 2022 di ‘365+1 giorni di jazz’, della Zecchini editore. Un calendario jazzistico in cui gli autori Monica Agosti, Giuseppe ‘Jody’ Borea e Claudio Casarola accompagnano quotidianamente i lettori-ascoltatori scegliendo un brano musicale di cui parlare, per svariati motivi, una ricorrenza legata all’artista, emozioni o ricordi personali vissuti. È un libro per tutti, con la particolarità di rimandare a link su spotify dove ascoltare i diversi brani, ma anche quella determinata versione del brano, come si s’addice al multiforme, personalizzatissimo universo jazz. Il libro si può acquistare in libreria o al Milestone le sera dei concerti oppure sempre al Piacenza Jazz Club.

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