“A Piacenza in aumento reati di stalking. Grazie alle forze dell’ordine salvate almeno quattro vite”

“Devo davvero dire grazie alle forze dell’ordine di Piacenza e provincia. Il mio è un ringraziamento davvero genuino, perché ce la stanno mettendo tutta e ho almeno quattro casi di vite salvate grazie alla loro sensibilità. Siete i nostri occhi, le nostre orecchie e a volte anche i nostri sentimenti”. Il procuratore della Repubblica Grazia Pradella, tra i protagonisti del convegno “Violenza domestica e stalking”, tenutosi nella cappella Ducale a palazzo Farnese, ha sottolineato la professionalità delle forze dell’ordine che operano nel Piacentino. Pradella, che ha preso la parola dopo Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della polizia di Stato, ha sottolineato come in ambito lavorativo abbia potuto confrontare la professionalità delle forze dell’ordine italiane rispetto a quelle straniere. “Grazie alla sensibilità insita nel dna delle forze dell’ordine italiane – sottolinea – si è potuto affrontare lo tsunami generato dall’introduzione del Codice Rosso. La rapidità e la competenza che hanno saputo dimostrare ha fatto la differenza”.

L’introduzione del ‘codice rosso’, che scatta in caso di violenze domestiche o di genere, ha dettato una rivoluzione dei ritmi di lavoro in Procura anche a Piacenza. “All’inizio erano due i sostituti procuratori che si alternavano, adesso – dice Pradella – se ne occupano tutti. Ero di turno, questa estate, e ad agosto avevamo tre casi al giorno. Piacenza è afflitta da questo fenomeno, come altre città, ma lo è in modo significativo”. “Il maltrattamento in famiglia è un fenomeno trasversale, che attraversa tutti i ceti sociali e riguarda cittadini italiani e stranieri. Quello che può essere diverso è ciò che lo scatena: nel caso di abuso di alcol o di sostanze, il maltrattante si può recuperare, perché la causa del reato è legata a motivazioni specifiche, non dal suo vissuto o condizioni particolari”. Il procuratore poi osserva come, in alcuni casi, il ‘codice rosso’ sia stato utilizzato come strumento per condizionare i procedimenti civili in caso di separazioni, “per fare sì che la parte offesa si sia senta più agevolata. Dopo qualche querela per diffamazione questo fenomeno si è placato”.

“Constato però un aumento dei casi di stalking, che sono più insidiosi perché la denuncia spesso parte in ritardo da parte delle vittime – osserva il procuratore Pradella -. Gli stalker sono i soggetti più difficili da individuare e recuperare, per la particolarità dei rapporti che li legano alle loro vittime, non necessariamente di coppia, sia per l’utilizzo sconsiderato dei mezzi informatici, che consentono a loro di perpetrare il reato senza fare fatica. Non è necessario inseguire o pedinare. Basta stare a casa propria e inviare ossessivamente messaggi di insulti sul cellulare. E questo – dice – mi fa paura”. “Non so se questi reati siano aumentati proprio per la facilità, grazie ai supporti informatici, con la quale possono essere messi a segno oppure per una certa mitologia della figura dello stalker, che si è venuta a creare anche in parti nefaste della cultura giovanile che esalta comportamenti persecutori. Sono stereotipi che mi preoccupano, perché provengono da persone acculturate, che non hanno problemi economici, e che hanno avuto modo di vedere gli effetti che i loro comportamenti hanno sulla parte offesa, che magari all’inizio si dimostra comprensiva. Proprio questo alimenta la loro aggressività, sono fenomeni ai quali fare attenzione perché – sottolinea il procuratore – proprio nello stalking si inseriscono gli atti prodromici del femminicidio vero e proprio”.

Al convegno hanno preso parte anche la professoressa Barbara Barabaschi, docente di Sociologia economica della Cattolica, la professoressa Roberta Casiraghi, docente di Procedura penale in Cattolica, Silvia Merli, presidente Cipm Emilia, responsabile progetto Enable Piacenza, l’avvocato Donatella Scardi, presidente centro antiviolenza Piacenza. Modera il direttore di Libertà Pietro Visconti.

Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della polizia di Stato, ha fatto una panoramica sugli strumenti a disposizione per contrastare la violenza di genere. “Il 70% degli interventi di polizia e carabinieri riguarda le liti in famiglia, perché è proprio lì che si nasconde il sintomo della violenza – dice -. Per lungo tempo si è pensato che il modo giusto di affrontare questa situazione fosse ricomporre i dissidi, magari tra fidanzato e fidanzato. Ma è un sistema che ha portato a morti e non può più essere applicato”.

Bisogna invece lavorare su “specializzazione, prevenzione, attenzione ai messaggi, non aspettare che ci sia l’intervento della vittima, collaborando in rete tra le istituzioni presenti sul territorio. E’ con la rete che vinciamo, possiamo contenere il fenomeno e pensare di eradicarlo”.

Proprio per questo non bisogna banalizzare. “C’è una differenza tra femminicidio e omicidio di donne, non vanno confusi i piani. Secondo la convenzione di Instanbul il femminicidio riguarda l’uccisione di una donna in quanto tale. Se un fratello uccide una sorella per motivazioni economiche, non è femminicidio, così come per il marito che uccide la moglie gravemente ammalata”. Un chiarimento che non vuole sottovalutare il fenomeno, ma meglio indirizzare i provvedimenti da adottare. “Serve per capire – sottolinea Messina – a quali azioni di contrasto dobbiamo ricorrere”.

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