Entusiasma “Il trovatore” al Municipale, in una edizione da ricordare fotogallery

Ancora un successo, oseremmo dire trionfale, per lo spettacolo operistico andato in scena ieri sera al Teatro Municipale. Il Trovatore ha davvero conquistato tutti e gli interminabili applausi, misti ad ovazioni finali, di un pubblico assai numeroso (teatro esaurito) e partecipativo sono il giudizio più eloquente e lusinghiero. E dire che il capolavoro verdiano è un’opera vocalmente particolarmente impegnativa, piuttosto esposta alle critiche; così non è facile mettere insieme un cast di cantanti di livello ed affiatato, perché i giovani normalmente sono piuttosto acerbi per ruoli così ardui mentre per i cantanti affermati è alto il rischio di incorrere in prestazioni che mettano in dubbio le loro qualità. Ieri sera, invece, abbiamo assistito ad una edizione che si lascia preferire alle precedenti, soprattutto all’ultima del 2013. Occorre andare agli anni ’60 (la prima con Poggi e Torreggiani nel ’60 e la seconda con Labò e Protti nel ’66) per trovare edizioni di pari valore.

Secondo alcuni critici qualificati Il Trovatore è come un concentrato delle qualità di Verdi, coi suoi lampi di genio e le sue enormi oscillazioni di gusto. “Il culmine più eccelso della bellezza” scriveva il famoso critico Bruno Barilli. In effetti questa opera, andata in scena la prima volta al teatro Apollo di Roma il 19 gennaio del 1853 (ricorre, quindi, il 170° anniversario oltre al 210° della nascita del Genio di Busseto) è un autentico capolavoro che racchiude una potenza ed una forza espressiva che conquista e trascina lo spettatore in un vortice di emozioni forti e continue, dove dramma ed armonia si confondono in tinte intense, dove il fuoco (o la fiamma) è sempre presente e pervade l’intero dramma. Qualcuno scrisse pure che nel Trovatore non esiste un momento “piatto” perché la musica ed il canto sono tutti cocuzzoli, uno diverso dall’altro, che toccano i sentimenti più raffinati ed elevati. Il Trovatore viene dopo il Rigoletto ed anticipa “La Traviata” nella celebre trilogia che ha dato a Verdi eterna fama e ne consacra il genio. Il libretto è del povero Salvatore Cammarano, napoletano, che morì l’anno prima tra stenti ed estrema povertà, e non ebbe quindi la possibilità di godere del successo dell’opera che, dopo Roma, entusiasmò tutti i teatri europei, portando anche ingenti guadagni agli autori. Il dramma, invece, è ispirato da un’opera dello spagnolo Antonio Garcia Gutierrez.

Al Municipale in scena

LA TRAMA. In un palazzo nell’Aragona il comandante degli armigeri (Ferrando) invita i parenti del Conte di Luna a stare all’erta, perché il signore è solito passare sotto il balcone dove dorme Leonora, una donna di corte, di cui è innamorato ed è geloso del Trovatore che è solito far giungere un suo canto a Leonora. Richiesto, Ferrando racconta la storia di Garcia, fratello del Conte di Luna, che, quando era ancora in fasce, fu avvicinato da una zingara in un momento di disattenzione della sua nutrice. La zingara, sospettata di artifizi malefici, fu condannata al rogo ed arsa brutalmente. La figlia della zingara, Azucena, volle allora vendicare la madre e rapì il neonato figlio del conte e fratello del Conte di Luna e fece trovare un corpicino sui resti del rogo dove era arsa la madre. Le ricerche per catturare Azucena furono inutili e la zingara incuteva terrore dovunque fosse intravvista. Intanto nel cortile del palazzo Leonora ha un appuntamento col Trovatore (Manrico) ma lo scambia con il Conte di Luna. Questi capisce, dunque, che Leonora ama Manrico: inevitabile che i due debbano battersi a duello. Nel quadro successivo Manrico è in un campo di zingari con Azucena che credeva sua madre fino a quando Azucena gli racconta il drammatico momento quando terrorizzata, invece di buttare sul fuoco il figlio del conte lo scambiò col suo figlio.

Azucena vuole vendicarsi del Conte di Luna che, intanto, aveva sfidato a duello Manrico. Questi ha la meglio ma il suo pugnale viene fermato da una forza divina che salva il Conte di Luna. Azucena, intanto, viene catturata da Ferrando e consegnata al Conte di Luna rivelando l’infanticidio di suo fratello compiuto dalla zingara. Così il Conte di Luna decide di mandare al rogo Azucena. Informato, Manrico corre a salvarla (“di quella pira…” ). Il tentativo è inutile e Manrico viene fatto prigioniero e condannato a morte. Leonora si offre al Conte di Luna pur di salvare la vita a Manrico: ma non sarà così perché beve un veleno che le causerà la morte una volta liberato Manrico e prima di cadere tra le braccia del conte di Luna. Manrico, invece, crede nel tradimento e preferisce la morte che gli vien data dal Conte di Luna. Il fratello, dunque, ha ucciso il fratello e la vendetta di Azucena trova il compimento.

I PROTAGONISTI. Molto convincenti i cantanti. La nostra preferenza va, però, alla sorprendente, che sorpresa non è in quanto l’avevamo già ammirata l’estate scorsa a Palazzo Farnese in Tosca, Chiara Isotton, soprano bellunese di 38 anni, dalla voce morbida, aggraziata e corposa che copre bene ogni registro grazie ad un’ottima preparazione musicale con modulazioni molto raffinate. Già più volte applaudita alla Scala, vi ritornerà sabato prossimo interpretando Maddalena in Andrea Chenier.
Probabilmente il più applaudito è stato il tenore Angelo Villari (Manrico), che già aveva interpretato lo stesso ruolo nel Festival Verdi di Parma. Dotato di voce squillante naturale molto bella e potente, si nota il suo impegno nel saperla plasmare con eccellenti risultati. Generoso e dotato di vis drammatica, disegna un Manrico vigoroso con momenti di rara bellezza come nella “Di quella pira…” salutata da grandissimi applausi.

La mezzo soprano, piacentina d’adozione, Anna Maria Chiuri (Azucena) ha dato un’ulteriore dimostrazione di padronanza musicale, consumata esperienza, di voce sicura e potente e capacità interpretative. Una vera cantante di classe. Anche il baritono Ernesto Petti ha superato brillantemente la prova. Timbro e voce musicale hanno già raggiunto, nonostante la giovane età (35 anni), una certa maturità e, grazie ad una voce che si avvicina molto al baritono verdiano, ha interpretato un Conte di Luna sempre più convincente dando al personaggio quel senso di nobiltà che esige. Il basso Giovanni Battista Parodi è stato un Ferrando convincente ed apprezzabile in una parte più complicata di quanto si possa pensare e che ha svolto con sicurezza e buona emissione. A tono e degni di consensi i personaggi minori interpretati da Andrea Galli, Ilaria Quilico e Lorenzo Sivelli. Ancora una volta il coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto da Corrado Casati, è risultato un valore aggiunto capace di suscitare vibrazioni ed emozioni particolari.

La regia, le scene ed i costumi di Stefano Monti hanno nel complesso soddisfatto per la loro originalità per le soluzioni sceniche. Non ci sono accampamenti, roghi o eserciti, ma scene cubiche che cambiano i colori accompagnando le vicende del dramma e che si muovono quasi obbedendo ad una forza superiore. Una regia nuova ma nel rispetto dell’opera e della tradizione, come efficaci e significative le ombre del Teatro Gioco Vita. In conclusione, abbiamo lasciato l’Orchestra Filarmonica Italiana con la direzione del maestro Matteo Beltrami che ci ha consegnato un Trovatore abbastanza inedito, con un’orchestrazione molto omogenea e controllata, sapendo cogliere sia i momenti delicati che straripanti della musicalità verdiana con il grande pregio di accompagnare e facilitare i cantanti nel loro impegno.

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