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“Giù le mani da Faber” Il corteo dal cimitero di Staglieno

UNA STORIA SBAGLIATA (UNA STORIA VESTITA DI NERO/UNA STORIA DA BASSO IMPERO/UNA STORIA MICA MALE INSABBIATA) di Giovanni Battista Menzani

Sono state due settimane difficili per Meloni e la sua compagine governativa. Come è stato detto, a tredici giorni dal naufragio della barca di migranti a Cutro – 73 i morti accertati – essi hanno sbagliato tutto il possibile sulla tragedia, dal punto di vista politico e comunicativo. Il mancato intervento della Guardia Costiera e il dramma forse evitabile, le frasi prive di empatia del ministro Piantedosi, poi l’inutile passerella dei ministri a Cutro, accolti dal lancio di peluche e di pupazzi (un gesto dalla grande portata simbolica); e ancora, Meloni che si dimentica di omaggiare le salme dei sommersi.

Last but not least, il karaoke per il cinquantesimo di Salvini, con quella (brutta) versione de “La Canzone di Marinella”, ovvero la storia di una ragazza annegata in un fiume a primavera (nello stesso momento, i soccorritori stavano recuperando dal mare l’ennesima salma). Forse è stata un’ingenuità, forse invece è ignoranza; forse è solo indifferenza, il che è pure peggio.
Quest’ultimo episodio ha suscitato, da Palermo ad Aosta, un’ulteriore ondata di indignazione (il solito coro “di vibrante protesta”). A noi ha colpito soprattutto il corteo – c’è chi dice che è bufala, un’invenzione, ma vogliamo credervi – che sta partendo in queste ore dal cimitero genovese di Staglieno, dove riposa Fabrizio De André, diretto a Palazzo Chigi.

Alla testa della manifestazione c’è ovviamente Marinella, e con lei ci sono i corpi dei piccoli Cheyenne che ancor oggi dormono nel letto del Sand Creek, dove i pesci cantano; pochi passi dietro di loro c’è il pescatore, per nulla assopito; il suo solco lungo il viso – come una specie di sorriso – ci ricorda le rughe profonde e il volto bruciato dal sole dei suoi colleghi calabresi, coi loro occhi lucidi per la commozione in grado di restituire orgoglio e dignità a un’intera Nazione. Loro, disposti a tutto pur di salvare vite umane, o pur di sfamarle, di versare il vino e spezzare il pane a chi dice loro “ho sete e ho fame”; loro, disposti anche ad andare contro la legge; e poi ci sono Piero e Andrea, abbracciati sotto una bandiera arcobaleno, tra mazzi di violette (raccolte ai bordi del pozzo) e mille papaveri rossi; c’è Sally, col Re dei Topi; lei è andata nel bosco a giocare con gli zingari, e dietro a lei ci sono i rom di Khorakhané, infatti, con quel loro filo di pane tra miseria e sfortuna (è questo che vuol dire rubare?); c’è Dolcenera con la moglie di Anselmo: loro stanno sempre a bisticciare; c’è Coda di Lupo, che a un Dio a lieto fine non ha mai creduto; ci sono Bocca di Rosa, Bianca Maria, la bambina di via del Campo e tutta una folta schiera di battone e di cortigiane che se fregano della decenza, famose rovina-famiglie tradizionali; c’è il matto, che declama i versi di Majakovskij; c’è il giudice, che è così basso che non si scorge quasi in mezzo al corteo; e poi ci sono il chimico, il medico, il malato di cuore, il suonatore Jones con il suo violino spaccato, e poi ancora Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley; c’è il blasfemo, in compagnia di Tito, il cui testamento si fa beffe non solo dei dieci comandamenti, ma anche del dogma assoluto dei valori tradizionali, quel Dio-Patria-Famiglia così tanto sbandierato; ci sono i drogati del Cantico, con la loro fragilità e la loro paura; ci sono quattro pensionati, mezzo avvelenati, sempre a stracannare e a maledir le donne, il tempo e il governo; c’è Princesa (vero nome: Fernando Farias de Alburquenque), con la camicia aperta e le piccole tette da succhiare, che cammina fiera a braccetto di un avvocato di Milano; c’è Geordie, c’è il Michè, e gli impiccati della Ballata; c’è persino il protagonista della preghiera di gennaio, coi loro corpi ormai privi di vita… che sfregio all’Onnipotente! Perché la Vita è intoccabile, anche quando è solo dolore e atroce sofferenza; ci sono le ragazze e i ragazzi del Maggio del ’68, con i loro striscioni: “Perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina/Convinti di allontanare la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte/Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”.

Insomma, tutta gente che – se giudicata da un buon borghese – verrà condannata a cinquemila anni più le spese. Tra di loro serpeggiano l’indignazione e lo sdegno; qualcuno parla addirittura di sacrilegio (di certo non è Tito). Insieme scendono verso la capitale per urlare a questa classe dirigente senza vergogna: “Giù le mani da Faber!”. Ai nostri microfoni, Marinella ha infatti spiegato: “Solo quando capiranno le sue parole – e dovranno sforzarsi non poco per farlo – solo allora potranno cantare le sue canzoni”.

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