“Non possiamo incerottare l’ospedale, serve una sanità che guardi al futuro”

“Non possiamo incerottare l’ospedale, serve una sanità che guardi al futuro”. Daniele Vallisa, direttore dell’unità operativa di Ematologia dell’Ausl di Piacenza, ha portato la sua esperienza di “medico, non di architetto o tecnico”, durante il dibattito sull’ospedale cittadino, organizzato dal Comune con la partecipazione del comitato Salviamospedale che, come è noto, propone di utilizzare i fondi regionali già stanziati per la riqualificazione dell’attuale nosocomio, rispetto alla costruzione ex novo in un’altra area.

La cappella Ducale di palazzo Farnese ha ospitato una discussione di oltre tre ore, nel pomeriggio del 23 marzo, forse fuori tempo massimo, non tanto per l’evidente inconciliabilità delle posizioni espresse, dall’amministrazione rappresentata dalla sindaca Katia Tarasconi, dall’Ausl nella persona del direttore generale Paola Bardasi e dai numerosi sanitari presentata, e dagli esponenti del comitato Salviamospedale, a partire dal presidente Augusto Ridella, insieme a Giovanni Ambroggi, Stefano Pareti, Stefano Benedetti, ma proprio perché sono trascorsi quasi otto anni dall’annuncio dell’allora assessore alla sanità Sergio Venturi. Davvero era necessario aspettare così tanto tempo per mettersi attorno a un tavolo e discutere tra le opzioni nuovo ospedale sì o nuovo ospedale no, proprio a meno di mesi dalla presentazione dello studio di fattibilità, come assicurato dalla sindaca Tarasconi in consiglio comunale, e da lei ribadito a palazzo Farnese?

Il comitato ribadisce: meglio destinare i 260 milioni di euro promessi dalla Regione per riqualificare l’attuale ospedale. “Che non è vecchio come si vuole far credere – dice Ridella -, l’attuale polichirurgico è stato costruito 30 anni fa”. “Il tema, quello del nuovo ospedale, è affascinante, perché viene presentato come una sfida che i piacentini devono vincere – incalza Ambroggi -. Ma guardiamo il contesto: quello di Piacenza è inserito in una rete di 4 ospedali in provincia, ciascuno con vocazione ben specifica, come è stato chiarito dai piani Ausl. Inoltre nell’arco di 50-70 chilometri si trovano altri tre ospedali universitari. Il polichirurgico è costato 130 miliardi di vecchie lire, quest’anno compie 29 anni di attività, ha visto più ristrutturazioni e ospita il 70%. Il Pronto Soccorso è stato rinnovato nel 2014. Perché non ricavare altri spazi abbattendo alcuni edifici e ricavando un parcheggio per i pazienti e visitatori nell’ex Acna, un’area di 44mila metri quadrati, di cui 28mila già passati al Comune che ha recuperato 9 milioni per la bonifica? Perché con coraggio non proviamo a promuovere un’idea di rigenerazione urbana e chiediamo alla Regione di garantire i fondi per un nuovo e diverso progetto?”

“Porto il punto di vista di un tecnico, anche se alcuni ragionamenti richiedono una risposta non solo tecnica – interviene il direttore Bardasi -. Non è un caso che quando si propone di costruire un nuovo ospedale nascano dei comitati, poi però quando questo viene realizzato non si torna più indietro. Il covid ha messo in evidenza la necessità di ripensare il nostro modo di fare sanità, e ha messo in evidenza tutte le fragilità del nostro territorio. Il nostro ospedale di Piacenza è una struttura bellissima per l’anima che ha, ma è tanto difficile per la gestione quotidiana, lo dico per i professionisti e i pazienti. E’ vero, il polichirurgico ha solo 30 anni di vita ma non è espandibile. Non ci consente di fare innovazioni e offrire nuovi servizi, oltre ad attrarre e trattenere specializzandi. Faccio presente che spendiamo all’anno 7 milioni e mezzo per manutenere l’ospedale. Tra 7 anni ci troveremo ad avere tutti gli impianti che per il 57 % saranno in condizioni critiche, al 33% parzialmente adeguati e solo per il 10% adeguati. Questo dopo aver speso 70/80 milioni di euro complessivamente”.

Dibattito salviamospedale

“E’ dal 2015 che parliamo del nuovo ospedale, siamo nel 2023. Nessuno pensa di farlo se non serve – interviene la sindaca Tarasconi -. L’area di via Taverna avrà un percorso condiviso con l’azienda e il consiglio comunale e insieme si deciderà il destino di questa area. Io mi fido dei professionisti e di chi sa fare il suo mestiere. Non mi farei operare al cervello da un avvocato (un riferimento, questo, alla professione del presidente del comitato Ridella). Per far fronte alle esigenze dei sanitari e dei pazienti abbiamo dovuto spostare reparti, come quello dei diabetici, riorganizzare servizi. C’è una carenza di medici, ma se un neo laureato bravo ha la possibilità di scegliere, sceglie una struttura che ha problemi di criticità o sceglie di andare in un ospedale dove sei al passo con i tempi?”.

Prende poi la parola il dottor Vallisa che prospetta la situazione di difficoltà in cui si trova il suo reparto, sul fronte dell’impiantistica. “Io tra pochi anni vado in pensione, quindi non ho interessi nell’esprimermi su questo tema, ma voglio portare a casa qualcosa di importante per la sanità di domani – ha detto -. Quello che conta non sono i posti letti, ma la qualità del servizio che vogliamo offrire. Non sono un architetto, ma un medico e condivido con voi le esperienze che abbiamo già condiviso nei confronti interni in azienda. E’ vero che abbiamo vicino altri centri di eccellenza, ma come diceva il mio maestro, il prof Luigi Cavanna, se ti viene un “malghino” in piazza Cavalli, è qui che ti ricoverano. Non possiamo incerottare il vecchio, stiamo anche diventando un ospedale universitario”.

“Nessuno conosce l’attuale ospedale come me – continua Luigi Gruppi, il direttore dell’ufficio tecnico dell’Ausl – e i contributi portati dal comitato mi sembrano distanti dalla realtà che conosco. Tante volte sono state fatte le ipotesi di sistemare il nuovo ospedale. Ma ora siamo arrivati alla fine. Anche intervenendo pesantemente, non ha un futuro a livello strutturale, non ha un futuro a livello impiantistico, per realizzare le nuove terapie intensive per il covid abbiamo fatto un miracolo. Vedo una bella prospettiva nel nuovo ospedale. Resto comunque aperto alla discussione, ma non è pensabile demolire e ricostruire i reparti con la gente dentro. Mi riferisco in particolare alla proposta di demolire e ricostruire il centro di salute mentale, perché è a tre metri da un muro farnesiano”.

“Bisognerebbe chiedere alla Soprintendenza, che ultimamente a Piacenza ha dato ugualmente pareri favorevoli a progetti impensabili, penso all’ex palazzo Enel – interviene Stefano Benedetti -. Nell’area dell’attuale ospedale ci sono edifici che possono essere riconvertiti e modificati, per venire incontro a nuove esigenze. Ad ogni modo questo confronto è utile perché si inizia a parlare di questo tema”. Silvana Allesti, del coordinamento dei comitati sulla sanità, ribadisce invece il concetto che il nuovo ospedale non rappresenta la soluzione ai problemi del territorio. “Mancano medici e le le liste di attesa sono troppo lunghe. In questo modo c’è chi, pur avendone la necessità, non si cura e chi invece ha maggiori disponibilità economiche si rivolge alla sanità privata”.

“Le nostre motivazioni sono valide – interviene Stefano Pareti – peccato che il sindaco Tarasconi abbia già deciso e non intenda cambiare idea” ha detto. Carlo Segalini, medico in pensione ed ex consigliere comunale durante l’amministrazione Barbieri, invece ha ribadito il proprio sì alla nuova struttura. “Aumentando il numero delle sale operatorie, da 10 a 14, si diminuiscono le liste d’attesa. Abbiamo poi visto durante il covid cosa significhi aprire e chiudere i reparti, serve flessibilità” sottolinea.

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di PiacenzaSera, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.