In Esterno Notte “la verità dei fatti e la finzione del cinema”, Bellocchio ospite di Xnl

Si chiude il sipario sul festival “L’Ora di Cinema”, promosso da Bottega Xnl, Fondazione Fare Cinema e Fondazione di Piacenza e Vigevano con la direzione artistica di Paola Pedrazzini. L’ultimo atto è particolarmente illustre: gli studenti delle scuole piacentine si sono confrontati con il regista Marco Bellocchio sui temi emersi dalla visione dei primi due episodi della serie Esterno Notte, incentrata sul delitto Moro. “Con ‘Buongiorno, notte” (film del 2003, ndr) pensavo di aver esaurito la trattazione del delitto Moro – ha detto Bellocchio, intervistato dalla critica cinematografica Paola Piacenza – ma poi il caso è stato riaperto, sono emersi nuovi temi, e i mezzi di comunicazione sono ritornati a parlarne. Queste manifestazioni hanno riacceso in me un interesse che non avevo previsto: andare nel controcampo, ossia tutta una serie di protagonisti di quella tragedia che non avevo minimamente raccontato nel film precedente”.

TRA VERITÀ E FINZIONE – Basato su fatti storici documentati, un film – che è, a suo modo, un’opera d’arte – contiene sempre tratti “di fantasia” che lo identificano in modo univoco. Ciò che caratterizza “Esterno Notte” è l’ucronia, una presentazione di fatti ed eventi che è coerente ma non sempre reale e non sempre realistica. “C’è una liberazione di Moro vivo che non è mai avvenuta – ha sottolineato Paola Piacenza – ma immediatamente dopo, la rappresentazione realistica di ciò che è successo davvero”. È un’operazione, ha detto Bellocchio, che “parte da una verosimiglianza, da fatti storici, nei quali si inserisce l’immaginazione mia e degli altri sceneggiatori. Da questo mix nasce il carattere della rappresentazione”. E poi ci sono alcune scene in cui un fatto vero si unisce a un fatto inventato. “Don Antonello Mennini – ha ammesso Bellocchio – nega di essere andato a confessare Aldo Moro mentre era rinchiuso, ma non siamo sicuri che nessun prete sia andato”. Le parole che Moro dice al confessore, però, sono verissime, “contenute dentro il memoriale”. A un certo punto del film, Moro ringrazia le Brigate Rosse, e al contrario si scaglia contro alcuni suoi compagni di partito (Andreotti e Cossiga in primis, ndr) che avevano deciso di seguire la “linea della fermezza”: addirittura Moro, nella scena della confessione, ammette di provare odio nei confronti di Giulio Andreotti.

Marco Bellocchio Paola Piacenza a XNL con gli studenti

L’UOMO MORO E I SUOI “AMICI” – Nel film si intrecciano quattro componenti fondamentali della vita del segretario della Dc: il partito, la famiglia, la Chiesa, le Brigate Rosse. “Moro non era un santo come qualcuno vorrebbe farci credere, ma un uomo la cui umanità era reale. Tanti testimoni hanno parlato del suo affetto, dell’attenzione verso il nipotino”. Gli altri democristiani, dopo quel fatto, avrebbero avuto carriere ricche di successi: Cossiga, che si lava le mani “come Lady Macbeth e Ponzio Pilato”, dice Paola Piacenza, “era un infelice”, ribatte Bellocchio. Ma “il fatto che si chiudesse dentro la sua stanzina gli ha permesso di arrivare a posizioni di vertice: presidente del Consiglio e poi della Repubblica. Un successo che deve a Moro, che era stato il suo maestro”. Andreotti, invece, è “più misterioso”. “Perde il controllo nella prima puntata, quando va in bagno e si sente male”. Certo è che “con l’assassinio Moro tutti i partiti entrano in una situazione irreversibile che culminerà con la caduta del muro di Berlino”.

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