Bersani e Bellocchio ospiti a Dimartedì, “derby piacentino” in diretta su La7

È derby piacentino a La7. Più precisamente, da una parte la Valnure, con l’ex ministro Pier Luigi Bersani (oggi presidente Isrec), dall’altra la Valtrebbia, col maestro Marco Bellocchio. Un dibattito in cui è il politico a portare il regista nel proprio campo: ospiti di Giovanni Floris nella trasmissione “Dimartedì” il 6 giugno, i due piacentini hanno discusso di questioni politiche attuali, partendo dalla questione del “pericolo di una svolta autoritaria”, trattato già in precedenza nella trasmissione riguardo all’intenzione del governo Meloni di eliminare il controllo in corso d’opera che la Corte dei conti effettua sul Pnrr.

Per Bellocchio “non è efficace parlare ancora di concetti passati come il fascismo. Credo che nessuno oggi abbia paura del fascismo – ha detto -, magari ci sono alcuni esponenti nostalgici, ma sono ‘nostalgici democratici'”. Per Bersani, invece, i retaggi del regime fascista sono ancora vivi. “Fratelli d’Italia – ha affermato l’ex ministro – ha origine da Alleanza Nazionale, un progetto di recupero di un’identità di tipo conservativo-regressivo sui diritti civili, revisionista sui fatti storico-culturali, corporativo e gerarchico sulle questioni sociali e in alto c’è, per tenere assieme tutto, un po’ di mistica della nazione e un capo che risponde al popolo. La mia preoccupazione – ha proseguito – non è che questo si chiami fascismo o meno: vedo, come tanti, compreso il Papa nelle sue encicliche, che c’è in questo momento una dissociazione, una disgregazione nella società e, quindi, questa (di Fdi, ndr) può essere paradossalmente una ricetta nuova, moderna”. Bellocchio gli ha fatto eco dicendo di augurarsi che “la sinistra si inventi qualcosa per contrapporsi alla destra attuale”.

La trasmissione è poi proseguita con altri ospiti e, in seguito, Marco Bellocchio è tornato per parlare del suo ultimo film, “Rapito”. “È la storia di una violenza – ha spiegato il regista – nel 1858 un bambino (Edgardo Mortara, ndr), che viveva in una famiglia ebrea numerosa, a causa del fatto di essere stato battezzato clandestinamente sei anni prima, per il Santo Uffizio era per sempre cristiano e doveva essere educato cristianamente: perciò venne prelevato dalla sua famiglia e portato a Roma alla casa dei catecumeni per essere rieducato. Un atto giustificato secondo i principi cristiani ma di una violenza estrema che ha danneggiato la sua psiche. La sua conversione, che per certi cattolici è un miracolo, in realtà è stata un principio di sopravvivenza per questo bambino, per essere accettato nella società”.

“Ho fatto questo film – ha detto Bellocchio – perché mi sono innamorato di questo dramma, che è all’interno di vicende politiche di un’Italia che sta per cambiare, sta per diventare ‘l’Italia’ (tre anni dopo il ‘rapimento’, nel 1861, ci sarebbe stata l’unità d’Italia, ndr). Il Papa (Pio IX, ndr) sta perdendo il suo regno e utilizza il bambino come un baluardo della fede contro un progressismo diffuso, usandolo come atto politico. Il ‘non possumus’ del Papa (frase che Pio IX usò per negare il consenso della Chiesa all’ingresso del governo italiano a Roma, ndr) in quel caso significa ‘non possiamo cedere il bambino perché è cristiano e, quindi, non possiamo abbandonarlo’. Questa forzatura di conversione entra in quel bambino a tal punto che non è più capace di separarsi dal Papa, che considera il suo padre spirituale”. Nel 1975 Edgardo Mortara diventerà sacerdote, prendendo il nome di Pio.

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