Diciotto donne detenute a Piacenza, tutte per reati di stampo mafioso. Il report di Antigone

Le donne detenute a Piacenza sono 18 su 353 (il 5,1%): è la percentuale più bassa, ma c’è da considerare che tutte sono inserite nel circuito di AS3 (Alta Sicurezza), dunque recluse per delitti di associazione mafiosa (416bis). Sono i dati diffusi dall’associazione Antigone nel secondo rapporto regionale del 2023 sulle condizioni di detenzione. La casa circondariale delle “Novate” è anche quella che in Emilia Romagna ha registrato più suicidi (2 su 7 totali in regione). A Piacenza, come già anticipato alcune settimane fa dalla stessa Antigone, c’è la più alta percentuale in regione di detenuti di origine straniera: 61,7%, calata rispetto al 64,71% dell’ultima rilevazione.

IL REPORT REGIONALE | LA POPOLAZIONE DETENUTA – Sono dieci gli istituti di pena per adulti presenti in Emilia Romagna dove, al 31.12.2022, erano detenute 3.407 persone di cui 153 donne (circa il 4%) e 1.660 stranieri (pari al 47,30%). La regione è tra i territori, quantomeno del nord Italia, che registra il più alto numero di presenze: la percentuale media di affollamento in relazione al 2022 è stata pari al 105,17%.

Per quanto riguarda la tipologia di detenuti ristretti nei dieci istituti visitati, il 47,3% è, come anticipato, di origine straniera; la distribuzione dei detenuti di origine straniera non è omogenea all’interno delle carceri emiliano-romagnole: la più alta percentuale si registra nella casa circondariale di Piacenza, dato che si conferma più o meno stabile nel corso degli ultimi anni e pari al 61,68% del totale nel 2022, seguita da Modena (60,47%), Ravenna (58,11%), Reggio Emilia (53,76%) e Bologna (52,71%); nelle restanti strutture gli stranieri sono in percentuali inferiori al 50%. Va detto che, in generale, la presenza di stranieri all’interno degli istituti di pena della penisola non è certo superiore a quella dei detenuti di origine italiana: nel 2022 la media di stranieri in carcere è stata del 31,56%; in Emilia Romagna la media appare, come visto, decisamente più alta.

La regione non è, tuttavia, la sola a registrare un tasso di stranieri particolarmente elevato: vi sono infatti da considerare regioni quali la Valle d’Aosta (61,4%), il Trentino Alto Adige (61%), la Liguria (54%), il Veneto (50%) o la Lombardia (46,2%)13. Il dato tuttavia va letto anche considerando l’elevato numero di persone di origine straniera presenti in queste aree, particolarmente attrattive anche dal punto di vista occupazionale (tra il 2021 e il 2022, l’Emilia Romagna ha visto un aumento di presenze di cittadini provenienti da Paesi extra Unione europea che hanno richiesto un permesso di soggiorno e un aumento di persone straniere residenti, salite al 12,8% sul totale della popolazione; Piacenza risulta essere la provincia con il più alto tasso di persone di origine straniera residenti (pari al 15,4%), seguita da Parma (15,3%) e Reggio Emilia (12,6%).

NODI PROBLEMATICI – L’elevato numero di ristretti non è l’unico elemento di criticità. Pur con le dovute differenze, all’interno delle carceri emiliano-romagnole si riscontrano diversi profili di complessità. Permane elevato il numero di condannati in via definitiva (71,88% pari a 2.561 persone nel 2022) in rapporto al numero di funzionari giuridico – pedagogici effettivamente presenti, in forte sotto organico in quasi tutti gli istituti: erano solo 3 a Modena a fronte di 229 definitivi su 387 ristretti, 1 solo in alcuni periodi a Reggio Emilia con 269 definitivi su 346 persone detenute o, 1 sola a Rimini e Ravenna con, rispettivamente, 75 e 50 detenuti condannati in via definitiva. Importante anche la carenza dal punto di vista dell’offerta trattamentale. In questo senso, si segnala la mancanza di opportunità lavorative: la media dei detenuti che lavorano in regione è del 29,50% (in tutti gli istituti al di sotto del 50%) di cui solo il 5,81% alle dipendenze di datori esterni. Significativa la carenza di medici e infermieri all’interno degli istituti e diffuse le criticità strutturali legate a strutture particolarmente datate e sprovviste di spazi adeguati.

I LASCITI DELL’EMERGENZA SANITARIA – Negli ultimi anni, le modalità di gestione dell’emergenza sanitaria, pur diversificate sul territorio, hanno comunque avuto un impatto significativo sulla quotidianità detentiva, in termini di possibilità di contatti con l’esterno, fruizione di spazi comuni e possibilità trattamentali. La pandemia ha esasperato molti dei nodi critici già propri del rapporto tra sistema carcerario e diritto alla salute e ha lasciato dietro di sé una crisi profonda della sanità penitenziaria. In particolare, l’attività di monitoraggio svolta nel 2022 ha evidenziato: la carenza di personale medico, infermieristico, psicologico e psichiatrico; la precarietà delle forme contrattuali e la discontinuità delle équipe, che mette a rischio gli sforzi di elaborare prassi virtuose e condivise; la difficoltà nel fronteggiare un tasso di sofferenza mentale in crescita.

SOFFERENZA MENTALE – testimoniata dall’alto numero delle diagnosi psichiatriche (11%) e di dipendenza (38%) e dal largo ricorso agli psicofarmaci (il 26% dei detenuti utilizzano stabilizzanti dell’umore, antidepressivi, antipsicotici e il 34% sedativi o ipnotici, nonostante la policy regionale di riduzione del consumo di psicofarmaci).

AUTOLESIONISMO – Molto alto il tasso di autolesionismo a livello regionale (40%), con picchi del 79% nel carcere di Ferrara, del 59% nel carcere di Reggio Emilia, del 51% nel carcere di Bologna e di Forlì.

SUICIDI E TENTATI SUICIDI – Nel 2022 si sono tolte la vita 7 persone negli istituti della Regione, con 114 tentativi di suicidio solo nei primi sei mesi dell’anno, una percentuale decisamente superiore a quella che si riscontra nella popolazione libera, a conferma della maggiore fragilità psichica della popolazione detenuta. L’Emilia Romagna è tra le regioni dove si registra uno dei tassi più alti di suicidi: nel 2022 si sono tolte la vita 7 persone negli istituti di Ravenna (1), Forlì (1), Rimini (1), Bologna (1), Reggio Emilia (1) e Piacenza (2). È vero che esistono da anni, in tutti gli istituti della Regione, dei protocolli per la prevenzione del rischio suicidario, che prevedono procedure di valutazione dei vari fattori clinici e situazionali e la messa in atto di provvedimenti da parte dell’amministrazione dell’istituto di concerto con l’area sanitaria (come l’allocazione in celle ad hoc, singole o condivise a seconda della situazione). Tuttavia, al di là degli specifici protocolli adottati, non può non leggersi in un
fenomeno di tale portata l’impatto delle ristrettezze del contesto carcerario sulle persone detenute, già in gran parte vulnerabili sotto il profilo psicologico e sociale; per cui a un approccio teso ad assegnare a ciascuno il proprio grading di rischio suicidiario devono accompagnarsi interventi sul piano delle condizioni materiali, della cura per le relazioni affettive e con l’esterno, dell’offerta trattamentale e delle prospettive oltre la carcerazione.

CARCERE MINORILE – Tra 2020 e 2022 diversi fattori hanno contribuito ad alterare gli equilibri storici delle dinamiche di funzionamento dell’Istituto penale minorile di Bologna. L’emergenza sanitaria ha gravato marcatamente sull’istituto tra febbraio e settembre 2020, cagionando l’interdizione dei rapporti con l’esterno e la compressione dell’offerta educativa-trattamentale. Tra fine 2021 e inizio 2022, la capienza dell’istituto è stata estesa, passando da 22 a 40 detenuti. Questo ha comportato una netta trasformazione. Tra i nodi critici: mancata integrazione dell’area educativa; sindacati di polizia penitenziaria segnalano gravi carenze nel proprio reparto e rispetto alla sicurezza dell’edificio. La vita detentiva si incardina in un regime più regolamentato in cui è più complesso che in passato garantire al detenuto un’adeguata assistenza. Risultano in aumento dinamiche di conflitto e bisogni clinici, spesso correlati a dipendenza e abuso di sostanze che interessano soprattutto i più giovani.

DETENZIONE FEMMINILE – Non ci sono istituti femminili in regione, dunque le detenute sono distribuite in sezioni femminili all’interno di carceri maschili. La sezione femminile più grande, che è anche una delle più grandi in Italia, si trova a Bologna, con 84 donne detenute su un totale di 772 presenze (10,9%). Seguono Modena (31 su 469, 6,6% del totale), Piacenza (18 su 353, 5,1%), Forlì (17 su 149, 11,4%) e infine Reggio Emilia (11 su 370, 3%). Tranne Piacenza (AS3, dedicato ai detenuti per delitti di cui agli art. 416 bis codice penale: Associazione di stampo mafioso, ma senza ruoli apicali), sono tutti circuiti per detenute comuni. A Reggio Emilia, pur nel limitato numero di detenute (11), le sezioni femminili sono due (Comuni e Protette, con divieto di incontro), alle quali va aggiunta una sezione per detenute transgender. Questo rende difficile la gestione dell’offerta trattamentale. Le criticità nella ripartizione delle risorse a disposizione tra la popolazione detenuta maschile e quella femminile si riflettono sulle opportunità riservate alle donne rispetto alle attività lavorative, culturali, ludiche e sportive.

Dal punto di vista dell’offerta formativa, buona la situazione a Bologna, con corsi di alfabetizzazione, di scuola media, e di scuola superiore in ragioneria e il polo universitario. Invece: a Reggio Emilia, abbiamo riscontrato una totale assenza di corsi scolastici e professionalizzanti sia per le detenute della sezione femminile che per quelle della sezione transgender, a Modena i corsi scolastici si erano interrotti per mancanza di partecipazione al momento della visita e a Forlì nel 2022 era stato attivato solo il corso di alfabetizzazione, mentre le scuole medie e il biennio delle superiori non erano partiti a causa della mancanza di insegnanti del Cpia.

DIRITTO ALL’ISTRUZIONE – Il diritto ad accedere ai più alti gradi dell’istruzione è tendenzialmente garantito in Emilia Romagna, con un’offerta formativa in crescita. Gli atenei della Regione aderenti alla Cnupp sono le Università di Bologna, Parma e Ferrara; risulta inoltre in fase “di attivazione” anche il Polo dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Nell’anno accademico 2021-22 gli studenti detenuti iscritti all’Università di Bologna erano 67 e a quella di Parma erano 36, all’Università di Ferrara risultavano 6 iscritti.

IL CASO: TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA E LA PERICOLOSITÀ SOCIALE DI UNO STUDENTE-DETENUTO – L’istruzione, oltre che un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, costituisce elemento centrale del trattamento penitenziario eppure il Tribunale di Sorveglianza di Bologna sembrerebbe averlo messo in discussione, trasformando i titoli di studio conseguiti da uno studente-detenuto di Bologna in indice di pericolosità sociale rispetto alla prognosi di recidiva. La vicenda è diventata un caso nazionale, che è anche approdato a Strasburgo, dove è pendente il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che vede il diretto coinvolgimento di Antigone.

IL MOMENTO DELL’USCITA DAL CARCERE – Tra il 2019 e il 2020 l’Associazione Antigone Emilia-Romagna, sulla base di un finanziamento concesso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, ha condotto un progetto volto alla realizzazione di una guida dedicata alle persone in uscita dalla sezione maschile del carcere di Bologna intitolata “Una volta fuori: percorsi e opportunità a Bologna dopo la pena”. Due i principali obiettivi di questo lavoro: da un lato, fornire uno strumento di orientamento in previsione delle dimissioni dal carcere, costruito sulla base dei bisogni maggiormente avvertiti dalle persone sottoposte a pena; dall’altro, conoscere e descrivere la rete di servizi presenti sul territorio cittadino. Dalla ricerca condotta è emerso un quadro complesso, che rimanda a un territorio metropolitano piuttosto articolato dal punto di vista dell’offerta ma all’interno del quale si registrano alcune criticità relative alla possibilità di garantire continuità ai percorsi di accompagnamento all’esterno.

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