“Garilli non faceva pesare le sconfitte né esaltava le vittorie” L’amarcord biancorosso video

Amarcord biancorosso a Quarto, dove i protagonisti della prima, storica, promozione del Piacenza in Serie A si sono ritrovati a 30 anni esatti di distanza dalla vittoria sul campo del Cosenza che spalancò alla squadra guidata in panchina da Gigi Cagni – artefice di quello straordinario insieme al presidente Leonardo Garilli e al direttore sportivo Gianpietro Marchetti -, le porte del Paradiso calcistico.

Emozioni, sorrisi, ricordi che hanno coinvolto anche tanti tifosi che hanno raggiunto la Polisportiva Lyons Quarto per celebrare gli eroi biancorossi, scesi in campo per una partitella con una formazione amatoriale. Quindi spazio al ricordo della sfida di Cosenza attraverso alcuni spezzoni della radiocronaca, e ad un momento conviviale insieme ai sostenitori. “Trent’anni fa questo gruppo di ragazzi ha fatto la storia – ha ricordato il giornalista Andrea Amorini, che ha condotto la serata organizzata da Radio Sound – non solo dal punto di vista calcistico, ma anche da quello sportivo e della conoscenza della città”.

La partitella

Stefano Garilli, in collegamento dall’Argentina, ha ricordato la figura del padre Leonardo: “Mio padre non ha mai accettato di essere chiamato presidente, voleva essere chiamato ingegnere. Era un imprenditore e gestiva il Piacenza come una delle tante società che aveva. Piacenza rappresenta una realtà che è la città: non portiamo in giro solo il Piacenza Calcio, ma Piacenza. Quando l’abbiamo presa in mano era una società lombarda, poi abbiamo ribadito che era emiliana. Mio padre teneva ad avere una società attenta ai bilanci, alla struttura, costruendola dal piccolo, dal settore giovanile. Le società non vanno gestite solo col cuore, altrimenti si rischia di fare dei disastri. Per mio padre il calcio era una passione, se non andava spesso a vedere il Piacenza è perché soffriva, ma vi assicuro che era il primo tifoso biancorosso. Il 13 giugno 1993 ho seguito la partita a casa dei miei genitori, eravamo tutti lì a soffrire insieme. Finita la partita c’era la felicità di aver ottenuto un risultato fantastico per Piacenza, facevamo fatica a crederci, ma sempre con lo stesso equilibrio con cui abbiamo affrontato qualsiasi vittoria e qualsiasi sconfitta”.

In collegamento anche il tecnico Gigi Cagni: “Avevo una società fortissima che aveva fiducia in me – il suo ricordo -, i ragazzi erano meravigliosi non solo sotto l’aspetto tecnico. C’è una chat di squadra: loro si sono sentiti ultimamente per organizzare la giornata di oggi. Mi è sembrato ci fosse anche oggi lo stesso rapporto, nonostante i 30 anni trascorsi. Avevo un gruppo di giocatori che erano tutti “uomini”, sentivo vibrazioni positive nello spogliatoio, tecnicamente erano bravissimi. Sono andato a Cosenza convinto di farcela: al triplice fischio non ho capito più niente, ho pensato subito ai ragazzi, il merito era loro. Senza persone di quel tipo non puoi vincere”. Cagni ha quindi voluto ricordare Nicola Pinotti, suo braccio destro per tanti anni: “Un uomo eccezionale, senza di lui non avrei fatto niente. Insieme ad Alberto Ambrosio (preparatore atletico, ndr) mi ha permesso di fare delle cose che non pensavo di poter fare”.

Presente invece il ds Marchetti, che ha ricordato alcuni aneddoti di quella trionfale stagione: “Il nostro obiettivo fin dall’inizio era quello di salvarci. Dopo l’infortunio di Brioschi, mi serviva un calciatore più ‘pronto’, e perciò acquistai Carannante. Lo feci chiamare da Totò De Vitis. Il primo allenamento glielo facemmo fare di notte perché era ‘più largo che lungo’ – ha detto scherzando – Cagni era preoccupatissimo. Simonini (autore del gol promozione a Cosenza, ndr) lo presi perché mi serviva un giocatore rapido, ma si infortunò subito”.

Amarcord biancorosso a Quarto

“Una bella emozione, ritrovarsi dopo tanti anni è sempre piacevole e credo faccia piacere anche ai tifosi – le parole del bomber biancorosso Totò De Vitis -. I ricordi di quella stagione e della partita di Cosenza sono dentro di noi, sono emozioni che non possono essere cancellate. Un mio ritorno in società? Vediamo…”. “Provo oggi le stesse emozioni allora, con i compagni di quella squadra abbiamo una chat da 20 anni e ci sentiamo quasi tutti i giorni – spiega il fantasista Daniele Moretti -: è stato un gruppo straordinario e lo è ancora. In quella stagione la promozione non era in programma, l’obiettivo era quello di fare un buon campionato: abbiamo ottenuto qualcosa di straordinario”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Non è voluto mancare Gianpiero Piovani, undici anni in biancorosso: “Questa rimpatriata – racconta – era in programma da diverso tempo, abbiamo deciso di farla proprio in occasione dei 30 anni della prima promozione. Ho condiviso cose fantastiche con giocatori fantastici, ho imparato molto da loro, prima da giocatore e poi da tecnico, e sono veramente felice di ritrovarli e riabbracciarli. La Serie A è stato un traguardo importante, conquistato da una società, una squadra e una città, persone fantastiche che ci hanno festeggiato dopo una retrocessione e che siamo stati bravi a coinvolgere. Un ricordo particolare? Il gol a Cosenza di Simonini: la settimana precedente avevo avuto la febbre, lui giocò al mio posto e io fui il primo a correre ad abbracciarlo dalla panchina, segno di una squadra altruista diventata una famiglia: un esempio che ancora oggi mi porto dentro”.

Amarcord biancorosso a Quarto

La parata più importante? “A Cesena” – dice Massimo Taibi (con il gol vittoria siglato allo scadere da Papais, la partita perfetta secondo Gigi Cagni, ndr), mentre il difensore Roberto Chiti – che ha vinto la Serie C e la Serie B – ricorda una stagione in crescendo: “In primavera abbiamo avuto la consapevolezza che saremmo potuti arrivare a vincere il campionato. C’era una società solida alle spalle e un gruppo unito: questo ha fatto la differenza. Gigi Cagni ha portato la voglia di allenarsi e di star bene, ha creato un gruppo unito che andava avanti nonostante le difficoltà”.

Amarcord biancorosso a Quarto

“All’inizio con Cagni non andavamo d’accordo perché lui era tosto – spiega il centrocampista Giorgio Papais -. Quando non condividevo quello che lui diceva glielo facevo notare, abbiamo avuto scontri soprattutto a Lugo, quando ci stavamo per mettere le mani addosso. Ma è una persona sincera. Sono più affezionato al goal contro la Cremonese che a quello in Serie A contro il Napoli (ovazione dei presenti, ndr), mi sentivo del posto. Il più difficile è stato quello in B contro il Cosenza in casa”.

Amarcord biancorosso a Quarto

“Il primo giorno di allenamento a Piacenza c’era la nebbia, io non vedevo niente – ricorda Antonio Carannante, che con il Napoli di Maradona vinse campionato e Coppa Uefa -. All’inizio a Piacenza ho preso un sacco di multe, poi mi hanno regalato un Ciao, ma me l’hanno rubato. A Piacenza c’era un grande direttore, un grande allenatore e grandissimi calciatori. Ho ancora dei contatti con alcuni piacentini, Piacenza è nel mio cuore. Adoro Piacenza e i piacentini”. Stefano, alias Bobo, Maccoppi ha invece rievocato quel goal al 90° contro la Ternana. “Da quel momento ho avuto la consapevolezza che qualcosa stava cambiando”. “Ancora oggi abbiamo una chat su whatsapp – ha confessato – ed è come se non fosse mai passato il tempo, siamo sempre rimasti un gruppo molto unito. Moretti mi impressionò, non dico Maradona ma siamo lì. Però non faceva troppi goal perché non tirava”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Ed ecco il suo compagno di linea difensiva Settimio Lucci: “Con Maccoppi ci divertivamo tanto in campo. Ho trovato la mia collocazione ideale, a Piacenza ho vissuto la fase più importante della mia carriera, un ambiente eccezionale e una società eccezionale. Le vittorie partono sempre dalla società, l’ingegner Garilli non ci faceva sentire né il peso delle sconfitte né il troppo entusiasmo per le vittorie. Oggi sono un piacentino d’adozione, faccio il tifo per la nuova società, spero che qualcuno di noi possa entrare a farne parte e spero possa tornare nel più breve tempo possibile nelle categorie che più le competono”. Collegato da remoto Francesco Turrini, che ha ricordato come il suo compagno Totò De Vitis dovesse “solo trovarsi a centro area, la palla gliela facevo arrivare io. Il goal di Genova (prima vittoria fuori casa del Piacenza in A, ndr) me lo ricordo bene: tutta la squadra aveva fatto un partitone”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Il terzino Massimo Brioschi ha parlato del suo ruolo in quella squadra: “Il mio istinto era quello di correre, dovevo ‘fare’. C’è una confusione totale nella mia testa rispetto a quel giorno di trenta anni fa. Quando siamo atterrati a Parma è stato il momento in cui si è composto il puzzle di quel successo pazzesco”. Per Totò De Vitis c’è un’immagine nitida da rievocare: “Più che il goal, ricordo il passaggio più bello e più importante, è stato quello di Cosenza a Simonini”. Invece Agostino Iacobelli ha ricordato: “Quando arrivai sapevo che Moretti era il titolare. Un momento di paura a Cosenza? Quando Di Cintio fece il fallo del possibile rigore (che l’arbitro Trentalange non fischiò, ndr)”.

Amarcord biancorosso a Quarto

E’ il turno dell’eroe di Cosenza, Fulvio Simonini, autore del gol decisivo: “Al mattino Cagni mi disse che dovevo giocare io perché Piovani era infortunato. Avevamo tutti un ottimo rapporto, Brioschi era il mio amico prediletto ma nell’azione del goal, quando mi è arrivata la palla, non potevo darla a lui, mi sarei tagliato le palle da solo. Non è stato un goal facile”. Alberto Ambrosio, il preparatore atletico di quel fantastico Piace ha rammentato i momenti più incerti della stagione: “Nella partita col Padova c’era stata una contestazione, poi giocammo a Ferrara con la Spal. La figura di Pinotti, allenatore in seconda, fu importantissima nel nostro sodalizio: dopo la gara di Cesena volarono gli stracci nello spogliatoio e arrivammo a discutere con Cagni. Io volevo ridurre la quantità e dare più qualità”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Rino Gandini, mitico secondo portiere, ha spiegato che “il primo approccio con Cagni e la società nel 1990 è stato negativo. La prima volta che ho trovato il mister gli ho dato del tu. Lui mi frenò dicendo che dovevo dargli del lei. La promozione è stata un traguardo venuto da lontano, nel 1990 il progetto era già partito”. E il fantasista di quella formazione? Daniele Moretti ha avuto parole di lode per il suo maestro: “Vorrei ricordare Natalino Gottardo, che mi ha fatto diventare giocatore. Quando stavo in collegio ogni sera si chiamava a casa e il don poteva cliccare un pulsante per interrompere la conversazione. Una volta lo fece, avevo 15 anni e reagii male. Il don voleva mandarmi via, Gottardo mi disse di fare le valigie. Così andai in appartamento con la prima squadra. Gottardo poi volle che io andassi di nuovo dal don a dimostrare che ero cambiato”. E su quel finale di stagione, ha ricordato: “Fui ammonito con l’Andria e squalificato per Cosenza. Mi crollò il mondo addosso, andai in curva coi tifosi a condividere la sofferenza. Una soddisfazione incredibile per me fu il goal all’Inter (fatto a Zenga) che valse la vittoria”.

E ancora Pasquale Suppa, che ha ricordato tra il serio e il faceto: “Nella partita di Cosenza io non c’ero. Prima Iacobelli nello spogliatoio ha detto “meno male, così abbiamo vinto””. Giuseppe Ferazzoli, altra pedina importante dei biancorossi: “Quando arrivai c’era già la colonna portante dell’anno prima. Quella di Cosenza era una partita che preparavamo da un anno. Le difficoltà c’erano, ma eravamo troppo più forti per farci sfuggire l’obiettivo”. Andrea Di Cintio commenta il fallo che avrebbe potuto procurare un rigore per il Cosenza: “Non sono mai stato un giocatore che faceva i falli. Non ricordo se fosse rigore, in realtà l’avversario si è buttato e l’arbitro ha visto bene. Ma ho avuto molta paura. Con Piovani ci picchiavamo, anche con Fulvio (Simonini, ndr), mentre Totò non lo potevo picchiare”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Un altro comprimario di quel Piace, Luigi Erbaggio: “Davanti avevo calciatori importanti, capii subito che gli spazi dovevo conquistarmeli. Quell’anno mi ruppi il crociato, una sfortuna unica”. Il più polemico e allo stesso tempo più simpatico fra i miei compagni era Iacobelli, il più forte non saprei, eravamo tutti forti. La forza di questa squadra, come disse mister Cagni alla cena di Natale (del 1992, ndr), erano i calciatori che giocavano meno”. E gran finale con Gianpiero Piovani, bandiera biancorossa che rifiutò il Valencia per restare a Piacenza: “I nostri tifosi ci hanno aiutato tanto. Ho tantissimi ricordi a Piacenza, dall’arrivo grazie a Marchetti e Cagni, e poi l’aver condiviso e vinto tante battaglie coi compagni e la promozione per la prima volta in A”. Perché parlavo in dialetto con Cagni? “Era più comodo. Finì tutto quando un avversario bresciano capiva tutto quello che ci dicevamo”.

Amarcord biancorosso a Quarto

Dopo le vecchie glorie di “quel” Piacenza, è intervenuto l’attuale presidente biancorosso Marco Polenghi. “Una storia come quella che oggi ricordiamo dà una grossa responsabilità a noi che oggi amministriamo il Piacenza Calcio. De Vitis ha detto che erano una squadra e usavano la testa, questo è un esempio per la nuova società. Noi l’impegno lo metteremo fino alla fine”. “La promozione in serie A del 1993 fu un grande successo per la città di Piacenza”, ha detto la sindaca Katia Tarasconi. Un saluto anche da parte del sindaco di Gossolengo, Andrea Balestrieri, che ha definito la polisportiva Lyons Quarto, padrona di casa, “un fiore all’occhiello per tutta la provincia”.

Le parole dei protagonisti, infine, hanno lasciato spazio a quelle della storica radiocronaca di quel 13 giugno 1993 dello stesso Andrea Amorini. Al termine, le premiazioni di Leonardo Garilli (nipote dell’ex presidente del Piacenza), Gianpiero Marchetti (direttore sportivo), dei due figli del vicepresidente Mario Quartini, del figlio del segretario Giovanni Rubini, del preparatore atletico Alberto Ambrosio e di tutti i calciatori presenti.

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