Il Minotauro da carnefice a vittima, il mito rivive a Veleia fotogallery

“Il falso amore degli uomini è più spietato della crudeltà di una bestia innocente”. È la profezia del Minotauro a Arianna, mito portato in scena a Veleia da Elio De Capitani, su musiche composte da Silvia Colasanti ed eseguite dall’orchestra Toscanini, diretta da Keren Kagarlitsky, e dal soprano Rui Hoshina. Un melologo di grande potenza espressiva, immerso nella natura e nella storia del foro archeologico, inserito nel Festival di Teatro antico di Veleia, con la direzione artistica di Paola Pedrazzini e il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

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Il Minotauro di Capitani non ha la ferocia del Caimano, interpretato dall’attore per Nanni Moretti, ma è perso nel labirinto della sua identità: un essere con il corpo di uomo e la testa di toro, costretto alla consapevolezza della propria condizione senza riuscire, al tempo stesso, a recuperare il filo della propria razionalità. Una lotta, quella tra natura e ragione, che si dispiega anche a Veleia, dove la brezza della sera scompiglia i fogli degli orchestrali e fa sentire, all’inizio della rappresentazione, un brontolio sommesso di tuono.

Così come mugghia il Minotauro di Capitani, con una rabbia che monta, e il ritmo della tragedia viene modellato dalle note di Silvia Colasanti, su testi di Giorgio Ferrara e René de Ceccatty. Paria allontanato dagli umani, che pure non si negano gli stessi istinti degli animali, come sua madre Pasifae non avrebbe dovuto innamorarsi “di una bestia bellissima, come era mio padre”, il Minotauro anela più di ogni altra cosa al riconoscimento, all’amicizia. Nonostante questo non può fare altro che uccidere i ragazzi e le ragazze che gli vengono portati in sacrificio. La sua natura di bestia (“magari avessi avuto una testa da uomo, e un corpo di animale”) ha il sopravvento, ma è un delitto senza intenzione. Senza colpa.

E’ proprio questa sua tensione interiore che lo porterà a patire l’inganno supremo. La promessa di amore di Arianna, racchiusa nel canto dolce e ipnotico del soprano Rui Hoshina, è quasi un incantesimo, e porterà il Minotauro alla morte per mano di Teseo, non prima di aver sussurrato la sua profezia, o maledizione. “Il falso amore degli uomini è più spietato della crudeltà di una bestia innocente”. Arianna, come vuole il mito, lo imparerà a sue spese: dopo aver aiutato Teseo, questi la abbandonerà per fare ritorno ad Atene.

Il Festival di Veleia si conclude domani, il 14 luglio, con un altro melologo in collaborazione con l’orchestra Toscanini.

Il mistero e il fascino del mito di Orfeo rivivono nella voce e nell’interpretazione di un gigante della scena: Massimo Popolizio, figura tra le più importanti del panorama teatrale (attore ronconiano per eccellenza, indimenticabile protagonista di spettacoli fondamentali come Lehman Trilogy o come M. Il figlio del secolo di cui cura anche la regia) e cinematografico (diretto da Sorrentino, Taviani, Placido). Popolizio si confronta a Veleia con il mito nella rielaborazione di Silvia Colasanti capace di calibrare con sapienza l’equilibrio tra testo e musica, affidando a quest’ultima la funzione drammaturgica di esprimere lo stato primordiale del pensare: il “sentire”. Un raffinato appuntamento con cui il Festival chiude il prezioso trittico costruito in collaborazione con Silvia Colasanti e con Filarmonica Toscanini, portando nel foro veleiate tutta la potenza espressiva della grande Musica.