“La Pellegrina non è un luogo di sofferenza, oggi c’è ancora disinformazione sull’Aids”

Nelle scorse settimane abbiamo ripercorso la storia trentennale della Casa di accoglienza “Don Giuseppe Venturini” alla Pellegrina. La struttura, nata in un periodo in cui l’Aids mieteva continuamente vittime, col tempo ha modificato il suo campo d’azione. L’Aids non è più letale come una volta, e così gli operatori della “Pellegrina” oggi accolgono dieci persone affette da patologie o in condizioni svantaggiose per le quali l’essere sieropositivi non è il principale problema.

“Trent’anni fa – ricorda la responsabile della struttura Francesca Sali – abbiamo aperto per accogliere persone con Hiv o Aids in situazioni sanitarie decisamente gravi perché a quel tempo la malattia non aveva alcun tipo di cura efficace, per cui accompagnavamo molto spesso le persone anche nella fase terminale della vita. Oggi continuiamo ad accogliere persone con Hiv o Aids ma con una multifragilità; per cui, sono persone che hanno questa malattia ma vengono da storie di disagio psichico o familiare, con fragilità legate ad altre patologie come disabilità. Persone che chiedono di entrare in un contesto come il nostro per essere prese in carico al 100%: sia da un punto di vista sanitario, per un accompagnamento, ma soprattutto da un punto di vista familiare. Sono persone che a un certo punto della loro vita necessitano di un luogo che possa farle sentire a casa. Fortunatamente, oggi di Hiv non si muore più, le persone che entrano qui mantengono la malattia in equilibrio con cure farmacologiche. Entrano alla Pellegrina per trovare una famiglia, dei compagni di viaggio, come altri ospiti o volontari”.

Francesca Sali La Ricerca (Pellegrina)
Francesca Sali

“A differenza dei primissimi anni, in cui purtroppo la malattia spesso conduceva alla morte e, dunque, le persone restavano qui per poco tempo – prosegue Sali – oggi le persone tendenzialmente rimangono qui a lungo: questa diventa la casa finale, in cui non c’è un termine per la permanenza. Si sta qui, si condivide la vita come in tutte le famiglie. Per questo motivo, la vita qui dentro ricrea la vita delle nostre case: ci si sveglia, si fa colazione, al mattino magari ci sono attività insieme, visite mediche, ci si rifà le proprie camere – ognuno è responsabile, compatibilmente con le proprie risorse fisiche, di una parte della struttura -, ci sono attività di svago, specialmente d’estate con gite e uscite all’aperto, si pranza insieme.

Poi, visto che l’età media non è bassa, dopo pranzo c’è la pennichella e al pomeriggio uscite o attività particolari. D’estate – dice – preferiamo uscire dalla struttura e andare in piscina, a passeggiare in collina e qualche volta al mare. Circa un mese fa abbiamo trascorso una settimana in Riviera Romagnola. Normalmente, abbiamo laboratori di cucina, musicali – da poco, insieme agli ospiti, abbiamo composto la canzone della struttura -. Siccome questo è un luogo in cui le persone restano per tantissimo tempo, cerchiamo sempre di coinvolgere gli ospiti nelle decisioni: anche con molta creatività, in base al momento che si vive e ai desideri che nascono”.

la pellegrina

“Al di là del fatto che siamo in una struttura e chiaramente ci sono delle regole, la quotidianità è connotata da un’estrema normalità, così come accade nelle case di tutti noi. E, come in tutte le case, ci sono i momenti in cui si sta meglio ma anche momenti in cui si litiga, in cui qualcuno è malato e gli altri si prendono cura di lui. A fianco della quotidianità c’è tutta l’attività che, dalla fine del Covid, stiamo cercando di recuperare, che riguarda la sensibilizzazione, la prevenzione e la promozione. Questo avviene su due binari – spiega Francesca Sali -: il primo, legato più agli eventi aperti al pubblico, come la festa per le famiglie che abbiamo ospitato a giugno, con tanti bambini.

L’obiettivo – afferma – è andare a rompere l’idea, purtroppo ancora presente, che questo sia un luogo di sofferenza, di malattia estrema di cui aver paura. Noi invece vogliamo che passi per quello che è realmente, un contesto in cui si respira aria buona. È un’attività che crediamo abbia un impatto molto forte sulle persone, anche perché la Pellegrina è un luogo della città di Piacenza, e quindi è bello che i piacentini possano avvicinarsi in un modo non più caritatevole in un luogo che può essere di accoglienza e festa anche per l’esterno”.

la pellegrina

LE PAROLE DI CHI VIVE ALLA PELLEGRINA

“A fianco, l’attività più specifica rivolta alle scuole, ai giovani e alle parrocchie in cui c’è sia l’aspetto della sensibilizzazione, ma anche quello della di prevenzione verso la malattia. È vero che non c’è più l’emergenza Hiv, ma c’è ancora disinformazione su come prevenire l’infezione. E, al contempo, c’è uno stigma che per noi è fondamentale rompere, parlando ai giovani dell’importanza di ‘sapere’ per evitare la discriminazione. Questo aspetto si integra con la quotidianità: quando accogliamo giovani, durante gli eventi, gli ospiti ne fanno parte. Ed essi, a loro volta, escono dalla struttura. Siamo sempre in movimento, non vogliamo che la nostra struttura sia chiusa e ferma”, conclude la responsabile.

Debora Massari La Ricerca (Pellegrina)
Debora Massari

Fra gli operatori c’è Debora Massari, 26 anni, educatrice professionale, che lavora alla Pellegrina da cinque. “Gestiamo la casa tutti insieme – dice – condividendo la giornata con gli ospiti. Non facciamo niente di speciale se non condividere le attività, i momenti, quelli più sereni e quelli più faticosi, cercando di portare gli ospiti verso uno stile di vita sano. Ognuno ha la sua personalità, e questo è il bello del lavorare con le persone. Bisogna scoprirsi un po’ a vicenda e con ognuno trovare l’aggancio giusto per instaurare una relazione. Nella quotidianità si impara a condividere e a convivere: passiamo qui tante ore, e questa è ormai la nostra seconda casa. Gli ospiti si aiutano molto tra di loro nei momenti di difficoltà e spesso sono di supporto anche a noi. Si vogliono bene e si sentono in famiglia, in un clima di collaborazione e affetto”.

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