Dove c’è smog il Covid è più ‘forte’: lo studio Enea dimostra perché abbiamo avuto più contagi

C’è un collegamento fra l’inquinamento e il rischio di contrarre il Covid. Potrebbe essere questo il motivo per cui la Pianura Padana è stata l’area italiana più colpita dal coronavirus. A evidenziarlo è uno studio condotto da Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – insieme all’Università di Roma Tor Vergata, che ha rilevato una forte affinità tra il particolato atmosferico (PM2.5) e la proteina Spike del virus SARS-CoV-2 responsabile del Covid. I risultati, che descrivono l’interazione tra le polveri sottili e il virus attraverso simulazioni di dinamica molecolare eseguite con il supercalcolatore CRESCO6, sono stati pubblicati sulla rivista online Science of The Total Environment e rientrano nell’ambito del progetto Pulvirus. Dall’inizio del mese di novembre, Piacenza ha già sforato tre volte la soglia desiderata (25 µg/m3), con un picco di 52 µg/m3 rilevato martedì 21 (consulta i dati in tempo reale).

Dal rapporto annuale dell’Agenzia europea dell’ambiente, con dati riferiti al 2021, esce fuori che Polonia, Italia e Germania sono, nell’ordine, i Paesi europei dove lo smog fa più danni alla salute. In Italia, in particolare, 46mila 800 morti sono attribuibili all’esposizione al particolato sottile Pm2.5, responsabile di 415.400 anni di vita persi (701 ogni 100mila abitanti). A Piacenza, dall’inizio della pandemia, i casi totali registrati (dichiarati) sono stati 112mila 982. In altre parole, 39mila 444 persone su 100mila hanno avuto almeno una volta il Covid. Negli ultimi sette giorni la nostra provincia è meno colpita rispetto alle limitrofe: i nuovi contagi sono stati 45, così come Parma, mentre la vicina Pavia ne ha 147, Cremona 81.

“Durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese. Parliamo di una parte d’Italia tra le più inquinate e questo ha portato la comunità scientifica a ipotizzare un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del virus”, spiega Caterina Arcangeli, ricercatrice Enea del Laboratorio Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme ai colleghi Barbara Benassi, Massimo Santoro e Milena Stracquadanio e ai ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata Alice Romeo, Federico Iacovelli e Mattia Falconi.

Lo studio è partito dalla verifica e dimostrazione della presenza del genoma del virus responsabile del Covid-19 su almeno il 50% dei campioni di filtri per il PM2.5 raccolti nella città di Bologna nell’inverno del 2021. “A seguire abbiamo realizzato al computer modelli molecolari semplificati di PM2.5 e di SARS-CoV-2 e abbiamo valutato la loro interazione mediante simulazioni ad alte prestazioni eseguite con il supercalcolatore CRESCO6”, aggiunge Arcangeli. Le simulazioni hanno mostrato chiaramente che i glicani (zuccheri) presenti sulla superfice della proteina Spike giocano un ruolo importante nell’interazione tra virus e particolato, mediando il contatto diretto con la corrispondente superficie del nucleo di carbonio del PM2.5. Inoltre, dallo studio emerge anche una stretta correlazione tra PM2.5 e virus anche rispetto alle caratteristiche chimiche del particolato fine, il cui contenuto in carbonio elementare sembra avere una funzione guida nell’interazione con il SARS-CoV-2. “Sebbene l’affinità tra PM2.5 e SARS-CoV-2 appaia plausibile, la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera o se il virione mantenga la sua infettività dopo il trasporto. La possibilità che il virus possa essere ‘sequestrato’ dal PM, con conseguente riduzione di infettività e diffusione, o inattivato da questa forte interazione con il particolato non può essere quindi esclusa”, prosegue la ricercatrice Enea.

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