“Sforza Fogliani il banchiere di parole e non solo di finanze” Il ricordo a un anno dalla scomparsa

A un anno dalla scomparsa, Piacenza ricorda Corrado Sforza Fogliani, mancato il 10 dicembre di un anno fa. All’evento organizzato dalla Banca di Piacenza a Palazzo Galli hanno partecipato gli scrittori Aldo G. Mola e Marcello Simonetta, chiamati a ricostruirne la figura di storico e mecenate. Dopo i saluti introduttivi del presidente della Banca Giuseppe Nenna, e il video messaggio del senatore Pier Ferdinando Casini, che ha definito l’avvocato un “uomo delle istituzioni”, la parola è passata a Marcello Simonetta.

Ricordo Sforza Fogliani

Che ha ricordato come Corrado Sforza Fogliani fosse legato al Rinascimento italiano. “Non ci ha lasciato in un giorno qualsiasi, ma quel 10 dicembre che è anche la data di una famosa lettera di Nicolò Machiavelli all’amico Francesco Vettori, una lettera in cui parla del Principe. Una lettera che ci introduce nella figura di Sforza Fogliani: come Machiavelli Sforza era un ‘banchiere’ di parole, non solo di finanze – dice – conosceva l’importanza delle parole”. Simonetta ha quindi letto il celeberrimo passo dello scrittore fiorentino: “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro”.

Ricordo Sforza Fogliani

“Voglio ricordare un capitolo del Principe, il sedicesimo, che, secondo me, Sforza Fogliani aveva ben chiaro nella sua testa”. Simonetta ha letto l’inizio della parte “Della liberalità e miseria”. “Cominciando adunque dalle prime soprascritte qualità, dico come sarebbe bene esser tenuto liberale. Nondimanco la liberalità usata in modo che tu non sia temuto, ti offende; perchè se la si usa virtuosamente e come la si deve usare, la non fia conosciuta, e non ti cadrà l’infamia del suo contrario. E però a volersi mantenere tra gli uomini il nome del liberale, è necessario non lasciare indietro alcuna qualità di sontuosità; talmentechè sempre un Principe così fatto consumerà in simili opere tutte le sue facultà, e sarà necessitato alla fine, se egli si vorrà mantenere nome del liberale, gravare i popoli straordinariamente, ed esser fiscale, e fare tutte quelle cose che si possono fare per avere danari. Il che comincerà a farlo odioso con li sudditi, e poco stimare da ciascuno, diventando povero; in modo che, avendo con questa sua liberalità offeso molti, e premiato pochi, sente ogni primo disagio, e periclita in qualunque primo pericolo; il che cognoscendo lui, e volendosene ritrarre, incorre subito nell’infamia del misero”.

“La parola liberale è ricca di contraddizioni – ha raccontato – e merita di essere studiata per capire dove ci porta anche nel presente. Machiavelli non ne fa un elogio incondizionato della liberalità, ma ne vede anche i pericoli. Le arti liberali nel medioevo erano le discipline fondamentali per l’educazione e si contrapponevano alle arti meccaniche. La parola liberale richiama allora a diverse tradizioni di pensiero, e si può collegare talvolta a un modo di pensare quasi dogmatico, questo avviene soprattutto negli Stati Uniti, penso alla retorica del politicamente corretto che rischia di coprire ogni ragionamento giusto di confronto con la realtà, l’ideologia che oscura la ricerca pragmatica. Combinare la politica machiavellica con la cultura alta – sottolinea – è stato il modo di agire di Sforza, coltivando le arti liberali che sono alla base dell’intelligenza”.

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