Verso il Pug, Confcommercio “Per un posto di lavoro al supermercato, due persi nei negozi del centro”

La città di Piacenza sarà ridisegnata dal Piano urbanistico generale (Pug), lo strumento di pianificazione e governo del territorio che il Comune sta mettendo a punto da oltre un anno – insieme a enti, associazioni di categoria, sindacati e cittadini – e che tocca diversi punti cruciali della vita economica, ambientale, sociale, lavorativa cittadina. Centrali sono i temi della rigenerazione urbana e del consumo di suolo, ineludibile e perentoria l’intenzione della giunta di non espandere la città (ne è un esempio la decisione di costruire il nuovo ospedale nell’area 5 della “Madonnina”, interna alla tangenziale, anziché nell’area 6 delle “Novate”, esterna). Ci sarà posto anche per la mobilità “dolce” che contrasterà la “dittatura” delle auto, oltre a un generale ripensamento di luoghi strategici e porzioni di città come il fronte fluviale, la zona della stazione, il comparto logistico. La pluralità di aspetti toccati porta il Comune, che ha preventivato la chiusura del Pug entro il 2024, a prendere coscienza delle istanze e delle esigenze esposte dai rappresentanti di tutti i settori economici, sociali, produttivi, lavorativi, formativi, sanitari. Numerosissime le idee e le posizioni emerse da novembre 2022 – quando l’iter del piano è iniziato nella Cappella Ducale di Palazzo Farnese – fino ad oggi: questo il motivo per cui, avvicinandoci sempre più alla stesura definitiva, abbiamo fatto una sintesi dei “desideri” e delle perplessità delle realtà del territorio. In una città percepita come “bene comune” da chi la abita, il commercio di prossimità è il motore della vita, specialmente in centro ma anche nelle zone periferiche, “invase” dai supermercati. Abbiamo chiesto dunque a Confcommercio di indicare le questioni di cui il Pug dovrebbe occuparsi per valorizzare e incentivare le attività commerciali. (fp)

“Sotto l’aggressione crescente della grande distribuzione organizzata (Gdo; i supermercati, nda) il centro storico rischia di diventare un’area dismessa”. La previsione di Gianluca Barbieri, direttore di Confcommercio Piacenza, mette in luce le maggiori difficoltà che sta attraversando il centro di Piacenza: “negozi che chiudono, sempre più vetrine sfitte o, in molti casi, la loro riconversione in garage o rimesse – dice Barbieri -. Questo significa non solo una perdita di attrattività del centro storico, ma soprattutto ricadute negative sul tessuto economico e sui posti di lavoro”. A chi pensa che la grande distribuzione compensi i posti di lavoro persi dall’indebolimento del commercio di vicinato, Confcommercio risponde con un “no deciso e assoluto”, sostenendo che ogni posto di lavoro creato dai supermercati equivale ad almeno due posizioni perse nei negozi di vicinato.

La pianificazione urbanistica della città di Piacenza deve prevedere destinazioni d’uso del suolo che tengano presente la commistione delle principali funzioni urbane: residenziali, sociali, economico-produttive e quelle legate al tempo libero. Questo deve avvenire al fine di rafforzare e diffondere una cultura di prossimità per una città che sia vicina a chi la vive, policentrica, percepita da chi la abita come un bene comune. E il commercio di vicinato, che da sempre rappresenta una rete di servizi basilare di questo sistema integrato, è l’elemento primario di presidio, aggregazione a attrattività dei luoghi”. Difendere i “piccoli negozi” è la priorità numero uno che Confcommercio suggerisce ai redattori del Piano urbanistico generale. “In questa logica – dice Barbieri – il cosiddetto Piano del commercio non può non essere parte integrante del Pug. E non può essere neanche solo, come per troppo tempo è accaduto, la mera sommatoria di dati quantitativi come superfici, distanze, percentuali o indici”.

Il commercio e la “cultura di prossimità”, secondo Confcommercio, concorrono “alla pari delle emergenze monumentali e delle strutture deputate a ospitare manifestazioni collettive di vario genere al processo di costruzione dell’identità dei luoghi“. “Per questo motivo – evidenzia Gianluca Barbieri – il potenziamento delle azioni di scambio, intese come azioni economiche e produttive di valore aggiunto e quindi ricchezza diffusa e occupazione, è imprescindibile per assicurare funzionalità, efficienza e attrattività all’intero strumento urbanistico”. Nell’economia urbana che Confcommercio auspica possa derivare dal Pug la cultura e il commercio devono andare di pari passo. “Una città che perde le sue connotazioni più squisitamente legate alla bellezza e alla storia dei propri luoghi – osserva Barbieri – non può sviluppare un’economia del turismo costituita da bar, ristoranti, strutture ricettive in grado di accogliere un sempre maggiore flusso di visitatori. Un’economia di consumo del tempo libero che ha come diretta conseguenza la creazione di ulteriore ricchezza e posti di lavoro“.

LA GDO CREA IL VUOTO IN PERIFERIA – Oltre al centro storico, le condizioni e gli strumenti per la valorizzazione del contesto urbano in chiave culturale ed economica “di prossimità”, precisa Barbieri, “deve applicarsi anche alla città di nuova formazione, ovvero le zone in cui la grande distribuzione organizzata ha inciso in maniera preponderante sullo sviluppo del tessuto urbano degli ultimi trent’anni”. Le opere che ospitano la grande distribuzione, e quindi supermercati e ipermercati – sostiene Confcommercio – sono delle “cattedrali nel deserto”, “strutture spesso faraoniche che, anziché costituire poli di aggregazione sociale, hanno causato la frammentazione del tessuto cittadino e la totale disarticolazione delle funzioni urbane principali. Ciò ha portato, come conseguenza, a una progressiva e sostanziale funzione di ‘parcheggio temporaneo’ per i residenti e i non residenti, un crescente degrado del senso di sicurezza e del decoro urbano, uno squilibrio tra sovrabbondanza di offerta ed effettiva domanda che è una delle cause dell’impoverimento progressivo del commercio di vicinato inteso sia come attività imprenditoriale sia come mantenimento della cultura del lavoro”. A sostegno della propria tesi, Barbieri presenta alcuni “dati oggettivi che purtroppo si ripetono anche in altri territori del nostro paese, dove la grande distribuzione organizzata ha proliferato grazie a leggi urbanistiche, soprattutto regionali, sempre più permissive e ‘liberali’. Per ogni cento posti di lavoro creati dalla grande distribuzione organizzata se ne perdono almeno il doppio negli esercizi di vicinato”. A ciò si aggiunge un’altra difficoltà che affligge i piccoli negozi che, “anche se non chiudono, sono costretti a fare i conti con una marginalità sempre più risicata a causa della concorrenza dei grandi centri commerciali. E quindi, se un dipendente cambia lavoro o va in pensione, il titolare non lo sostituisce e cerca di andare avanti con la speranza che il ridimensionamento salvi i propri bilanci”.

INVERNO DEMOGRAFICO E SCARSE PROSPETTIVE FUTURE – La concorrenza della grande distribuzione non è però l’unica minaccia per i piccoli commercianti. A questa si aggiungono “la crisi demografica, l’innalzamento dell’età media della popolazione e l’ulteriore concorrenza del commercio via internet, diventato una giungla selvaggia molto poco controllabile”. Dunque, i piccoli negozi, senza un serio intervento politico, sono destinati a chiudere la saracinesca. Se non oggi, tra pochi anni. “Con quale spirito il figlio o la figlia di uno di questi commercianti potrà avvicinarsi e desiderare di continuare il lavoro dei propri genitori? – è l’amara constatazione del direttore di Confcommercio Piacenza – In questo modo si perde non solo economia, ma anche cultura del lavoro, della solidarietà e sicurezza sociale”.

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