Dopo 37 anni Anna Bolena di Donizetti entusiasma il Municipale

In una stagione lirica di un teatro di prestigio (e di qualità) come il nostro, non poteva mancare un omaggio a quel grande compositore che fu il bergamasco Gaetano Donizetti (1797-1848), probabilmente il più prolifico (ben 86 le opere da lui musicate) e sicuramente tra i più geniali artisti lirici non solo nazionali, ma internazionali. Ancor più felice è stata la scelta di ricordarlo ripresentando, dopo 37 anni, quello che riteniamo il suo più grande capolavoro, quell’Anna Bolena che Donizetti (con Felice Romani librettista) presentò al San Carlo di Napoli il 26 dicembre del 1830 raccogliendo subito uno straordinario successo ripetuto dopo a Parigi, Londra ed a Vienna. A quel tempo Donizetti aveva 33 anni ed era giunto a Napoli dopo un peregrinare a Bologna e Roma e già con una produzione di oltre una ventina di composizioni di musica di ogni genere: Anna Bolena fece quindi da spartiacque nella sua produzione con distacchi dallo stile rossiniano (di cui conserva l’impianto), anticipando venature belliniane, esaltando un nuovo romanticismo con un tipo di melodia, facilmente orecchiabile, che delinea, con singolare ricercatezza, personaggi femminili emblematici e complessi con una violenza espressiva tipicamente donizettiana, entrando con rigore nella psicologia del personaggio.

Per questi motivi consideriamo Anna Bolena uno dei capolavori assoluti del firmamento lirico universale e sorprende il fatto che, dopo un iniziale trionfale successo, sia stata scarsamente rappresentata nei teatri mondiali e ci volle l’eccezionale rappresentazione del 1957, quando alla Scala la divina Maria Callas la interpretò in modo tale da scatenare, da parte della critica, gli aggettivi più altisonanti nel celebrarla con un cast d’eccezione, come i cantanti Giulietta Simionato, Gianni Raimondi, Nicola Rossi Lemeni, con la direzione musicale di Gianandrea Gavazzeni e la regia di Luchino Visconti, per farla ritornare in auge. Scarsità di rappresentazioni dovuta, crediamo, alla difficoltà di trovare interpreti di rilievo. Ecco che, potendo disporre di un’interprete d’eccezione come Carmela Remigio, si è deciso di riportarla alla luce dopo un lungo oblio regalando agli appassionati filolirici un prezioso e piacevole scrigno, a cui hanno contribuito a renderlo tale artisti di notevole bravura con una scenografia, efficace e gradevole, di Guido Buganza, ed una regia ispirata ed intelligente firmata da Carmelo Rifici, con diverse trovate originali ma efficaci con scene girevoli di indubbia suggestione emotiva ed artistica, come il gioco delle luci – molto bravo Alessandro Verazzi – sempre proiettate a sorreggere i sentimenti dei protagonisti. Rispettando un intenso lavoro filologico, l’opera è stata rappresentata nella sua interezza con una durata di circa 4 ore, quando alla Scala durava 2 ore e mezza, recuperando strumenti musicali e quindi suoni di un tempo di ispirazione barocca. Interessante ed encomiabile l’impegno per questo riportare alla luce scampoli di arte musicale anche se, a nostro avviso, alcuni tagli rendono l’opera più agevole.

LA TRAMA. La vicenda riguarda un periodo di storia inglese del XVI^ secolo ai tempi di Enrico VIII, il secondo re della dinastia dei Tudor, divenuto famoso sia per aver provocato lo scisma dalla Chiesa Cattolica e la nascita di quella anglicana ma, soprattutto, per avere sposato sei mogli, la seconda delle quali Anna Bolena dalla quale si separò (mandandola a morte) tre anni dopo non avendo avuto da lei figli maschi (una sola femmina, la futura regina Elisabetta I) in grado di assicurargli la successione al trono, o perchè tradito dalla moglie sospettata di avere rivisto un amore giovanile, o perchè, ancora, per liberarsi della moglie e sposare la sua nuova fiamma, Giovanna Seymour, dama di compagnia della stessa Anna Bolena. La vicenda, quindi, si snoda su questi intrecci di sospetti, di tradimenti (pare non consumati), di condanne e di richieste di perdono.

L’ESECUZIONE. Teatro gremito, ma non sold out, con pubblico inizialmente un po’ titubante che è andato animandosi sempre più fino a tributare calorosi ed intensi applausi finali e decretando il successo alla cui riuscita hanno contribuito LAC Lugano, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatri Piacenza, Teatro Comunale di Modena e Associazione “I Barocchisti”.
Tra gli interpreti, la soprano Carmela Remigio ha dato una convincente prova della sua arte canora esibendo una tecnica sopraffina ed una linea di canto pulito ed elegante anche nei registri acuti e drammatici delineando un personaggio in tutte le sue mutevoli e difficili sfumature caratteriali. Da quando giovanissima iniziò alla scuola di Aldo Protti di strada ne ha fatta colmando un repertorio di notevoli contenuti sempre alla ricerca della miglior tecnica. La Giovanna Seymour di Arianna Vendittelli è stata una degna compagna della Remigio, brillando per sicurezza di canto, estensione di voce e capacità interpretative, specie nei registri acuti. Sempre tra le donne, convincente e piacevole Paola Gardina, voce gradevole e corretta, mentre tra i cantanti ci ha favorevolmente colpito il russo Ruzil Gatin di provenienza rossiniana. Voce fresca e sicura e ben equilibrata in ogni registro è stato un lord Riccardo Percy orgoglioso e romantico. All’altezza dei compiti e dei ruoli Luigi De Donato (lord Rochefort), Marcello Nardis (sir Hervey) ed il re Enrico VIII di Simone Alberghini andato in crescendo. Per finire consensi incondizionati al direttore d’orchestra Diego Fasolis, capace di estrarre dalla partitura suoni emotivi di notevole interesse mantenendo sempre ritmi sostenuti con accenti imprevisti e stuzzicanti. Infine il Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia merita una citazione particolare per l’alta qualità dimostrata, contribuendo notevolmente al successo dell’opera.

L’opera sarà ripetuta al Teatro Municipale il 18 febbraio con inizio alle ore 15 e 30.

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