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La crisi delle democrazie e il Caso Italia: 4 riforme non più rinviabili

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La crisi delle democrazie occidentali e la situazione italiana
Le democrazie occidentali, un tempo considerate il modello di governo ideale per il progresso e la prosperità, stanno affrontando una crisi senza precedenti. Nel corso degli ultimi anni, fenomeni politici e sociali come la Globalizzazione, il Covid, l’immigrazione e la diffusione della povertà relativa, hanno minato la stabilità e la fiducia nei sistemi democratici occidentali, mettendo in discussione la loro capacità di affrontare le sfide del XXI secolo. Le cause della crisi sono molte, ma possono essere riassunte nella pessima qualità della classe politica e dirigente: con una pessima battuta sarcastica, potremmo definirla la “classe digerente”. La classe dirigente non ha saputo affrontare e risolvere problemi come la crescente disuguaglianza economica, la perdita di centralità economica e reddituale delle economie occidentali rispetto ai Paesi emergenti, in particolare la Cina, l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di investimenti e la perdita di produttività del lavoro. L’aumento delle disuguaglianze ha portato ad una percezione diffusa di ingiustizia sociale, creando tensioni e divisioni nella società.

Il Caso Italia
Negli ultimi decenni, l’Italia si è distinta, tra le economie avanzate, come quella che ha registrato i risultati peggiori.
Alcuni dati che confermano questa situazione:

(Fonte Eurostat)

(Fonte altervista)

Gli anni ’70 sono stati il punto di svolta negativo del nostro Paese. Siamo passati da un’economia florida, in forte crescita, con redditi crescenti e benessere diffuso ad un’economia dei bonus e del debito, che serviva a garantire i voti di chi aveva il potere: bonus fiscali per categoria, pensioni baby, aumenti salariali non collegati all’aumento della produttività, aziende ed imprenditori che non hanno più investito in tecnologia e formazione quanto fosse necessario per competere con la nascente globalizzazione, creazione di una burocrazia pubblica inefficiente. Nei primi anni 90, con il disfacimento della Prima Repubblica, crollata sotto il peso di un debito crescente e di un sistema corruttivo diffuso, scoperchiato dalla magistratura, abbiamo visto l’avvento di un nuovo modo di far politica; i voti non erano più controllati da veri partiti, ma da contenitori liquidi in cui gli iscritti e gli elettori si sono affidati a leader che promettevano di risolvere problemi molto complessi con soluzioni semplici e nella sostanza inattuabili: il fenomeno che viene definito con un termine appropriato populismo. Il populismo ha minato il dialogo democratico e promosso una politica basata sull’emozione, sulla paura e sulle promesse impossibili da attuare. I leader populisti hanno capitalizzato il malcontento sociale sfruttando le paure delle persone per ottenere consenso politico. Il controllo dei mezzi d’informazione, TV, giornali e la manipolazione dei social media hanno fatto il resto. Il moderno populismo è stato sdoganato con l’avvento del primo Governo Berlusconi, fenomeno via via cresciuto con i suoi cloni, fino all’attuale situazione del Governo Meloni che potremmo definire “un Governo da ultima spiaggia”. Per quale ragione definisco il Governo Meloni come il Governo da ultima spiaggia? Ma perché l’elettore, ondivago, dopo aver votato tutto l’arco costituzionale: PDL, PD, Lega, M5S, senza alcuna soddisfazione, ha scelto l’unico partito all’opposizione. Spaventa pensare quello che verrà dopo!

La situazione attuale e le sfide future
A causa della crescente polarizzazione e della diffidenza verso i politici, molti cittadini hanno perso fiducia nel Governo e nelle Istituzioni democratiche, ritirandosi dalla partecipazione politica e disinteressandosi della cosa pubblica, basta osservare il grafico sottostante da cui si evince che il partito del non voto in Italia è in costante crescita ed è nettamente il primo partito:

(Fonte Openpolis)

L’erosione dei diritti civili minaccia la vita democratica e le libertà individuali poiché Governi sempre più autoritari cercheranno di consolidare il loro potere. Non sono un caso il seguito che personaggi come Trump, Putin e Xi hanno, non solo in patria ma anche tra le fila dell’Occidente libero e democratico. L’Italia e l’Europa intera, nonostante le bugie sparse a piene mani, stanno perdendo influenza internazionale, politica, sociale ed economica.

Le sfide e le possibili soluzioni – La prima riforma, necessaria, dovrebbe passare attraverso un nuovo criterio di selezione della classe dirigente, soprattutto politica, che non possa prescindere dal merito, quello vero. Non è possibile che persone senza una preparazione specifica importante assumano ruoli decisivi per l’indirizzo del Paese. Prendereste un aereo pilotato da una persona eletta con una votazione democratica che non abbia però un brevetto di volo e non abbia alle spalle una solida esperienza di volo per un certo numero di anni? Vi fareste operare di appendicite da una persona indicata dai partiti che non sia laureato in medicina, che non abbia una specializzazione in chirurgia e non abbia già alle spalle un certo numero d’interventi? Perché allora accettiamo che i ruoli apicali in politica, come Vice Ministri, Ministri, Presidenti del consiglio e Presidenti della Repubblica siano indicati dai partiti e spesso abbiano un curriculum che al massimo consentirebbe loro di lavorare in call center? In questo senso abbiamo una storia corposa di leader politici di tutti gli schieramenti che hanno avuto percorsi scolastici limitati e soprattutto non hanno mai lavorato, il cui unico merito è stato frequentare i circoli dei partiti e trovarsi al posto giusto nel momento giusto. L’accesso a ruoli politici importanti dovrebbe essere riservato a chiunque abbia le qualità per emergere; in questo senso, si dovrebbe fare una selezione feroce di chi possa e debba occuparsi della cosa pubblica, consentendo a tutti di potervi accedere, ma non potendo prescindere da curriculum, concorsi, scuole specifiche di politica, come per esempio esistono da sempre in Francia.

La seconda riforma dovrebbe essere quella della giustizia. Invece di cercare di ridurre il numero dei reati (n.d.r. abuso d’ufficio) o impedire la pubblicazione delle notizie di reato o ridurre le intercettazioni, riformare la giustizia dovrebbe necessariamente passare per la riduzione dei tempi dei processi. E’ inaccettabile che in un Paese civile prima di arrivare ad una sentenza di primo grado in materia civile ci vogliano 532 giorni. Il Pnrr si è posto l’obiettivo di ridurre i tempi dei processi, anche di quelli arretrati che hanno superato i limiti di «ragionevole durata» fissati dalla legge: tre anni in tribunale e due in corte d’appello. Credo però che il risultato di ridurre in modo significativo la durata dei processi possa essere ottenuto solo aumentando il numero dei magistrati, dei cancellieri e del personale amministrativo che opera nei Tribunali Italiani, oltre ad una riduzione dei gradi di giudizio: che senso ha che in Italia i processi debbano avere 3 o 4 gradi di giudizio prima di essere chiusi con una sentenza definitiva? Una riforma logica dovrebbe prevedere un primo grado ed eventualmente un appello.

La terza riforma dovrebbe essere quella della riduzione della burocrazia e delle articolazioni dello Stato. E’ del tutto anacronistico che in Italia ci siano 7.896 Comuni, migliaia dei quali amministrano un territorio in cui risiedono poche centinaia di persone, ed in molti casi addirittura poche decine. Non siamo più agli inizi del 900 per cui spostarsi da Coli a Bobbio voleva dire intraprendere un viaggio di ore con costi elevatissimi, oggi la tecnologia digitale consente collegamenti immediati e a costo zero. Ridurre il numero dei Comuni rafforzandone la dimensione media dovrebbe migliorare i servizi, ridurre le spese, aumentare gli investimenti, risolvendo problemi come la carenza di personale, problema endemico soprattutto nei piccoli e nei medi Comuni, che pur varando concorsi non trovano il personale specializzato per rispondere alle crescenti funzioni loro delegate.

La quarta riforma dovrebbe essere quella fiscale. Tralasciando il problema dell’evasione fiscale, facilmente risolvibile se vi fosse un’autentica volontà politica di risolvere il problema (ricordo che gli evasori sono tanti e votano) l’una seria riforma possibile dovrebbe essere quella di introdurre un fisco più semplice e soprattutto più equo, nel rispetto del principio costituzionale (art 53 della Costituzione) della progressività dell’imposta, in cui tutti i redditi: di lavoro, d’impresa, di capitale, ecc. siano trattati allo stesso modo: stesso reddito imponibile uguali imposte, eliminando le centinaia di provvedimenti che negli ultimi quarant’anni hanno privilegiato una categoria o l’altra alla ricerca del facile consenso, consentendo a molti, ma non alla maggioranza di chi conta poco, di sfuggire al principio della progressività dell’imposta sancito dalla Costituzione. Questa semplice riforma avrebbe il pregio di essere a costo zero per le casse dello Stato, ed anzi consentirebbe un gettito aggiuntivo importante, proveniente da chi le tasse è abituato a non pagarle perché esonerato o a pagarle in misura ridotta perché oggetto di bonus e agevolazioni varie. Il gettito aggiuntivo potrebbe essere utilizzato per ridurre le tasse a chi oggi già le paga, garantendo il principio che tutti i cittadini dovrebbero concorre alle spese dello Stato secondo la propria capacità contributiva come sancisce l’art 53 della Costituzione; principio che nessun Governo negli ultimi quarant’anni ha rispettato. Speriamo che il Paese possa trovare la strada per uscire da questa difficile situazione e costruire un futuro più stabile e prospero, ma, come credo si sia capito, non sono fiducioso.

Mauro Peveri

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