Il prodigio d’amore di Turandot incanta il Municipale fotogallery

Turandot, ovvero l’”Incompiuta” di Giacomo Puccini è andata in scena venerdì sera al Teatro Municipale, gremito e sold out da mesi, con generosi applausi alla fine della rappresentazione. Si è voluto così celebrare il centenario della morte del grande musicista, nato a Lucca la notte tra il 22 ed il 23 dicembre del 1858 da Michele Puccini ed Albina Magi (gli ascendenti paterni furono musicisti da diverse generazioni) e che morì a Bruxelles il 29 novembre del 1924. Già nel 1919 Puccini si era interessato alla “favola” di Turandot. Il mondo dell’Estremo Oriente lo aveva già colpito ed affascinato negli anni precedenti quando compose (1904) Madame Butterfly, ma la favola della crudele principessa Turandot l’aveva sempre intrigato e, coi librettisti Giuseppe Romani e Renato Simoni, cominciò a comporla. Non riuscì a terminarla, perchè un tumore alla gola pose fine alla sua esistenza quando era arrivato all’inizio del terzo atto.

La prima dell’opera andò in scena al Teatro alla Scala il 25 aprile dl 1926, quando il grande maestro Arturo Toscanini, su espresso desiderio dell’autore, terminò alle ultime battute autografe dicendo ”Qui finisce l’opera perchè a questo punto l’autore è morto”. Solo nelle rappresentazioni successive l’opera venne data per intera grazie al finale composto da Franco Alfano con l’aggiunta, in un secondo tempo, di Luciano Berio. Qualche critico maligno insinua che Puccini non completò l’opera perchè incapace di trovare soluzioni per esprimere il cambiamento avvenuto nella donna Turandot, che dall’odio freddo e glaciale passa all’amore puro, sublime, universale, totale, come scioglimento ideale della vicenda. Una metamorfosi difficile da esprimere in musica. Ed in effetti la composizione, pur egregiamente rimaneggiata, perde un po’ di cromaticità specie nel poco convincente duetto finale tra i due protagonisti, lasciando il sospetto che per Puccini l’amore vero, quello reale e terreno, sia quello di Liù, che sceglie di morire per salvare l’amato Calaf. Anche in questo discutibile finale Puccini conferma sempre la sua eccezionale vena artistica nell’esprimere sentimenti femminili contrastanti, dove violenza e delicatezza si confondono in splendide armonie. Turandot resta un autentico capolavoro dell’arte musicale non solo per la straordinaria vena esotica, ma per la capacità di mantenere un accattivante romanticismo pur nella drammaticità di questa favola, a volte dipinta con tinte violente in una magica atmosfera melodica.

LA TRAMA. Sotto le mura di Pechino viene letta la condanna a morte di un altro nobile principe che ha sfidato la sorte per conquistare l’amore ed il trono della principessa Turandot, che sottopone ai nobili pretendenti tre indovinelli. Chi risponderà avrà la sua mano ed il suo regno, chi non troverà le giuste risposte sarà decapitato. Calaf è un principe che viene, in incognito, da un paese lontano e discendente da una stirpe un tempo imperatore del regno. Nessuno, però, conosce il suo nome e la sua provenienza e, contro il parere del popolo, stanco di queste morti sfida la principessa e risolve i tre enigmi. Turandot, che vuole vendicare una sua ava torturata ed uccisa da uomini traditori, non accetta il verdetto ma quando il padre le ricorda che la parola è sacra, si rivolge al principe sconosciuto dicendogli che sarà la sua consorte nel regno ma non sarà mai la sua donna e non avrà mai il suo corpo. Calaf, già colpito dai fulmini dell’amore, propone allora alla donna una sfida. Se Turandot entro l’indomani mattina riuscirà scoprire il suo nome sarà libera dal vincolo e potrà fare di lui ciò che vorrà. Turandot usa tutte le sue guardie e le impegna in una notte di terrore per scoprire il nome del principe. Nelle sue mani cade anche la giovane Liù, da sempre innamorata di Calaf. La ragazza per non tradirlo sotto i tormenti della tortura, si dà alla morte. All’alba Turandot è vinta, ma Calaf vuole il suo amore e per ottenerlo le rivela il suo nome: tanta generosità tocca il cuore di Turandot, che ricambia l’amore e diventa l’effettiva sposa regina.

Lo spettacolo andato in scena è stato senz’altro di ottimo livello artistico e spettacolare, più come complesso che a livello individuale. Dovessimo assegnare la palma del migliore, la daremmo al coro formato da quello di Modena e da quello del teatro Municipale di Piacenza, diretti da Corrado Casati, unitamente alle voci bianche del teatro Comunale di Modena, coro diretto da Paolo Gattolin: un insieme di voci vigorose con accenti colorati. Sempre tra i gruppi, ci sono particolarmente piaciuti i mandarini Ping (Fabio Previati), Pang (Saverio Pugliese) e Pong (Matteo Mezzaro) sempre incisivi e brillanti vocalmente e scenicamente. Al Calaf di Angelo Villari (ritornato al Municipale dopo un brillante Trovatore) non fanno certo difetto i mezzi vocali nell’estensione e nello squillo. Anzi, a volte è proprio l’impiego generoso a procurargli qualche problema. Comunque ha retto con dignità l’impegnativo ruolo. Così come l’interpretazione della soprano Leah Gordon, diligente e corretta e ben inserita nel ruolo. Se Raffaele Feo è stato un dignitoso ed autoritario imperatore Altoum, il basso Giacomo Prestia ha dato un ulteriore saggio della sua bravura interpretativa dipingendo un toccante Timur, mentre una gradita sorpresa si è rivelata la giovane soprana argentina Jaquelina Livieri, nelle vesti di Liù, capace di esprimere sensibilità, grazia e potenza. Hanno completato lodevolmente il cast dei cantanti il mandarino Benjamin Cho, la prima ancella Haouyoung Yoo, la seconda ancella Eleonora Nota ed il principe di Persia Alfonso Colosimo.

La regia, con coreografia, scene e luci, di Giuseppe Frigeni, ripresa da Marina Frigeni, ha avuto felici intuizioni, ma ci è parsa eccessivamente tetra, anche nei costumi con poco Pechino che, a nostro avviso, ha un suo ruolo nel contesto dell’opera. Bene e trainante l’orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, diretta con vigore e sensibilità da Marco Guidarini. Turandot sarà replicata domenica pomeriggio (24 marzo) con inizio alle ore 15 e 30.

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