Il ritmo di Steve Coleman e i Five elements accendono il Jazz Fest

Secondo grande appuntamento del Piacenza Jazz Fest 2024, ieri sera due marzo alla sala degli arazzi del collegio Alberoni. In scena uno straordinario evento, l’esibizione di Steve Coleman a Piacenza con i Five elements, la formazione più canonica e potente con la quale l’artista di Chicago si è esibito nel corso degli anni.

Occorre dire, da subito, che tra i tanti, straordinari, musicisti che hanno solcato i palchi del Jazz Fest di Piacenza in più di vent’anni, Steve Coleman occupa uno spazio decisamente rilevante. Si tratta di un musicista non comune, di qualità immensa e, soprattutto, con una carica sperimentale che ha pochi eguali. Un artista in continua evoluzione, costantemente alla ricerca di spazi creativi nuovi e originali, di nuove definizioni dei bordi, del perimetro del proprio sguardo musicale. Tutto questo partendo da un modo di pensare, di sentire meglio, il proprio lavoro, sancito, identico a sé stesso ormai da circa trent’anni e ancora non del tutto esplorato.

Steve Coleman

Inutile definire qui cosa sia M-Base, meglio lasciare la complessità filosofica e le sottili sfumature interpretative al suo creatore (https://m-base.com/what-is-m-base/). Quello che importa dire è che si tratta di un mood, un contenitore da riempire di volta in volta, di una via che non ha confini ma solo degli obiettivi al proprio fondo, volutamente irraggiungibili. Un modo dai forti tratti concettuali e spirituali che, dice il proprio autore, non dipende dalla tecnica ma dalla volontà espressiva. Un modo profondamente contrario alla tradizione musicale occidentale ma che non prevede, per evidenti ragioni costitutive, pretese egemoniche. Non c’è un modo migliore di fare arte ma c’è la libertà di scegliere il proprio contesto espressivo.

Allo stesso modo i Five elements sono una ensemble variabile, nei numeri e nei soggetti che compongono l’organico, che hanno visto passare negli anni musicisti di grandissimo spessore accomunati da questa linea di fondo tracciata dall’M-Base, dalla sensibilità che Coleman ha strutturato prima nella filosofia e poi nella modalità di fare arte. La premessa è indispensabile per inquadrare la musica a cui hanno assistito gli spettatori in un salone degli arazzi completamente esaurito. Una serie di brani in continuità tra loro, nei modi e nel senso, ricchi di rimandi, di fusioni e in continuità con tutta la carriere artistica di Coleman. Difficile isolare una parte e leggerla a sé stante senza rimandare costantemente al tutto.

Steve Coleman

Il centro è sempre, indubbiamente e con una forza ineludibile, il ritmo. Un battito ricorrente, ipnotico, ripetuto fino all’ossessione, toccante fino all’ascesi. Eppure variato ad ogni beat, intercalato da invenzioni, piccole o grandi, ma sempre rispettato, sostenuto e accompagnato da ogni componente del gruppo. Un modo di fare musica che rimanda direttamente alla sensibilità africana, sebbene la componente jazzistica east cost sia fortissima e difficile da disconoscere. Questo groove di fondo è sostenuto magnificamente dalla ritmica, basso e batteria sono di enorme qualità in questa formazione, ma in realtà non è demandato loro in esclusiva. Tutti i quattro elementi del gruppo si occupano di alimentarlo, di renderlo vivo e nuovo ogni istante, eppure ricorrente e costantemente riconoscibile. Il ritmo sta in mezzo a loro, al centro del palco, scorre come un fiume carsico, molto profondo, con un’intensità senza eguali che sorregge e trasporta ogni cosa. Il basso a sei corde di Rich Brown, con un suono magnifico oltre che con una sensibilità ritmica che arriva diretta dalle strade metropolitane americane, dalla tradizione afroamericana del funk, del rhythm and blues, tiene l’armonia in maniera asciutta e solidissima. La batteria di Sean Rickman è una fonte costante di ispirazione, un sostegno preciso senza la minima sbavatura e, al contempo, un continuo rimando a possibilità altre a letture multiple.

Coleman e Jonathan Finlayson alla tromba, anziché usare la ritmica per lavorare semplicemente sull’improvvisazione, come succederebbe in una normale struttura jazz, alimentano a loro volta questo grove, aggiungendo infinite possibilità espressive. Sono lacerti di melodia, piccoli brani improvvisati, giochi reciproci sull’armonia del pezzo. Tutto riportato, sempre, al ritmo di fondo, costantemente riproposto e arricchito, ingigantito o ridotto al proprio minimo lessico ma sempre tremendamente espressivo. I brani hanno spesso un tema molto breve e semplice, presentato in solo da Coleman all’inizio o afferrato durante i primi giri e riproposto come struttura di ogni cosa. Sax e tromba tornano costantemente nello stesso punto ogni misura o serie di misure, ritrovandosi e sovrapponendosi, giocando sulle rispettive possibilità con slanci armonici e melodici che si intersecano e galleggiano rapidissimi gli uni sugli altri. Tutto a sostegno del piccolo elemento di fondo di ogni brano, enorme negli sviluppi inaspettati, e del ritmo, il vero protagonista di ogni cosa.

Emblematico di tutto il concerto, alla fine di brani bellissimi, travolgenti per energia espressiva e forza musicale, è stato l’unico bis concesso. Coleman ha richiamato la sala, con scarsissimo successo purtroppo, a un canto ritmico ripetuto e si è esibito, assieme a Finlayson, con delle piccole percussioni ad accompagnare la propria voce. Assieme al trombettista ha dialogato con i toni profondi della voce e del basso di Rich Brown e con il lavoro fantastico di Sean Rickman, sempre presente e creativamente interessante. Un canto di enorme carica spirituale, che ha inondato la sala, ha sgomberato il campo da qualsiasi pretesa di supremazia tecnica, chiarendo che in questo tipo di musica e di azione artistica l’anima ha un’egemonia assoluta e profonda. Una sorta di epifania per qualsiasi pretesa intellettuale che non passi, necessariamente, attraverso i recessi del sentire umano più autentico.

Un grazie, come ogni volta, profondo all’organizzazione del festival che ci permette, in questo luogo periferico in cui viviamo, di venire a contatto con realtà artistiche, prima ancora che strettamente musicali, di questa qualità e levatura. Il concerto di ieri sera è stato, va detto di nuovo, un evento memorabile, di quelli che segnano definitivamente l’esperienza sensibile di chi vi assiste.

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