“Le ali del Piccolo Principe” e la vitalità inesauribile di Saint-Exupéry nell’ultimo libro di Dadati

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“Una sera, sfogliando un album fotografico dedicato a Saint-Exupéry, ho visto un’immagine del fratello François sul letto di morte: aveva 15 anni soltanto quando s’è spento, e indossava una vestaglietta uguale a quella del Piccolo Principe”. A raccontarlo è lo scrittore piacentino Gabriele Dadati, che trae spunto da questo episodio per la costruzione del suo nuovo romanzo storico: “Le ali del Piccolo Principe”, uscito per Solferino e in libreria dal 28 giugno.

Quella fotografia in bianco e nero incontrata per caso fa riflettere Dadati sulla possibilità che Antoine de Saint-Exupéry si sia ispirato al fratello per la scrittura della sua opera più nota: “Il piccolo principe”, uno dei libri più amati del Novecento.

La copertina del libro

A partire da questa intuizione, lo scrittore piacentino ha deciso di scavare nella storia vera di Saint-Exupéry e raccontare la vicenda che più tardi farà da innesco al “Il Piccolo Principe”. È il dicembre 1935 quando lo scrittore-aviatore Tonio, protagonista del romanzo dietro cui si celano nome e identità di Antoine de Saint-Exupéry, precipita nel deserto libico insieme al meccanico e amico André Prévot: stavano tentando di compiere il record di velocità Parigi – Saigon, ma a destinazione non arriveranno mai.

Incontro Dadati

Quello costruito da Dadati è un avvincente viaggio nello spazio e nel tempo, tra Parigi e il Sahara, tra paure e speranze. E in mezzo, a far da ponte tra la morte e la vita, fra passato e presente, ci sono i ricordi. A ottant’anni dalla morte dell’autore de Il piccolo principe, allo scrittore piacentino interessa riscoprire l’autore, ma vuole soprattutto dare voce all’uomo Saint-Exupéry: alla sua estrema vitalità, mai sazia di nuove avventure e più forte del pericolo, alla costante ricerca esistenziale di chi ha saputo vivere il cielo come la vita. Un’energia vitale indomita che fa da carburante alla scrittura. Abbiamo intervistato Gabriele Dadati in occasione della presentazione del libro alla Passerini Landi, a Piacenza, per conoscere qualche particolare in più del suo romanzo, augurandoci di invogliare alla lettura.

La presentazione alla Passerini Landi

Il 28 giugno è uscito in libreria per Solferino con “Le ali del Piccolo Principe”: possiamo dire che sia la storia di un’altra storia. Come nasce l’idea del libro?
Conosco abbastanza bene sia i libri, sia la vita di Antoine de Saint-Exupéry, un autore dalla prosa esatta e dall’intelligenza emotiva molto acuta, due caratteristiche che mi lasciano ammirato. Una sera, sfogliando un album fotografico a lui dedicato, ho visto un’immagine del fratello François sul letto di morte: aveva 15 anni soltanto quando s’è spento e indossava una vestaglietta uguale a quella del Piccolo Principe. Era lo stesso anche il taglio di capelli. Mi sono detto: e se in fondo lo scrittore per inventare il suo personaggio più noto si fosse rifatto al fratello che aveva amato moltissimo e perduto? Così mi sono messo al lavoro per evocare quel fantasma e porglielo a fianco in un momento difficile della vita.

Incontro Dadati

Ti confermi valido autore di romanzi storici. Qual è stato il tuo lavoro sulle fonti? Come hai perseguito l’equilibrio realtà e invenzione?
Mi faccio sempre un’idea generale di quello di cui scriverò leggendo biografie e saggi. Poi inizio a scendere nel dettaglio: a mano a mano che capisco quali episodi mi servono davvero, li approfondisco. Cerco tesi di laurea, articoli accademici, epistolari, diari, giornali dell’epoca che facciano luce sui dettagli che mi servono. Al contempo però guardo film – in questo caso mi sono procurato quello, devo dire piuttosto brutto, in cui a interpretare Saint-Exupéry è Bruno Ganz – e leggo fumetti o altri romanzi in cui compaiono i personaggi che mi interessano anche solo per poche pagine. Per capire come funziona l’immaginazione degli altri su soggetti che interessano anche a me. Stavolta sono andato addirittura a vedere uno spettacolo di burattini, perché c’era Saint-Exupéry come protagonista. L’equilibrio, poi, si trova partendo da questa posizione: più verità possibile, invenzione solo dove non si può fare altro e sempre in coerenza con la verità. Mai sovvertirla. Occorre che la bussola sia sempre questa.

In modo simile a diversi tuoi romanzi precedenti, il racconto si snoda su due binari paralleli: qui oscilla tra l’immensità straniante del Sahara e la vita parigina. In che modo questo espediente è funzionale alla narrazione?
Il romanzo racconta di quando Saint-Exupéry spanciò nel Sahara tentando il record di velocità da Parigi a Saigon sul suo biplano. Era il dicembre del 1935. Nel deserto lo scrittore dovette provare a salvarsi senza avere né cibo, né acqua. Ed è in questo frangente che il fantasma del fratello morto in qualche modo lo raggiunge. Dall’altra parte, però, c’è chi lo attende, ora dopo ora, sempre più disperato: la moglie Consuelo, la madre Marie e alcuni amici. Sono tutti riuniti a Parigi, in attesa di notizie da parte dei soccorritori. I giorni passano. La tensione ricade anche sul piano narrativo: nei capitoli dispari, Saint-Exupéry e il meccanico Andre Prévot cercano di salvarsi la vita nell’infinito niente del Sahara, in quelli pari vediamo cosa capita in una Parigi che si prepara a festeggiare il Capodanno, tutt’attorno a un gruppetto di persone colme d’angoscia.

Protagonista del romanzo è Antoine de Saint-Exupéry, aviatore, scrittore, ma soprattutto uomo in bilico tra paure e speranze. La moglie, Consuelo, è una salvadoregna europeizzata. Come hai lavorato alla caratterizzazione dei vari personaggi?
Scrivendo romanzi storici, cerco il più possibile di mettere in pagina i gesti che davvero i miei personaggi compirono in vita e le parole – se qualche fonte le registra – che dissero: tradendoli il meno possibile, inventando pochissimo. E sono i gesti e le azioni che rivelano il loro carattere, così come accade con ognuno di noi nella vita di ogni giorno. Non c’è bisogno di nessuna caratterizzazione. Diversamente da quello che si immagina, i personaggi sono una conseguenza delle vicende narrate, non una premessa. Ed è ancora più vero nel caso di personaggi che prima di tutto furono persone.

Non è un caso tu abbia anteposto all’inizio del romanzo una citazione di Consuelo Saint-Exupéry, da “Memorie della rosa”. Perché hai fatto questa scelta?
Le memorie di Consuelo vennero scoperte e pubblicate in Francia molti anni dopo la sua morte, arrivando nelle librerie soltanto nel 2000. In Italia vennero pubblicate ancora dopo, nel 2007, e per di più per un piccolo editore. La fama del marito aveva oscurato la figura di questa donna, che con la sua femminilità forte e delicata ebbe un ruolo fondamentale nella vita dello scrittore. Io comprai subito le sue memorie, le lessi e sottolineai qualche frase qua e là. In particolare ce n’era una che da allora è rimasta vivida nella mia mente: «Ma quanto più l’uomo incontra degli ostacoli, tanto più diviene degno di provocare miracoli». Quando ho deciso di scrivere di un uomo, per di più il marito dell’autrice, che affronta il Sahara e combatte per la propria vita, non ho potuto fare altro che tirarla fuori.

Dal punto di vista della scrittura, nelle note affermi di aver cercato di essere fedele alla prosa scarna ed esatta tipica di Antoine de Saint-Exupéry. Cosa intendi? I diversi termini francesi presenti nel tuo romanzo rientrano in questa ricerca?
La scelta di un lessico puntuale è senz’altro cruciale. Un concierge, per esempio, è qualcosa di vagamente diverso da un portiere d’albergo, a metà anni Trenta. Ma ne farei anche e soprattutto una questione quantitativa: qual è il numero minimo di parole per dire una certa cosa? Ecco, allora cerco di non usarne di più. E poi di sintassi: c’è un modo di andare dritto al punto? Ho seguito quella strada.

Senza svelare quello che non si può, possiamo dire che il finale del romanzo sia positivo, ma anche aperto all’immaginazione?
Diciamo che il romanzo finisce lasciando spazio per una nuova storia. E tutte le volte che c’è spazio per una nuova storia è senz’altro una buona notizia.

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