“Mi aiuti don, sono in difficoltà”, ma era una truffa. Cinque in manette, raggiro da 1,2 milioni di euro

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“Mi aiuti don, sono in difficoltà”. Ma era una truffa, messa a segno ai danni di tre anziani prelati, titolari di parrocchie ubicate in questa provincia e nelle Province di Lodi e Varese e di un’anziana parrocchiana, benefattrice. Il raggiro aveva l’obiettivo di indurre ciascuno di loro a consegnare cospicue somme di denaro, truffando alle vittime la cifra complessiva di oltre 1,2 milioni di euro. Ma sono stati i presunti responsabili a finire in manette, sequestro preventivo di conti correnti e di beni riconducibili ai componenti della banda.

Nelle prime ore di venerdì 26 luglio, a Piacenza e provincia, militari del Comando Provinciale Carabinieri di Piacenza hanno dato esecuzione a una misura cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Piacenza su richiesta della locale Procura della Repubblica nei confronti di 5 persone (4 in carcere e uno agli arresti domiciliari) ritenute responsabili – a vario titolo – di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati truffa aggravata e impiego di denaro di provenienza illecita (il cosiddetto autoriciclaggio). “Le indagini, originate da un esposto presentato nell’ottobre 2023 dalla Diocesi di Piacenza e condotte dalla Stazione Carabinieri di Rivergaro con il supporto del Nucleo Operativo e Radiomobile di Bobbio e delle Stazioni in cui vivevano le vittime dei reati – fa sapere l’Arma di Piacenza – hanno permesso di acquisire gravi indizi di colpevolezza su un sodalizio criminale, ritenuto tuttora in attività che, nel corso degli anni 2018-2023, avrebbe messo in atto una serie di articolate truffe ai danni di tre anziani prelati, titolari di parrocchie della provincia di Piacenza e in quelle di Lodi e Varese e di un’anziana parrocchiana, benefattrice, raggirandoli e inducendo ciascuno di loro a consegnare cospicue somme di denaro, truffando alle vittime la cifra complessiva di oltre 1,2 milioni di euro”.

Il gruppo dei truffatori aveva una struttura sostanzialmente familiare, essendo composto da una donna di origine serbo bosniaca, dai suoi due figli, dalla compagna di uno di questi e da un italiano estraneo al circuito parentale” spiega sempre il comando provinciale dei carabinieri. Queste persone, come è emerso dall’inchiesta “erano in grado di individuare le potenziali vittime da raggirare fra soggetti che, per qualità personali, erano propensi a compiere opere caritatevoli – viene spiegato -, prospettavano alle vittime situazioni economiche compromesse, malattie ingravescenti, problematiche giudiziarie, tutte situazioni artefatte e in realtà inesistenti, allo scopo di sollecitare la carità cristiana della vittima che, su richiesta dei truffatori e allo scopo di alleviare tali sofferenze, elargiva – spesso mediante bonifico e con più operazioni nel corso del tempo – rilevanti somme di denaro” e infine “impiegavano le somme ricevute per il pagamento di mutui già in essere e per l’acquisto di unità immobiliari ad uso commerciale ed abitativo, facendo, in tal modo, perdere le tracce dei proventi illeciti. Tutto ciò si ritiene sia stato reso possibile grazie ad un “modus operandi” collaudato nel corso degli anni e sostanzialmente reiterato nei confronti di tutti i truffati, in cui ogni sodale assumeva un ruolo ben definito, dall’ingaggio della vittima, alla reiterazione delle insistenti richieste di denaro, finanche all’intervento, allorché la persona offesa cominciasse a palesare perplessità, di un falso avvocato, interpretato dal sodale italiano, che la rassicurava sulla veridicità della narrazione portata avanti dai complici”.

“In una circostanza, una delle indagate si sarebbe mostrata sdraiata a terra quasi moribonda ad una vittima che le aveva fatto visita in casa, all’evidente scopo di indurla a pietà. Le indagini, condotte attraverso intercettazioni telefoniche, pedinamenti e accertamenti patrimoniali, hanno ricostruito il carattere professionale dell’attività delittuosa, ritenuto unico mezzo di sostentamento dei sodali. Di contro, la rilevanza delle somme illecitamente accaparrate si ritiene abbia consentito ai truffatori non solo di soddisfare i loro bisogni primari ma anche di mantenere un sistema di vita voluttuario e di perseguire fini speculativi, mediante il reinvestimento di parte dei proventi in unità immobiliari”. “Allo scopo di recuperare i proventi ritenuti illecitamente ottenuti – conclude la nota dell’Arma – nel corso dell’operazione è stata data esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di denaro e conti correnti e di tre immobili fino alla concorrenza del valore di 1,2 milioni di euro”.

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