“Volevamo solo ballare”, a 80 anni di distanza Elisa Malacalza ricostruisce la strage di Vezimo

Come si sceglie una storia da raccontare? E’ una domanda che viene rivolta spesso, a chi fa il nostro mestiere. La verità è che molto spesso sono le storie a sceglierci, parafrasando il titolo di uno dei capitoli del libro “Volevamo solo ballare. Memorie della strage di Vezimo. 21 agosto 1944” scritto dalla giornalista Elisa Malacalza per la casa editrice piacentina Officine Gutenberg.

A ottanta anni da una strage dimenticata, la vice caposervizio della redazione provincia di Libertà ha raccolto storie e testimonianze in quello che vuole essere un libro corale, per dare giusta memoria a 32 persone strappate alla vita, in quella che doveva essere una serata di festa in occasione del santo patrono San Bernardo. Il loro ricordo, nell’arco degli anni, è stato tenuto vivo dai parenti e dalle istituzioni locali, con una piccola cerimonia di commemorazione che si tiene ogni anno proprio il 21 agosto, il giorno dell’anniversario di quelle bombe sganciate da un aereo alleato, ‘Pippo’, attirato dalle luci rimaste accese, nell’ingenuità che le montagne garantissero sufficiente riparo dalla brutalità della guerra.

“Ogni anno sono sempre stata invitata a questa celebrazione e, con la redazione di Libertà abbiamo sempre pubblicato articoli per ricordarla. Il suo vero significato però continuava a restare sullo sfondo – spiega Malacalza -. Questo libro, che non ha nessuna pretesa storica ma è piuttosto un racconto corale, vuole colmare questa mancanza. Su Vezimo c’è stato un silenzio non voluto, direi piuttosto un silenzio geografico. Principalmente perché proprio la stessa Piacenza nel 1944 ha patito centinaia di vittime con i bombardamenti. Vezimo poi si trova a 70 chilometri di distanza dal capoluogo, era un paesino lontano, senza strade asfaltate e mezzi di collegamento. Questo ha fatto sì che anche il dolore che custodiva restasse isolato, chiuso in una sorta bolla. Negli anni Sessanta, poi, arrivano i primi documenti, che attribuiscono la causa di quei morti a una rappresaglia nazifascista. Invece, come si è poi potuto apprendere, la responsabilità è da attribuirsi alle operazioni night intruder degli Alleati”.

Il libro sarà presentato a Cortebrugnatella – con il patrocinio del Comune – domenica 28 luglio alle 11 in piazza Veneziani, dalla stessa autrice, che sarà intervistata dal collega Marcello Pollastri, insieme a Alice Lombardelli e Marco Ridella, rispettivamente nipote e figlio di due sopravvissuti alla strage e autori di due interventi raccolti nel volume, i cui proventi saranno destinati alla frazione. Un’altra presentazione si terrà, nella giornata del 21 agosto, una ricorrenza che quest’anno, a ottanta anni da quella tragedia assumerà una sfumatura speciale.

La ricomposizione di questi frammenti di memoria se da un lato non è stata facile – mancano documenti, gran parte dei protagonisti non ci sono più – dall’altro ha potuto contare invece sulla volontà di condividere e di raccontare dei parenti. “Quelle bombe hanno spazzato via un’intera generazione: i morti sono stati giovanissimi, ragazzi e anche bambini. Dopo la guerra c’è stata una sorta di diaspora, ma tutte le persone che ho intervistato hanno detto che per loro la tragedia che hanno vissuto ha contribuito a rafforzare un senso di appartenenza, di identità. Questo non è un libro che parla solo di morte, ma soprattutto di vita, di come ci si rialza e si ricostruisce”. Il materiale su Vezimo era veramente poco: il primo articolo che ne parla è del 1964, in occasione del ventesimo anniversario ed è scritto da Gino Macellari. Le testimonianze raccolte partendo dalla trattoria Zuffi di Vezimo e poi via via intercettando figli, nipoti, cugini, anche attraverso un appello diffuso dall’autrice sulle pagine di Libertà. Tra le foto sbiadite e ricordi di famiglia, si ricostruisce la storia di Enrico Ridella, soldato imprigionato dopo l’8 settembre 1943 e in attesa di essere deportato in Germania. Riuscirà a nascondersi a Vezimo dove però lo troverà la bomba di ‘Pippo’, così come Carlo Ridella, studente di 14 anni, che era in Valboreca a trascorrere le vacanze, così come Antonietta Barbieri di 16 anni, da Milano sfollata a Vezimo e Giovanni Bongiorni di 14 anni, pastorello stagionale da Fossoli di Marsaglia. Storie di infinito dolore ma anche di solidarietà: con i corpi dei feriti trasportati con mezzi di fortuna verso l’ospedale di Bobbio, nel tentativo di arrestare un bilancio sempre più tragico.

Dai cassettoni così spuntano anche gli articoli di Libertà: come quello di Giangiacomo Schiavi del 1979, quando insieme al fotografo Stefano Lunini si recò sotto la neve in un Vezimo ancora senza energia elettrica e in quella occasione raccolse i ricordi ancora vividi di quella che doveva essere una festa e si voleva solo trascorrere una serata di spensieratezza. “La mezzanotte del 20 agosto a Vezimo si deve sapere, non si può dimenticare – scrive Schiavi nella prefazione del libro di Malacalza -: è un’ora buia da raccontare nelle scuole, da leggere sui libri per capire come è facile morire anche senza combattere o come caso può orientare il destino di una comunità e portarsi via un paese”. “La storia di Vezimo mostra che non esistono bombe ‘intelligenti’, cosa voglia dire una guerra e i traumi che lascia, anche nelle generazioni future – conclude la giornalista -. I figli dei sopravvissuti mi hanno raccontato di sogni ricorrenti, legati all’arrivo degli aerei da guerra che però non avevano mai visto. Una paura che gli è stata passata dai genitori. Una guerra è questo: una condanna che resta dentro, per chi la vive e anche per i figli che verranno”.  Lezione che a ottanta anni di distanza sembra essere impossibile da imparare: la guerra continua a uccidere bambini, ragazzi, anziani in tutto il mondo.

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