Il prologo della stagione sono i “Pagliacci”: applausi al Municipale fotogallery

I Pagliacci musicata dal napoletano Ruggero Leoncavallo è uno dei due capolavori del verismo lirico italiano (l’altro era stato, anteriormente, la Cavalleria Rusticana di Mascagni).

Dopo una prima rappresentazione a Parigi nel 1892 venne ripresentata al teatro Dal Verme a Milano ottenendo un più che lusinghiero successo. Non sappiamo se il ragazzo Ruggero (9 anni) fosse stato realmente presente a Montalto Uffugo, un paesino della Calabria, quando ebbe luogo questa tragica vicenda, o se l’avesse sentita raccontare dal padre a quel tempo pretore nel paese.

Il fatto di cronaca nera colpì tantissimo il giovane, che 25 anni dopo volle portarla in scena dopo averla composta in meno di 5 mesi a Vacallo (Svizzera), davanti alla casa di Puccini.

Il prologo della stagione lirica al Teatro Municipale di Piacenza, che inizierà venerdì 21 dicembre con “La Traviata”, è stato affidato all’”Opera Laboratorio” composta, come noto, da giovani cantanti e musicisti in cerca di maturità artistica e impegnative esperienze.

Diciamo subito che il complesso ha superato la prova senza esaltare, ma accontentando un buon pubblico (teatro pieno ma non esaurito), che non ha risparmiato applausi agli interpreti che, chi più e chi meno, meritano tutti la sufficienza.

La musica di Leoncavallo esalta la sua vena intellettualistica, anche se nel linguaggio musicale si sente ancora un’impronta romantica. La particolarità di questo capolavoro è l’originalità del soggetto, dove finzione e realtà si confondono in un gioco vitale.

I Pagliacci al Teatro Municipale

Canio uccide Nedda e Silvio in una recita teatrale, ma esercita una vendetta reale perché si sente tradito ed abbandonato dal bene a cui teneva maggiormente. E la gente applaudirà prima di scoprirne il dramma. Il tema è piuttosto frequente nella cronaca dei nostri giorni, con l’uomo che uccide la moglie (e qualche volta il suo amante) e poi si suicida a sua volta perché solo, tradito, abbandonato. E’, quindi, il dramma della disperazione e non della gelosia come sostenuto da qualcuno.

I personaggi sono complessi e poliedrici: Canio, prigioniero di un ruolo che lo sdoppia impedendogli di trovare la propria identità; Tonio, l’amante respinto che reagisce con crudele malvagità, e, soprattutto, Nedda (nella commedia Colombina), che in una esistenza povera e scialba trova un raggio di sole e di speranza nell’amore di Silvio.

Se a questi caratteri così contrastati aggiungiamo una tessitura musicale irta di scogli improvvisi, con brami melodici tipicamente veristi, si comprenderà la difficoltà del canto che, seppur la recita sia di breve durata (80 minuti), è impegnativo e richiede caratteristiche vocali di diversi colori.

Il Canio del tenore Diego Cavazzini ha finito in crescendo, convincendo nelle arie più celebri, pur trovando qualche difficoltà nei legati e soffrendo una certa stanchezza (la sera prima aveva cantato nel Il Trovatore a Copenaghen); la Nedda della giovane e carina spagnola Estibaliz Martyn ha guadagnato la sufficienza, pur alle prese con un personaggio poliedrico, con buona presenza negli acuti (“Tra Nedda e Colombina – come dirà al termine – mi trovo sicuramente meglio nei panni di Colombina, ma lo sdoppiamento non è facile per una come me abituata ad un repertorio più leggero”).

I Pagliacci al Teatro Municipale

Senza particolari sbavature il Tonio dell’aitante Kiril Manolov, cantante esperto e sicuro, ripetutamente al Municipale, persona buona e sempre allegra, a cui il ruolo di cattivo mal si addice. Sicuramente positivi ed efficaci, nei rispettivi ruoli, Giovanni Sala e il Silvio di Vittorio Prato, un leccese trapiantato a Bologna che vorremmo rivedere in ruoli più impegnativi.

Se i comprimari sono apparsi appropriati (specie il ballerino-ginnasta eccezionale), note di merito particolare meritano i due cori piacentini, quello delle Voci Bianche del Coro Farnesiano di Piacenza, diretto da Mario Pigazzini, e in particolare quello del Teatro Municipale, diretto dal maestro Corrado Casati, vocalmente e scenicamente di alto livello.

Se abbiamo ammirato la regia di Cristina Mazzavillani Muti, con la presenza della ineluttabile morte che coinvolge ogni movimento per arrivare al tragico finale come soluzione di redenzione, il nostro apprezzamento più sentito va all’orchestra Giovanile Luigi Cherubini, magistralmente diretta dal maestro Vladimir Ovodok, capace di far emergere il contrasto tra dramma e commedia con mirabile equilibrio e finezze stilistiche.

Luigi Carini

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