“Disordinary Beauty”, la bellezza dell’errore: la glitch art di Domenico Barra arriva alla Biffi Arte

Omaggio all’imperfezione, redenzione dell’atipico, critica della società contemporanea, dei modelli proposti e imposti dai social media; spesso passivamente accettati e imitati per paura dell’emarginazione. Tutto questo è “Disordinary Beauty”, mostra personale del digital artist Domenico Barra a cura di Shiaron Carolina Moncaleano, Mariangela Vitale e Carlotta Biffi del collettivo Fuori Visioni, visitabile dal 5 al 28 novembre alla Galleria Biffi Arte di Piacenza.

L’artista napoletano Dom. Barra, primo a portare la tecnica glitch in Italia, in questa mostra applica il suo approccio critico all’utilizzo delle nuove tecnologie all’idea di bellezza canonica veicolata dalla rete: tra pixel, qr code, video e installazioni, lo spettatore si trova subito riflesso davanti al proprio black mirror fatto di telefonini appaiati, che, come oscuro magnete, lo attrae verso noti influencer, decostruiti, scarnificati e ricomposti dall’artista in immagini rese ormai irriconoscibili; dove proprio l’imperfezione, il caos, l’errore (i glitch) generati attraverso il digitale, producono nuovo materiale creativo. Il percorso culmina e si conclude nel potente audio-video finale “Requiem of influencer”, che tematicamente ripropone il black mirror dell’inizio, ormai scomposto e spezzato: tempio della vanità in cui tutto si esaurisce, “Il volto è finto, la fama svanisce, il destino sconvolto”. “Una scelta decisamente eterodossa per Biffi Arte quella di accogliere nei suoi spazi le creazioni di Domenico Barra- ha sottolineato la curatrice della Galleria Susanna Gualazzini durante l’inaugurazione della mostra, lo scorso 6 novembre -: una sfida impegnativa, ma molto stimolante, che ha permesso a Piacenza di aprire per la prima volta le sue porte agli ultimi, ambiziosi sviluppi della ricerca artistica, ospitando opere digitali trasposte su supporto fisico”.

Nel corso della mostra, talk e visite guidate aiuteranno a penetrare l’itinerario artistico e culturale di Dom. Barra: dopo l’incontro del 6 novembre con la ricercatrice Elisabetta Jochim, tutto incentrato sulla glitch art, il 12 novembre sarà esplorato il nuovo mercato digitale dell’arte e il concetto di NFTs. Il 28 ci sarà poi l’incontro finale, riassuntivo della poetica dell’artista attraverso il medium digitale. Una mostra da non perdere sull’uso consapevole e creativo delle nuove tecnologie: il tema per tutti e di tutti, sviluppato da un’artista giovane, complesso e insieme minimale, tutto da scoprire. Lo abbiamo intervistato, per capire meglio il suo percorso artistico e la sua opera.

Mostra

Domenico, io partirei dal tuo nick name sui social, Altred Data: da solo dice molto sulla tua natura di artista digitale. Come è nato?

È molto importante iniziare da qui, la scelta di questo nome è una sorta di statement del lavoro che faccio io come artista, ma soprattutto come utente della rete. Il nome Altred Data nasce da un progetto presentato alla Biennale della Net Art e delle Arti Digitali, insieme all’artista e graphic designer pugliese Luigi Console: per questa occasione abbiamo deciso di creare un personaggio fittizio per ideare una sorta di human performance per gli algoritmi di facebook. Il nome di questo personaggio era appunto l’anagramma di Altred Data e sua funzione quella di intrattenere gli algoritmi, fornendo più dati possibili, ma sempre diversi: per sesso, geolocalizzazione, credo religioso, orientamento politico e tutto il resto. L’obbiettivo? Confondere gli algoritmi, attraverso il continuo mutamento dell’identità del personaggio (la tecnica si chiama obfuscation) e soprattutto capire quale fotografia finale facebook delineasse dell’utente dopo l’analisi di dati cosi contrastanti. Alla fine del progetto ho deciso di diventare io stesso Altred Data: prima di tutto perché mi sono accorto che come utente della rete mettevo spesso in pratica questi trucchi per ingannare Facebook. E poi perché come artista mi occupo di glitch art e le mie opere vengono realizzate attraverso l’alterazione dei diversi format digitali.

Tu sei un digital artist: il digitale è tuo medium artistico, la tecnica è quella del glitch e affonda le sue radici nella Remix Culture e nel Dirty New Media. Spieghi questo mondo, affascinante e poco conosciuto?

In realtà vengo dalle installazioni, ho iniziato a lavorare con il digitale e la rete proprio per mancanza di spazi, che spesso portava i miei progetti a sfumare prima di decollare. Uno dei primi mondi con cui ho iniziato a confrontarmi in rete, è stato quello della Remix Culture e dei memes, che attraverso l’appropriazione di immagini esistenti vuole dare loro un diverso contenuto, un nuovo linguaggio: da lì ho cominciato a lavorare con collage, video e Gifts. Mi piaceva, ma mancavo di un’estetica e una filosofia di pensiero attraverso cui raccontare. Così, dopo varie ricerche e l’incontro con il cinema sperimentale di Leeds, in Inghilterra, ho scoperto l’artista d’avangardia Jon Cates e il ‘Dirty New Media’: un ramo delle nuove tecnologie che adotta un approccio molto simile alla cultura punk e hacker. L’obbiettivo? Creare un immaginario divergente delle nuove tecnologie, in contrasto con il mito della loro perfezione e indagatore delle loro vulnerabilità. È quello che cerco di fare io con le mie opere di glitch art: attraverso tecniche di corruzione e alterazione continua dei file, spingo la materia digitale ai limiti della sua capacità espressiva, appropriandomi delle fragilità visive o sonore generate dalla rete e trasformandole in potenzialità con cui costruire nuovo materiale creativo. Con la glitch art ho esplorato diverse tematiche, dalla politica alla pirateria fino alla pornografia; arrivando poi alla mia sfera intima. Nella mia prima personale del 2018, ho infatti usato il glitch come metafora per raccontare la mia esperienza famigliare con l’autismo, creando un parallelo tra hardware-cervello, software- mente, glitch-autismo: il glitch non era un errore della macchina, ma la manifestazione di un suo diverso funzionamento; così come come l’autismo è solo un modo differente di vedere e interpretare il mondo.

Arriviamo a questa mostra Disordinary Beauty. In che modo qui l’estetica dell’errore, quindi il glitch, diventa scelta etica di critica della società contemporanea e dei suoi modelli?

Nello specifico ho cercato di scompaginare uno standard di bellezza programmato e inseguito. Le immagini originali di questi lavori sono foto prese da Instagram dai profili di noti influencer. Tutte queste immagini avevano un gesto fotografico simile: posizione della testa, saturazione dei colori, luce e inquadratura seguivano canoni socialmente imitati, utili agli algoritmi di Instagram per identificare quei contenuti e dare loro una preferenza. Ho quindi deciso di appropriarmi di queste immagini, riprogrammarne le forme con codici generativi per glitch art (il pixel sorting in particolare) fino a rendere irriconoscibili quelle stesse immagini. Non abbiamo quindi solo degli untitle, ma soprattutto degli unknown: personaggi senza identità nei quali si rintraccia comunque un filo estetico e tecnico comune, ma ad essere unica ogni volta è la composizione dei particolari: perché il glitch digitale, per quanto possa essere programmato, non si manifesta mai in modo uguale, lasciando sempre un margine di imprevedibilità.

Nel tuo lavoro, ti appropri di materiali già esistenti in rete per creare un nuovo prodotto creativo. Data la fluidità della materia digitale, come vedi la problematica del copyright?

Se ci pensi quella del copyright è una legge un po’ obsoleta, nata prima dell’avvento del digitale. Come dici tu stessa, la materia digitale è per sua natura fluida e continuamente soggetta a modificazioni: di questo bisogna tenere conto, ma ciò non vuol dire che non si debba regolamentare. Un esempio classico sono le creatives commons, contenuti di rete modificabili, ma non vendibili. Tra modificare un contenuto e abusarne c’è molta differenza: fin dall’antichità si è copiato per imparare l’arte dei grandi maestri e tramandarla. Tutto dipende da come lo si fa.

Cosa significa per un’artista digitale portare le proprie opere in una galleria fisica?

Questo aspetto è davvero molto importante, il glitch è un universo vasto, main stream (può riguardare immagini, videogiochi, suoni, installazioni), ma complesso; e difficilmente trasportabile fuori dai circuiti della rete. Questa mostra a Biffi Arte è stata quindi una straordinaria opportunità per allargarne gli orizzonti di fruizione e comprensione anche ad un pubblico inesperto. Dal punto di vista tecnico non è stato facile tradurre su supporto fisico opere di natura digitale, cercando da un lato di mantenere l’effetto visivo di schermo e d pixel e dall’altro di fornire consistenza materica al digitale. Il risultato somiglia ad immagini dipinte a pennellate: in alcune opere la pittura sembra raschiata sulla superficie; in altre procede a strappi, in modo che l’immagine si riveli gradualmente, per strati e sovrapposizioni. Per fare tutto ciò abbiamo dovuto riprogrammare più volte la macchina di stampa per ogni immagine. Un lavoro complesso, ma molto soddisfacente.

Le tue opere continuano a vivere oltre la galleria, sotto forma di NFTs. Di cosa si tratta? Secondo te, siamo di fronte ad una forma di mercato dell’arte in fase espansiva?

Gli NFTs (Non Fungible Tokens) sono sequenze di codice registrate sulle blockchain, reti enormi di server che immagazzinano queste sequenze. Le informazioni registrate su blockchain sono tutte accessibili, pubbliche, e permettono la compravendita di opere d’arte digitali attraverso la creazione di un nuovo mercato basato su criptovalute. Il codice NFT consente sostanzialmente l’identificazione originale di una particolare opera d’arte digitale, rendendo possibile il successivo scambio di mercato. L’aspetto più interessante degli NFTs, esplosi durante la pandemia e le sue chiusure, non è però la natura finanziaria del nuovo mercato (i costi delle criptovalute sono ancora alti e poco utilizzati), ma la sua valenza sociale: grazie al digitale collezionismo e mercato dell’arte stanno diventando più inclusivi, prima di tutto da un punto di vista spazio- temporale. 

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