“Le urla, gli spari e il sangue sull’erba, il Valoroso morì davanti a me” 79 anni fa la guerra

Sono testimoni, gli ultimi, delle battaglie, dei caduti e della guerra che incendiò e travolse anche la provincia di Piacenza. Hanno vissuto da bambini o poco più la Liberazione dai nazifascisti e la Resistenza, che ha permesso al nostro paese di scoprire finalmente la libertà e la democrazia. La Resistenza che ha consentito agli italiani attraverso l’assemblea costituente di scrivere la Costituzione da soli, senza la tutela e le imposizioni delle potenze vincitrici. A 79 anni di distanza, le voci di Carmela Bongiorni e di Domenico Conti, sono ancora più preziose. Perchè non hanno mediazioni, vengono diritte da quello che hanno vissuto e visto coi loro occhi. “Le cose vecchie le ricordo tutte, molto di più di quelle recenti – fa notare Carmela – mia nipote mi dice che qui a Monticello per la commemorazione della battaglia siamo venuti anche l’anno scorso, ma io non rammento niente, invece di quel giorno di aprile del ’45 è ancora tutto qui nella mia testa”.

Resistenza: la commemorazione della battaglia di Monticello
Carmela Bongiorni tra il figlio e la nipote

Carmela Bongiorni aveva 14 anni nell’aprile del 1945, Domenico Conti soltanto otto. Sono testimoni della battaglia di Monticello. Li abbiamo incontrati durante la recente commemorazione ai piedi del monumento a Lino Vescovi, nome di battaglia Valoroso, che cadde nella furia dei combattimenti. La battaglia Monticello fu vinta dai partigiani che respinsero l’assedio delle truppe nazifasciste giunte dal monte Pillerone, grazie ad alcuni fattori fondamentali: nel castello era stipata una grande quantità di armi, e l’aiuto arrivato da Monteventano della squadra guidata proprio dal Valoroso, che poi morì falciato da una sventagliata di colpi nemici. Renato Cravedi, il partigiano Abele, è l’ultimo combattente superstite della battaglia, mentre Carmela e Domenico erano bambini, assistettero ai fatti di quel lontano 16 aprile del 1945.

La sua storia Carmela – che oggi vive a Genova, ma torna sempre sui luoghi della sua giovinezza – l’ha raccontata mille volte, ma le parole hanno sempre l’effetto di restituire emozione, profondità, concretezza a fatti archiviati nelle cronache storiche. Con i suoi genitori contadini, viveva a Fragola, il piccolo nucleo di case appena sotto al castello di Monticello sul versante del Luretta. “Mi ricordo i primi colpi sparati – dice – e quando sono venuti su i partigiani dal fondovalle. Allora la mia casa aveva il tetto spiovente e dalla camera di mia mamma mi ero messa a pancia in giù per vedere i combattenti che correvano. E’ passato il Valoroso e tutti gli altri da Monteventano, e mi chiesero se avevo visto passare soldati con zaini a tracolla, e io risposi che sì erano transitati per di qui, davo loro le informazioni”.

Il ricordo più vivido è quello della morte del Valoroso, caduto nella battaglia. “Sono andata alla camera che dava sul cortile di casa mia e ho sentito urlare “Molla, molla, molla”; così mi sono affacciata a guardare dalla finestra e mi sono spaventata, c’era il Valoroso riverso a terra sotto la pergola ormai morente. Lì c’era una tavola di legno che usavamo per macellare le carni del maiale, ci chiesero se potevano prenderla per adagiare il corpo. Poi hanno messo il giogo ai buoi e hanno caricato Lino Vescovi sul carro trainato dagli animali, così lo hanno portato giù. Mi ero spaventata perchè aveva addosso una tuta mimetica, a me era sembrato tutto sporco di sangue invece era l’effetto di quella tuta. Poi ci hanno detto di qua è libero, mio papà stava attendendo sulla porta della stalla perchè temeva che da un momento all’altro incendiassero la cascina, invece non andò così”. E nei giorni seguenti la battaglia l’orrore della morte resta ancora vivo: “Quando andavo a fare la sarta a Rezzanello dalla mia casa di Fragola, facevo sempre la strada a piedi, ricordo che in quei giorni attraversavo questo pezzo di sentiero di corsa perché c’era ancora a terra il sangue dei feriti”.

Resistenza: la commemorazione della battaglia di Monticello
Domenico Conti a Monticello

Domenico Conti oggi vive a poca distanza dal castello, nella stessa casa dove è nato. Aveva soltanto otto anni nell’aprile del ’45 ma anche nella sua mente i fotogrammi di quella giornata riaffiorano come tante volte in passato. “Ero a casa e ci accorgemmo – spiega – che era iniziata la battaglia, le esplosioni, i lampi dei mortai, fino al mattino. Quando arrivarono alcuni soldati tedeschi a bussare alla nostra porta, ricordo che ci chiesero di requisire i buoi e il carretto, dovevano trasportare i feriti a Rivergaro, ma ci sarebbe voluto troppo tempo per compiere il viaggio. Difficilmente sarebbero sopravvissuti. Quando si fece giorno c’erano tanti corpi sparsi per i campi di fronte al castello, furono tanti i caduti di quella battaglia”.

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