Raccolte fondi tra dipendenti e soci, Confagricoltura dona duemila euro ad Amop

Nei giorni scorsi Confagricoltura Piacenza ha devoluto duemila euro ad Amop, l’Associazione piacentina malato oncologico. La somma è il risultato di alcune iniziative di raccolta fondi tra dipendenti e soci di Confagricoltura Piacenza organizzate in sinergia tra le due associazioni, quali la vendita delle uova di pasqua e del libro di testimonianze realizzato da Amop. All’incontro hanno partecipato il professor Luigi Cavanna, fondatore e anima dell’associazione con la presidente di Amop Romina Piergiorgi, la consigliera Maria Rosa Cordani e Claudia Gregori storiche volontarie di Amop Per Confagricoltura, a fianco del presidente Filippo Gasparini e del direttore Marco Casagrande, la segretaria di direzione Sabrina Anaclerio e la collega Francesca Chiucchiuini che si sono fatte carico della realizzazione delle iniziative.

“Ciò che diamo – ha detto Gasparini – è poco rispetto al vostro valore. Noi agricoltori siamo un ottimo punto di osservazione di questo momento storico: il fatto stesso che non possiamo coltivare tutti i campi al meglio è frutto di un certo lassismo. Segno di decadenza. Ancor più perché rinunciando a produrre non genera profitto, cosa fondamentale per avere gli utili da reinvestire nel sociale. Sono le famiglie che stanno andando in aiuto alle aziende, in un mondo capovolto. Anche in questo caso, seppur con un aiuto piccolo, si cerca di mettere una pezza con il contributo di tutti là dove il sistema sanitario non arriva. Come voi vi impegnate a rattoppare i buchi lasciati aperti da questa società con un lavoro di cura e assistenza preziosissimo, così nel nostro piccolo anche noi ne chiudiamo altri producendo con un saldo troppo spesso negativo. Anche per i valori fondanti della nostra associazione, sappiate che vorremmo fare di più e che vi ringraziamo di cuore per ciò che fate”.

Donazione Amop Confagricoltura

“Chi fa agricoltura è uno pratico – ha chiosato il professor Cavanna – trovo pericoloso questo “naturalismo”, non avremmo la vita che abbia adesso se non avessimo avuto fiducia nella scienza e non ne avessimo impiegato risultati e tecniche. È chiaro che abbiamo altri problemi, ma prima la vita media era cinquant’anni! Se lasciassimo fare tutto alla natura, così come si vorrebbe far scorrere l’acqua dei fiumi dove vuole, non dovremmo neppure curare i malati. Se avessero ragionato così anni fa, oggi non avremmo la penicillina. Bisogna avere il coraggio di difendere i valori che si hanno, noi stiamo rinunciando ai nostri valori e se non li manteniamo torniamo a periodi bui della storia. Per noi la difesa della vita, l’aiuto ai più deboli e l’importanza della solidarietà in una comunità sono valori da difendere, se non lo facciamo, andiamo verso una società che spaventa. Anche nelle cure, sta prendendo piede una filosofia economicistica che valuta l’impegno nelle cure in funzione di costi-risultati, ma vanno considerate la qualità della vita, il sollievo dalla sofferenza, la possibilità di consentire la vicinanza delle famiglie. In quest’ottica un servizio di assistenza sul territorio è importante. C’è un bisogno enorme di ristabilire la relazione col malato. La mentalità deve cambiare. Ci stiamo lavorando: coi primari di oncologia abbiamo messo a punto la scuola di umanizzazione. I protocolli ci vogliono, ma sono un mezzo, non il fine della cura. I giovani medici devono crescere imparando l’importanza di guardare in faccia i pazienti, coscienti a sé stessi di stabilire una relazione con una persona, non con un numero o un dato”.

Ha preso parola anche Romina Piergiorgi ringraziando “perché ci aiutate ad aiutare – ha detto – in questo modo trasmettiamo la vostra vicinanza ai malati e alle famiglie. Se c’è umanità si trasmette anche fuori e con più umanità riusciamo a vivere tutti meglio. Servono un enorme rispetto e tanta umanità”. “Grazie e complimenti per il vostro prezioso lavoro – ha concluso Marco Casagrande -, l’allungamento della vita implica anche la necessità di assistenza ai malati che ora, grazie alle cure, riescono ad avere una buona qualità di vita per anni. È però fondamentale che un malato, una volta dimesso, possa essere seguito anche nel suo contesto domestico, altrimenti nel giro di breve si trova costretto a rientrare in ospedale con tutti i disagi e i traumi che questo comporta, per lui e i famigliari”.

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