L’uomo cangiante, al Melville Tony Face presenta il libro su Weller

Appuntamento davvero eccezionale, quello di venerdì 27 febbraio al Caffè Letterario Melville. Tony Face presenterà alle ore 21 il suo nuovo libro dedicato a Paul Weller

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ANTONIO TONY FACE BACCIOCCHI
L’uomo cangiante. Paul Weller: the Modfather.
Ed. Vololibero (2015)

Appuntamento davvero eccezionale, quello di venerdì 27 febbraio al Caffè Letterario Melville. Tony Face presenterà alle ore 21 il suo nuovo libro dedicato a Paul Weller, alla presenza di Alex Loggia dei torinesi Statuto, mitica band ska, che eseguirà una strepitosa sequenza di brani tratti dagli inizi nei Jam (“That’s entertainment”, “In the crowd”, “Town called Malice”), dalla stagione degli Style Council (“My ever changing moods”, “Shout to the top”) e infine dall’altrettanto apprezzata carriera solista (“Wild wood”, “Blink and you’ll miss it”).

“L’uomo cangiante”, ovvero “The changingman”, dal titolo di uno dei brani più celebri del chitarrista e cantante inglese, un’opera che ripercorre le tracce di una carriera ricca di successi – in questo, e solo in questo, c’è stata una certa continuità – e anche di cambiamenti improvvisi, di scelte coraggiose e di svolte artistiche e personali.
Pur sempre restando, tuttavia, un mod nell’anima.

“Mod, in un certo senso, è come un codice”, dichiarò nel 1991. “Sono sempre un mod, sarò sempre un mod, mi potrete seppellire mod”.

Partendo dagli albori, a metà degli anni Settanta, dalla gavetta dei Jam in un’Inghilterra triste e grigia, grazie anche all’impegno senza sosta del padre produttore, che sarà fino all’ultimo anche il suo più grande amico. Le coordinate iniziali sono il rispetto per la scena britannica dei sixties (Small Faces e Who, ma anche Kinks e ovviamente Beatles), la religione Mod e l’esaltazione del giovanilismo, la critica dell’omologazione dell’individuo nella società di massa e il rischio dell’autoritarismo (influenzato da Orwell), oltre all’avvento dirompente del punk, con la cui scena Weller avrà un rapporto assai difficile, non condividendone la furia nichilista e nemmeno lo stile sporco e grezzo – lui sempre un po’ modaiolo ed esteta rigoroso – ma mutuandone le sonorità più affettate e abrasive.

Per arrivare all’affermazione con dischi straordinari come “All mods cons” (che battezza il mood definitivo della band) e “Sound affects” – oltre che con una miriade di singoli eccezionali come “Going underground”, “The Eton rifles”, “Down in the tube station at midnight” – caratterizzati da un sound ormai maturo e non più debitore degli Who, e da liriche ispirate che fanno di Weller l’erede di un’illustre dinastia di cantori disincantati dell’Inghilterra suburbana e proletaria.

Nel 1982 l’abbandono dei Jam, che viene visto da Paul come una liberazione, data la sua crescente voglia di battere nuove strade e l’infatuazione per la musica black, per jazz, soul e funk (Funkadelic, Parliament, Traffic, M. Gaye, C. Mayfield, C. Mingus, G. Scott-Heron), che i suoi ormai ex compagni di viaggio non sembrano apprezzare troppo. Inoltre, a soli 22 anni, sente il peso di essere considerato – suo malgrado – come il portavoce di un’intera generazione.

Ecco quindi una manciata di album di assoluto livello (tra tutti, “Cafe blue” e “Our favourite shop”), che proiettano gli Style Council – lui e il pianista Mick Talbot, e una serie di collaboratori sempre diversi – tra gli alfieri della nuova scena new cool londinese (Sade, Everything but the girl, Swing out sister), oltretutto molto impegnati sul versante sociale (in prima fila contro il nucleare e, con il collettivo Red Wedge, a supporto dei minatori nella battaglia contro le politiche di rigore neoliberista volute da Margaret Thatcher), prima di una profonda crisi creativa.

E infine il nuovo addio, stavolta meno burrascoso, quasi per inerzia, per intraprendere la strada solista, difficile e impervia, ma che sarà costellata da perle come “Wild wood” (1993), “Stanley Road” (1995; una sorta di riportando tutto a casa, una personale galleria di ricordi) e “As is now” (il più fresco e meno ridondante) che lo confermano come uno dei più importanti musicisti britannici di sempre.
Sempre curioso, aperto alle contaminazioni e alla trasversalità, al recupero della tradizione folk.

Nessun cedimento al mainstream e ai compromessi.
In appendice, il prezioso lavoro d’archivio di Bacciocchi consente al lettore di orientarsi nella sterminata discografia del Modfather (è un gioco di parole tra “Padrino” e “Mod”), nell’altrettanto lungo elenco di collaborazioni (R. Wyatt, N. Gallagher, Dr. John , Primal Scream, Portishead…) e delle cover, e anche – in un capitolo a parte, intitolato “Spigolature” – di conoscere qualche aneddoto curioso e anche qualche dichiarazione un po’ eccessiva: “Freddie Mercury voleva portare il balletto alla working class. Che stronzo”, o, su Bowie, “Mi piacciono tre dei suoi dischi. Il resto è spazzatura”. Su James Blunt, infine: “Preferirei mangiare la mia merda piuttosto che fare un duetto con lui”. E’ l’unica concessione al colore, quest’ultima, in un lavoro impeccabile in cui giustamente Tony mette al centro la musica, quella grande musica (senza etichette e senza steccati) che Weller ci ha regalato in questi ormai quarant’anni di fantastica carriera.

Giovanni Battista Menzani
@GiovanniMenzani

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