Referendum, Fornasari (Arci): “Votare sì per superare il petrolio”

Domenica si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo e - come sappiamo - affinché la proposta venga approvata, occorrerà che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “SI”

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Intervento di Alessandro Fornasari, Presidente Arci Piacenza, sul referendum “trivelle” di domenica 17 aprile

IL TESTO – Domenica si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo e – come sappiamo – affinché la proposta venga approvata, occorrerà che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “SI”.

In questi giorni – occorre dire fortunatamente visti i termini occultatori e censori con i quali alcuni partiti hanno trattato il tema – si sta facendo finalmente un gran parlare di questo appuntamento referendario.

Un referendum – ricordiamolo – voluto, ai sensi dell’Art. 75 della Costituzione, da ben nove Regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le conseguenze ambientali e per gli eventuali contraccolpi sul turismo legati ad un intensivo ed indefinito sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi fossili.

Con il referendum, infatti, si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare entro le 12 miglia marine dalle coste. Non si tratta comunque di uno stop immediato né generalizzato.

Si chiede, nello specifico, di cancellare la norma che consente alle società petrolifere, alla data odierna già autorizzate, di continuare a cercare ed estrarre gas e petrolio nei pressi delle nostre coste senza limiti di tempo.

Penso sia necessario fare chiarezza su questo perché tanti, troppi, cercando di portare acqua al proprio mulino, ne hanno dette di cotte e di crude.

Partiamo da quello che troveremo sulla scheda elettorale: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016), limitatamente alle seguenti parole: per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?».

Orbene, per una corretta informazione occorrerebbe andare a leggere cosa dice il comma 239 dell’art. 1 della citata legge di stabilità 2016. Eccolo: All’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare  poste entro dodici miglia dalle linee di costa  lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attivita’ di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le  operazioni  finali di ripristino ambientale».

Questo comma cosa ci dice? Ci dice due cose fondamentalmente: 1) ribadisce che, fortunatamente, già oggi entro le 12 miglia marine dalle nostre coste non possono più essere concesse nuove autorizzazioni a trivellare; 2) per contro ci dice anche che quelle già in atto entro le 12 miglia, in virtù di autorizzazioni e concessioni degli anni passati (e sono parecchie), potranno continuare la propria attività estrattiva all’infinito, ovvero fino all’esaurimento dei giacimenti.

In pratica la legge di stabilità 2016, con un abile giro di parole, stralcia i termini temporali alle quali le attuali attività estrattive sono vincolate, introducendo il criterio dell’indefinitezza temporale.

Pertanto, nonostante le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.

Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare “SI”. Votando “SI” le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la loro scadenza naturale fissata al momento del rilascio delle concessioni.

Purtroppo assistiamo in questi giorni ad appelli per il “no”, o peggio ancora all’astensione.

Vengono agitate varie bandiere: la perdita di posti di lavoro, tracolli finanziari delle società petrolifere, crisi energetiche, aumenti dei costi del petrolio. Baggianate!

Un’eventuale vittoria del “SI” non farebbe perdere alcun posto di lavoro. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività estrattiva in corso entro le 12 miglia. Quelle oltre le 12 miglia continuerebbero ad esistere.

Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati a esprimersi, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trent’anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione.

Oggi, se il referendum fallirà, non sarà più così: se una società petrolifera in passato ha ottenuto una concessione, potrà estrarre fino a quando lo desidererà o fino all’esaurimento del giacimento.

Tra l’altro, come sappiamo, l’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero e l’aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non sarà in alcun modo direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Parliamo, a pieno regime, di circa il 3% del gas e dell’1% del petrolio.

Inoltre, oggi l’estrazione di idrocarburi, non è per nulla remunerativa per lo Stato. Infatti gas e petrolio presenti in Italia, pur appartenendo al patrimonio dello Stato, vengono dati in concessione a società private per lo più straniere. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo.

Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.

Con “sconti” e “promozioni” formato famiglia: le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. Nell’ultimo anno dalle royalties provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.

Pertanto è ridicolo affermare che il rilancio delle attività petrolifere costituisce un’occasione di crescita per l’Italia.

Anche qualora le estrazioni fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.

Sarebbe ben più produttivo e lungimirante per l’Italia investire nelle energie pulite e rinnovabili come hanno fatto tanti paesi, soprattutto nord-europei. Un’inversione di “tendenza energetica” porterebbe ricchezza e benessere moltiplicato fino a 10 volte: posti di lavoro, risparmio economico per aziende e famiglie, maggiore qualità dell’aria e delle acque con conseguente diminuzione del tasso di incidentalità delle malattie legate ai residui dei combustibili fossili. Insomma, una maggiore qualità della vita, forse non nostra ma almeno dei nostri figli.

Ma poi – diciamocelo – ma pensiamo davvero che il futuro dell’Italia si celi nell’estrazione del petrolio? O forse la ricchezza dell’Italia è un’altra: il turismo, che dà lavoro a quasi 3 milioni di persone; la pesca, quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, circa 1 milione e 400.000 persone; il comparto agroalimentare, 3 milioni e 300.000 persone.

I posti di lavoro veramente a rischio, oggi, sono questi.

A preoccupare non sono solo gli incidenti dalle conseguenze catastrofiche, ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo. Due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati si riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, l’istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Ambiente.

È giusto, pertanto, che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese.

Il referendum, in caso di successo, oltre che un effetto positivo meramente pratico, avrebbe anche un forte significato simbolico: la speranza e l’auspicio di un’inversione di tendenza.

Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi ed a seguire la strada della decarbonizzazione.

Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo. Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.

Mi lasci spendere infine due parole sull’atteggiamento del premier e del governo: invitare i cittadini all’astensionismo è veramente vergognoso. Sicuramente astenersi è legittimo, ma che questo input venga dalle istituzioni è una cosa insopportabile.

Non è certo un buon biglietto da visita da parte di chi, proprio in questi giorni, pretende di modificare “democraticamente” la Costituzione Repubblicana. Ma questa sarà un’altra battaglia che ci impegnerà nei mesi a venire.

M5S: “CAMBIARE POLITICA ENERGETICA MIOPE” – La nota – Occorre fare chiarezza innanzitutto sul quesito referendario, facciamo quindi un passo indietro: prima del Decreto Sblocca Italia le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas avevano un termine concordato e determinato.

Un emendamento del decreto sblocca Italia ha stabilito di eliminare questo termine e di prolungare la concessione fino ad esaurimento, ovvero a tempo indeterminato, aggiungiamo che le royalties che lo stato italiano riceve per queste concessioni sono le più basse d’Europa, oltre al danno una vera beffa!

Questo emendamento ha creato un monstrum giuridico, un ibrido fra irresponsabilità ambientale, irresponsabilità economica e irresponsabilità politica.
Per questo noi invitiamo tutti ad andare a votare e a votare SI, vogliamo abrogare quell’emendamento e fermare questo regalo che lo Sblocca Italia fa alle compagnie petrolifere, gli unici soggetti a cui trivellare a tempo indeterminato giova.

Questo è in breve il referendum a cui siamo chiamati a votare il prossimo 17 aprile, ma al di là del quesito referendario, ciò che è ancor più importante e IRRINUNCIABILE di questo voto è manifestare la nostra volontà di cittadini contro la miope politica energetica di questo governo che, contrariamente al resto d’Europa e del mondo, dimostra una anacronistica e oscura volontà di rimanere ancorato alle energie fossili invece di fare la decisa e ormai irrimandabile svolta verso la produzione di energia pulita da fonti rinnovabili.

Sette regioni italiane hanno voluto questo referendum per la salvaguardia del nostro ambiente, del nostro territorio, delle nostre coste, dei nostri fondali contro lo stupro del nostro mare e la svendita delle concessioni alle compagnie petrolifere, fra queste sette regioni anche la Basilicata, una delle regioni più “trivellate” e, nonostante questo (o forse anche per questo?), una delle più povere d’Italia che sta pagando a questa scellerata “politica energetica” un caro prezzo in termini di salute ambientale e dei cittadini, ma allora a chi sostiene che “trivellare” porta lavoro e ricchezza chiediamo: A CHI?

Questo referendum è una dichiarazione d’amore di tutti noi cittadini italiani verso il mare, ma vuole anche esse un segnale e un monito al governo di cambiare rotta, a chi vuole letteralmente bruciare il futuro nostro e dei nostri figli non concediamo l’attenuante della nostra indifferenza, non diamo loro il vantaggio della nostra disillusione, andiamo a votare e diciamo SI, per conservare l’economia della bellezza che, come ha detto Erri De Luca, è il nostro prodotto interno lordo irripetibile.

Domenica 17 Aprile Votiamo SI, lo vogliamo, il mare nostro, meraviglioso e pulito, per sempre. Buon voto a tutti e grazie di quorum.

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